Oltre 14 milioni di polli e altri volatili abbattuti come misura preventiva, più di 300 focolai individuati, migliaia di aziende coinvolte e danni per milioni di euro (più di mezzo miliardo, secondo le stime di categoria). E tutto questo in soli tre mesi: da ottobre 2021 a gennaio 2022. Sono questi i numeri preoccupanti della nuova epidemia di influenza aviaria che si sta diffondendo in tutta Italia (partendo da Veneto e Lombardia). Secondo alcune stime proprio l’Italia sarebbe il primo paese europeo per numero di volatili domestici infetti.
A lanciare l’allarme l’associazione ambientalista Greenpeace Italia che da anni denuncia le conseguenze dello sfruttamento degli allevamenti intensivi. E anche in questo caso, tra le cause e le misure consigliate per contrastare i virus dell’aviaria ci sarebbe la riduzione della densità degli allevamenti commerciali come conferma l’ultimo rapporto dell’EFSA. Pochi i rischi per l’uomo. Secondo Maurizio Ferri, medico veterinario dell’Asl di Pescara e responsabile del coordinamento scientifico della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, “il rischio di infezione per la popolazione è nullo. Questo virus è molto contagioso per gli animali, ma non per l’uomo. Cerchiamo di evitare che possa nascere una psicosi come è già accaduto in passato: la psicosi fa più danni del virus”. “Il susseguirsi di scoperte di focolai di influenza aviaria H5 HPAI, così come avvenuto nel Lazio, ma nelle scorsi settimane casi simili si sono registrati anche negli allevamenti avicoli del Nord Italia, non deve preoccupare la popolazione: i cibi della catena alimentare non sono contaminati ed è altamente difficile che ci possa essere un passaggio del virus all’uomo”, ha aggiunto.
Il problema, secondo Ferri, sarebbe lo “smaltimento delle carcasse degli animali morti che sono stati contagiati e di quelli che si dovranno sopprimere. Perché dovrà essere fatto nel massimo rispetto dei protocolli di biosicurezza”. Rischi ridotti, forse, ma non nulli. A destare preoccupazione è soprattutto l’alta frequenza di mutazione di questi tipi di virus. Secondo un documento riportato sul sito dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), l’ente nazionale di riferimento sull’aviaria, esiste la “possibilità che da un serbatoio animale possa originare un nuovo virus per il quale la popolazione umana risulta suscettibile dando modo alla malattia di estendersi a livello globale, provocando quindi una pandemia”.
L’importanza del controllo sanitario per queste malattie è sempre un rischio da non sottovalutare: i virus influenzali appartenenti al tipo A possono infettare anche altri animali (maiali, cavalli, cani, balene) ma anche l’uomo. E vista l’elevata frequenza con cui questi virus vanno incontro a fenomeni di mutazione, “c’è la concreta possibilità che da un serbatoio animale possa originarsi un nuovo virus per il quale la popolazione umana risulta suscettibile dando modo alla malattia di estendersi a livello globale”, come ha detto l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie.
L’abbattimento di decine di migliaia di animali in via preventiva, oltre al fattore etico, avrà anche un impatto economico non indifferente. Per far fronte alla nuova epidemia di aviaria, il governo italiano avrebbe già stanziato 30 milioni di euro, ma potrebbero non bastare.
Tutto questo, secondo gli attivisti di Greenpeace sarebbe legato al modo in cui gli animali sono tenuti negli allevamenti intensivi. In Italia, come nel resto del mondo, gli animali vengono allevati stipati e a stretto contatto gli uni con gli altri. Impedire il contagio e la diffusione di una epidemia è praticamente impossibile in queste condizioni. A questo si aggiunge che spesso gli animali allevati (o le loro carcasse) vengono spediti da una parte all’altra del pianeta per essere venduti nelle GDO. “Viaggi” che rendendo più facile la diffusione dei virus.
A dimostrarlo sarebbe la rapidità con cui il nuovo ceppo virale si sta diffondendo: dal 19 ottobre 2021, quando il Centro di referenza nazionale (CRN) per l’influenza aviaria e la malattia di Newcastle ha confermato diverse positività per virus dell’Influenza Aviaria ad Alta Patogenicità (HPAI) nel pollame domestico, ad essere coinvolti sono stati prima di tutto allevamenti di tipo industriale (soprattutto tacchini da carne situati in provincia di Verona).
HPAI-focolai.pdf (izsvenezie.it). Anche la precedente versione, manifestatasi nel 2020/21 e nota come H5 H5n8 si era diffusa principalmente negli allevamenti intensivi del Veneto (fatte poche eccezioni per l’Emilia Romagna e la Puglia, ma dovuti principalmente ad animali selvatici).
Un nuovo virus che potrebbe provocare una nuova pandemia. In grado di coinvolgere “larghi strati di popolazione, non solo quella che viene definita “a rischio”, ma anche individui giovani e sani”. Per questo gli attivisti di Greenpeace Italia hanno chiesto al ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, misure concrete per cambiare l’intero sistema della zootecnia intensiva.
Secondo l’IPBES, l’organismo scientifico delle Nazioni Unite sulla biodiversità, sono circa 850.000 i virus che potrebbero avere la capacità di trasferirsi agli esseri umani. Proprio come avvenuto con Sars-CoV-2.