L’attenzione mediatica internazionale, sempre costretta ad inseguire la notizia del giorno, sembra avere già confinato in secondo piano la drammatica vicenda del ritorno dei talebani in Afghanistan con le drammatiche conseguenze sulla dignità della popolazione femminile.
Talvolta viene il dubbio che, senza l’attacco profondo che ricaccia nel medio evo le donne, il ribaltamento della società afgana sarebbe stato già confinato nelle ultime pagine dei giornali.
Le immagini dei profughi in fuga dall’aeroporto di Kabul e dell’attentato terroristico consumatovi, hanno richiamato alla memoria eventi che ebbero luogo 130 anni fa nel cuore dell’Africa, in Sudan e che molto hanno a che fare con chi, ancora una volta, intende riaffermare lo “Stato Islamico” che pretenderebbe perfino il riconoscimento internazionale ma al tempo stesso indicano come sia concluso il tempo delle influenze occidentali in zone del mondo in cui l’Islam è visione del mondo radicalmente e drammaticamente alternativa alla “società aperta” e ampiamente condivisa dalle popolazioni locali, come dimostra la sporadicità di sacche di resistenza opposte al nuovo insediamento dei talebani.
Nell’ultimo ventennio del XIX secolo il traballante impero ottomano comprendeva ancora l’ Egitto, di cui il Sudan era considerato un’estensione, a motivo del corso del Nilo che conferisce unità territoriale alle due regioni. Per conto di Costantinopoli, il potere era esercitato da un Chedivè (Vicerè) che risiedeva al Cairo e nominava per il sud un governatore con sede a Khartoum, di volta in volta scelto tra noti generali dell’aristocrazia coloniale inglese.
Alcuni anni prima, il mondo islamico, da sempre nell’attesa di un messia (Mahdi) che avrebbe unificato politicamente e spiritualmente la “comunità dei veri credenti” si era riconosciuto nella predicazione di Muḥammad Aḥmad, un mistico autoproclamatosi guida dell’Islam. Il Mahdi era riuscito a raccogliere un’armata di oltre quarantamila uomini ben armati dopo un paio di sconfitte sull’imbelle esercito egiziano, con cui aveva invaso il Sudan, arrestandosi nella città di Omdurman sul Nilo, in attesa di conquistare Khartoum e di proseguire la propria marcia verso l’Egitto. Il 26 febbraio del 1885 la città cadde e vi trovò morte eroica anche Gordon Pascia, un eroe del colonialismo inglese in Africa e in Asia che il primo ministro inglese Lord William Gladstone aveva imposto come governatore del Sudan al Chedivè d’Egitto, per trarsi d’impaccio dinanzi all’opinione pubblica internazionale. Pensava così di evitare di esporre ufficialmente l’Inghilterra al fianco dell’impero turco di cui si prevedeva prima o poi la divisione delle spoglie, come sarebbe accaduto puntualmente dopo la fine della prima guerra mondiale.
Come sarebbe accaduto nel 2001 dopo l’attentato alle Torri Gemelle per gli Stati Uniti, il massacro di Khartoum e la fine di Gordon scossero l’Europa, Gladstone fu “costretto” ad inviare truppe regolari inglesi che riconquistarono la regione e aprirono la strada all’effettivo dominio britannico di Egitto e Sudan. L’occupazione sarebbe durata mezzo secolo. Il Madhi sopravvisse ancora pochi mesi, ma fece in tempo a costituire uno stato islamico fondato sulla legge coranica e sulla pratica della guerra santa contro gli infedeli. I suoi successori, detti “mahdisti”, guidati dal suo successore il califfoʿAbd Allāh al-Taʿāysh, furono sconfitti dai britannici il 24 novembre del 1898, ma conservarono un importante ruolo nei successivi sviluppi politici del paese, radunati nel partito politico Umma (Comunità islamica), attivo per tutto il XX secolo e in varie occasioni al governo del Sudan.
Ho voluto riproporre questa pagina di storia sollecitato dalla dimensione messianica dell’Islam che, per quanto di derivazione ebraica, nella cui visione escatologia però si contempla l’avvento del figlio di Dio, è rimasta immutata nel tempo, attende e prepara la venuta di un secondo grande profeta e lo individua periodicamente, con le diverse modalità di volta in volta create dalla Storia.
Essa rilancia l’aspirazione alla conquista dell’intero pianeta attraverso l’indizione della guerra santa, combattendo la quale i caduti conquistano il paradiso islamico e, oggi più concretamente, offrendo alle giovani generazioni una prospettiva ideale contrapposta al “declino dell’Occidente”. Pur trattandosi di una prospettiva chiaramente fuori dalla Storia, tale strategie ben si presta a regolare conti interni alla comunità islamica e soprattutto alla conquista di aree strategiche ancora per decenni fonte di straordinarie risorse economiche ed energetiche.
Nonostante ciò sia ben chiaro ai vertici delle organizzazioni che si disputano la supremazia, la percezione popolare è quella di una rivincita sul mondo occidentale e cristiano di cui non sono state dimenticate le espansioni coloniali, ieri territoriali, oggi economiche e culturali.
Alle masse islamiche sempre più povere e deluse dal fugace ed ambiguo fenomeno delle primavere arabe del 2011, si propone un mondo di purezza spirituale originaria ed identitaria che, pur passando attraverso azioni di una crudeltà assoluta, affascina i giovani estendendosi anche a parte di quelle generazioni di fede islamica nate e cresciute in Europa o negli Stati Uniti e diventate tragicamente il vero punto debole della difesa dal fenomeno, come è stato dimostrato dalla stragi in Europa a partire dal 2015.
Nonostante l’esistenza di ampie fasce del cosiddetto “Islam moderato” (la cui definizione appare tuttavia una contraddizione in termini con le prescrizioni coraniche estremamente chiare circa la guerra santa, la persecuzione/conversione degli infedeli, il ruolo sociale delle donne, la condanna dell’omosessualità, dell’adulterio, ecc..) l’ossessione del Mahdi si ripropone con insistenza e trova terreno fertile in un mondo contemporaneo che giustamente impedito sul piano valoriale non può certo ricorrere alla “politica delle cannoniere” né ignorare i propri doveri di accoglienza verso i profughi, pur esponendosi a rischi molto gravi, in quanto negherebbe se stesso e quei principi che proprio il 4 di luglio del 1776 anticiparono la rivoluzione illuminista dell’89.
Archiviata con il definitivo ritiro delle truppe statunitensi e degli alleati ogni tentazione militare che si tradurrebbe in quel Vietnam di cui tutti conosciamo l’esito e cui si aggiungerebbe la recrudescenza di atti terroristici incontrollabili posti in essere all’interno delle nostre linee, la questione appare priva di soluzioni a breve poiché esse risiederebbero nella piena dimostrazione di quanto in realtà l’evoluzione storica abbia ormai superato la visione fondamentalista e identitaria per evolvere, pur tra mille contraddizioni, verso l’integrazione che rispetta le diversità con l’unico limite invalicabile delle regole comuni, necessarie alla convivenza civile.
Si tratterebbe di una svolta decisiva verso un ruolo cui piuttosto che le armi, possono solo attendere l’istruzione, la cultura e il dialogo ma soprattutto lo sforzo dei paesi occidentali di sottoporre a critica profonda il proprio modello di sviluppo e molti stili di vita la cui combinazione esplosiva, se protratta, alimenterà sempre l’ossessione del Mahdi che si nutre dell’ignoranza e della precarietà economica di masse sterminate diffuse capillarmente in ogni angolo del pianeta. Come un tempo fu per il marxismo-leninismo, esse coniugano nell’opzione fondamentalista più un bisogno di giustizia sociale ed economica che una fede religiosa o politica. Ma, in nome di entrambe, quelle medesime masse sono disposte a sacrificare la propria vita e quella, incolpevole, di quanti li circondano.
L’Europa in particolare, non compia il cinico gesto di Gladstone di fingere di esitare sino all’ultimo per salvare Khartoum al fine di giustificare poi l’intervento imperialista con gli inevitabili strumenti del proprio tempo.
Una globalizzazione non più minacciante che generi come reazione il sorgere di “piccole patrie” ma fonte di una nuova redistribuzione di diritti e di opportunità per tutti, oggi resa ancor più necessaria dalla pandemia da Covid 19 ancora in corso in ogni parte del mondo con situazioni di massima emergenza nei Paesi in via di sviluppo e degli incombenti interrogativi che i cambiamenti climatici pongono in merito all’attuale modello di sviluppo ed alla necessità di provvedere con ogni urgenza possibile ad una nuova visione globale del Pianeta che abitiamo.
L’Unione Europea, progressivamente più autonoma dagli Stati Uniti e stretta tra le istanze del Movimento Friday for Future, i costanti e spietati rimproveri di Greta Thunberg e le nuove generazioni di giovani musulmani in cerca di una mediazione culturale, si chieda piuttosto, se ne è capace, quanta responsabilità ha nella crescita del consenso intorno al fondamentalismo e se l’auspicata transizione su più versanti sia veramente immune da disegni egemonici che, sotto mutate spoglie e con le modalità dell’era digitale, si insinuino dietro l’immagine che vorrebbe dare di se stessa. Un tentativo che, alla prova dei fatti, finora non sembra ancora configurare un modello alternativo che contrasti i fantasmi del passato che altrimenti, con insistenza il mondo islamico continuerà ad evocare, favorendo l’inevitabile conflitto con l’ insorgere dei movimenti neo fascisti anch’essi alla ricerca di un proprio Madhi che potrebbe comparire prima di quanto immaginiamo e tutto ciò con le tragiche conseguenze di una drammatica escalation che coinvolgerà tutta l’Umanità nei prossimi decenni.
In conclusione, restano alcune domande che riportano all’attualità di queste ore: e se l’itinerario arabo normanno di Palermo, Monreale e Cefalù patrimonio di quella stessa Umanità, non fosse solo il riconoscimento del passato ma un segnale che indica il percorso verso per il futuro, inviato a chi nel mondo islamico e in occidente saprà decifrarlo?
Se a questo disegno avessero lavorato da anni menti raffinatissime che operano all’ombra di grandi istituzioni mondiali, note e meno note, dove si aprono spiragli di un dialogo interculturale e interreligioso ad altissimo livello altrove impossibile ? Se la Sicilia, unico luogo al mondo dove l’incontro e la coesistenza tra Occidente e Islam è rimasto un dato costante nel tempo, fosse un laboratorio in cui ricomporre la principale frattura culturale creatasi da oltre mille e cinquecento anni ?
Supposizioni, suggestioni ? O, forse, la realizzazione del sogno universalistico e visionario di Federico II di Svevia, stupor mundi, apparso ai più per secoli indecifrabile e, a tratti, incomprensibile e nascosto nella misteriosa simbologia scritta nelle pietre millenarie delle grandi cattedrali siciliane in cui dialogano la sinuosità araba, il misticismo ebraico e lo slancio verso l’alto delle torri normanne ?
Sono interrogativi che consegno ai miei affezionati lettori de Lo Spessore con cui riprendo da oggi un dialogo spero fruttuoso, dopo la necessaria ricarica che chiunque avverta la necessità di scrivere ha il dovere di riservare a se stesso, percorrendo nuove rotte in cerca di nuovi porti da proporre a ciascuno di noi mentre vive il disorientamento delle tante tempeste di questi anni, terribili e cruciali per il futuro che ci attende e che forse è già il presente.