Quando si parla di “sabbia” di solito si pensa a qualcosa di effimero. Forse quest’idea deriva dai castelli di sabbia costruiti sulla spiaggia e portati via dalla marea. Raramente si pensa alla sabbia come ad una delle risorse naturali più importanti.
Oggi molte città sono, letteralmente, costruite “sulla” sabbia e “con” la sabbia. Negli ultimi decenni, la domanda di cemento, vetro e materiali da costruzione che utilizzano sabbia è cresciuta esponenzialmente. E con l’aumento del numero di persone che lasciano le campagne per andare a vivere in città (secondo le previsioni più ottimistiche, entro il 2050, due persone su tre al mondo vivranno in città) la domanda di sabbia è destinata ad aumentare: è triplicata negli ultimi due decenni, ha raggiunto i 50 miliardi di tonnellate all’anno (dato 2019 Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente UNEP). Secondo le stime la sabbia consumata ogni anno solo per il settore delle costruzioni basterebbe a edificare un muro alto oltre 20 metri e largo altrettanto lungo quanto l’equatore! Un consumo smodato del quale il mercato internazionale di sabbia comincia a risentire. Secondo gli esperti dell’UNEP, non è prematuro parlare di una “crisi della sabbia” (rapporto Sand and Sustainability di UNEP).
Notevoli le conseguenze per l’ambiente legate all’estrazione di sabbia o dei suoi aggregati. Sui letti dei fiumi, nei laghi, nelle spiagge e perfino negli oceani, l’estrazione di sabbia potrebbe avere conseguenze notevoli. A cominciare dall’impatto sull’ecosistema marino: ogni anno, sono state prelevate circa sei miliardi di tonnellate di sabbia marina. “Con un impatto significativo sulla biodiversità e sulle comunità costiere”, si legge sulla piattaforma dati dell’UNEP, Marine Sand Watch. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: erosione dei fondali, salinizzazione delle falde acquifere e aumento dei rischi legati a mareggiate. Anche la biodiversità potrebbe essere a rischio. Già nel 2018, Marc Goichot del World Wildlife Fund (WWF) aveva lanciato l’allarme dicendo che l’estrazione di sabbia dei delta dei fiumi era una pratica pericolosa: “Mantenere la sabbia nei fiumi è il miglior adattamento ai cambiamenti climatici”, disse.
Eppure, diversamente da quanto avviene con altri minerali (molti sono addirittura quotati in borsa), in molte parti del mondo l’estrazione, l’approvvigionamento, l’uso e la gestione della sabbia non sono regolamentati. “L’obiettivo è spostare l’attenzione sulla sabbia come merce e materiale che dovrebbe essere trattato alla stessa luce di altre materie prime minerali, siano essi giacimenti minerari, acqua, petrolio o gas – ha dichiarato Chris Hackney, fra gli autori del rapporto dell’UNEP – Questi sono tutti regolati dal livello locale a quello nazionale, operando all’interno di quadri internazionali standardizzati. Al momento è del tutto assente per la sabbia”.
Secondo l’OCSE, l’uso da parte dell’industria delle costruzioni di sabbia, ghiaia e roccia frantumata supera il consumo globale totale di tutti i combustibili fossili e metalli combinati, misurato in peso. E le stime prevedono che, nei prossimi quattro decenni, la domanda di sabbia e ghiaia per costruzione continuerà a crescere a ritmi vertiginosi. “Le economie emergenti stanno recuperando terreno. Hanno bisogno di [sabbia] per costruire infrastrutture, strade e case”, ha detto Jean Chateau, economista senior presso l’OCSE. “Non c’è assolutamente alcun sostituto. Hai bisogno di rocce e sabbia per costruire il mondo”.
“A partire da ora, vedremo i Governi iniettare molti fondi nelle infrastrutture per rilanciare l’economia, e questo innescherà una grande domanda di sabbia e ghiaia”, ha dichiarato Pascal Peduzzi dell’UNEP. È quanto sta avvenendo in Cina, forse il più grande consumatore di sabbia al mondo: rappresenta il 58% della domanda globale. In questo Paese, i grandi profitti legati all’estrazione della sabbia avrebbero stimolato anche l’interesse di reti criminali che cercano di nascondere le attività di scavo. Spesso avvengono di notte, utilizzando imbarcazioni il cui apparato di dragaggio è nascosto. Secondo le autorità cinesi, il prelevamento illegale di sabbia dal fiume Yangtze coinvolgerebbe decine di bande criminali (e un business stimato in milioni di dollari). Tutto nell’ombra.
In tutto il mondo il commercio di sabbia “è davvero difficile da tracciare”, come ha ammesso Dave Tickner, capo consulente per l’acqua dolce per il WWF. “Sappiamo chi sta scavando questa roba. . . e dove finisce, ma non sappiamo cosa succede nel mezzo”. A confermarlo la discrasia esistente tra i dati relativi al consumo a livello internazionale. Secondo l’OCSE, in tutto il mondo, verrebbero estratte circa 28 miliardi di tonnellate di sabbia ogni anno. Ma secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite, per produrre calcestruzzo per ogni tonnellata di cemento sono necessarie fino a 10 tonnellate di sabbia. E dato che a livello globale, ogni anno, vengono prodotti 4,1 miliardi di tonnellate di cemento, secondo l’US Geological Survey, solo l’industria delle costruzioni richiederebbe più di 40 miliardi di tonnellate di sabbia ogni anno. Una quantità ben maggiore di quella stimata dall’OCSE.
Tra i maggiori importatori mondiali di sabbia ci sono Belgio, Paesi Bassi e Francia. Ma in tutti i Paesi dove si registra una notevole crescita demografica anche la domanda di sabbia sta aumentando in modo esponenziale. Secondo i dati della Comtrade delle Nazioni Unite, l’anno scorso, il Bahrain avrebbe importato più di 570.000 tonnellate di sabbia, la più grande quantità mai registrata. L’India oltre 520.000 tonnellate di sabbia (ma questa stima è datata: risale al 2018, nel frattempo la domanda potrebbe essere aumentata notevolmente). Altro dato sorprendente riguardante l’India: la media annuale degli otto anni precedenti è stata di circa 50.000 tonnellate all’anno. Anche in Thailandia le importazioni di sabbia sono aumentate considerevolmente.
L’aumento della domanda ha fatto crescere le esportazioni. A volte anche quelle illegali. Per far fronte a questo fenomeno e, al tempo stesso, per tutelare le proprie risorse, alcuni Paesi hanno deciso di porre un limite alla possibilità di esportare sabbia, considerata una risorsa nazionale. Nel 2003, l’Indonesia ha vietato le esportazioni di sabbia marina. Quattro anni dopo ha esteso questo divieto anche alla sabbia estratta dalla terra e dai fiumi. Nel 2010, anche in Vietnam si è pensato a misure simili. Nel 2016, la Cambogia ha introdotto un divieto temporaneo (che, nel 2017, è diventato assoluto). In Malesia, già nel 1997 era stato introdotto un divieto riguardante la sabbia. Ma, nel 2015, il governo lo aveva revocato. Poi, vista la crescita insostenibile della domanda, ha recentemente reintrodotto il divieto. Nel 2019, Mahathir Mohamad, primo ministro della Malesia, si è lamentato dei minatori di sabbia “che scavano la Malesia e la danno ad altre persone”.
Il problema, come si diceva, è che il commercio di sabbia è difficile da monitorare. Spesso le leggi nazionali si sono dimostrate difficili da applicare e le attività illegali facili da nascondere. E a livello internazionale la sabbia non è ancora considerata una risorsa primaria. E tutti gli accordi proposti a livello internazionale sono durati poco. Quanto un castello di sabbia sulla riva del mare.