A Palazzo Chigi è stata istituita una cabina di regia tra tutti i ministeri interessati per definire un piano idrico “straordinario”, d’intesa con le Regioni e gli enti territoriali. I primi problemi che dovrà affrontare il gruppo di lavoro appena istituito sono definire un provvedimento normativo d’urgenza per definire semplificazioni e deroghe e poi lanciare una campagna di sensibilizzazione sull’uso responsabile della risorsa idrica. Tra le misure previste dall’esecutivo pare ci sia anche la nomina di un commissario straordinario con poteri esecutivi rispetto a quanto programmato dalla Cabina di regia.
La necessità di adottare misure rapide deriverebbe dalla situazione ormai critica. Secondo l’ultimo bollettino dell’Osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi, l’associazione dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e acque irrigue, l’accesso all’acqua non è una certezza per almeno 3,5 milioni di italiani. “È la dimostrazione del clamoroso errore che fa chi ritiene la siccità un problema prettamente agricolo, pur essendo il settore primario e la sovranità alimentare, i primi ad esserne minacciati” ha commentato Francesco Vincenzi presidente dell’Anbi. Un problema grave che secondo alcuni riguarderebbe soprattutto il nord Italia. La verità invece è che al sud il problema “siccità” esiste da molti anni. Anzi in alcune regioni non si può più parlare di “siccità”, ovvero di un problema temporaneo, ma di “aridità”. Il problema non riguarda solo le regioni dell’Italia settentrionale: alla cabina di regia appena istituita parteciperanno accanto al ministero dell’Ambiente e dell’Agricoltura, e a quello delle Infrastrutture, quello degli Affari regionali, quello della Protezione civile e delle politiche del mare anche il ministero per il Sud e la Coesione territoriale.
Per cercare di rispondere a queste emergenze, il governo ha dichiarato che “intende affrontare quella che potrebbe rivelarsi un’emergenza, tenendo conto della scarsa percentuale di impegno delle risorse idriche effettivamente disponibili e della necessità di abbattere i tempi per opere che riducano la dispersione idrica e permettano la pulizia dei bacini”. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha detto che “su alcuni territori potrebbe essere fondamentale arrivare a un razionamento dell’acqua”. “Serve un ragionamento integrato, che significa avere acqua da bere, acqua per irrigare e per produrre energia. Questo governo ha intenzione di presentare un piano idrico nazionale”. Per questo motivo nei giorni scorsi si è tenuto un incontro interministeriale per l’emergenza siccità per valutare le iniziative per varare a breve e medio termine.
Il settore agricolo sarebbe non solo quello più colpiti ma anche tra i maggiori responsabili dei consumi e della (cattiva) gestione delle acque interne. Da qui l’invito del ministro dell’Agricoltura a puntare sull’agricoltura di precisione tramite investimenti tecnologici, così da risparmiare sul consumo di acqua, e lavorare a colture che richiederebbero minori quantità di acqua per essere coltivate. “Finalmente è stato affrontato il tema dell’acqua non solo come emergenza ma anche per consentire la programmazione necessaria per gestire una risorsa essenziale per l’intera collettività”, ha dichiarato Ettore Prandini presidente di Coldiretti.
Sul fronte opposto, alcuni hanno fatto notare che, tra i mandati affidati al tavolo appena istituito, non ci sono argomenti “importanti”: solo incarichi generici o azioni da realizzare in poco tempo. Una scelta che cozza non poco con le premesse del ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida che aveva ricordato come “negli ultimi 20 anni siamo al quinto evento siccitoso che poteva essere affrontato in modo diverso nella previsione e utilizzo delle risorse”. Lollobrigida ha parlato di una cifra di 8 miliardi di euro che dovrebbero essere sbloccati a breve per affrontare l’emergenza. Come ha ammesso lo stesso ministro si tratta di soldi che “sono lì da qualche anno con l’impossibilità di essere spesi per ragioni burocratiche e normative su cui bisognerà intervenire rapidamente”. Tra le priorità, ridurre le perdite degli acquedotti, che oggi disperdono il 40 per cento delle risorse idriche. E poi la realizzazione del piano di invasi e bacini già esistente, ma che finora si è mosso in modo troppo lento. Tutte opere a medio lungo-termine delle quali non si è parlato.
Come se non bastasse l’Italia ha appena ricevuto dalla Commissione europea l’ennesimo richiamo per non aver rispettato a pieno la direttiva sui nitrati per proteggere le acque superficiali e quelle sotterranee dall’inquinamento causato da fertilizzanti chimici azotati e dai liquami zootecnici smaltiti nei terreni agricoli. In diverse regioni dell’Italia l’inquinamento delle acque sotterranee e superficiali non ha mostrato miglioramenti concreti. Anzi in alcuni casi la situazione sarebbe peggiorata. Il primo richiamo risale addirittura al novembre 2018. Due anni dopo, nel 2020, è stato trasmesso un nuovo sollecito. Ora, dopo quattro anni di inattività, al ministero dell’Agricoltura sono stati dati due mesi per rispondere a queste note e per adottare le misure necessarie. Se questo non avverrà, la Commissione europea potrebbe deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea e chiedere che vengano imposte nuove sanzioni (oltre a quelle che già paga per la gestione delle acque reflue).
Duro il giudizio delle associazioni ambientaliste: in un documento congiunto Acu, Aiab, Federbio, Isde medici per l’ambiente, Lipu, Pro natura, Rete semi rurali, Slow Food Italia e Wwf Italia hanno detto che il comportamento del governo “si sta dimostrando ancora una volta refrattario ad affrontare la questione zootecnica, nonostante le evidenze scientifiche e i richiami europei. È ora di affrontare seriamente l’insostenibilità dell’agricoltura intensiva, in particolare della zootecnia in alcune aree del nostro paese. Purtroppo il Piano strategico nazionale della Pac non sembra andare nella giusta direzione, considerato che il comparto zootecnico risulta ancora riccamente finanziato, ricevendo oltre il 40 per cento dei pagamenti accoppiati”.
Il “richiamo della Commissione europea all’Italia è l’ennesima dimostrazione dell’impatto ambientale insostenibile del modello attuale dell’agricoltura intensiva ancora maggioritario nel nostro Paese, che compromette la qualità di una risorsa strategica come l’acqua, mettendo a rischio la salute delle persone e degli ecosistemi naturali”, hanno aggiunto. Secondo le associazioni ambientaliste, in Italia sarebbe in ritardo anche l’adeguamento alla direttiva Ue 2009/128/CE circa l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (il Piano di azione nazionale è scaduto dal febbraio 2019 e da allora non è stato avviato il nuovo Piano).
Tutte situazioni che confermerebbero che, in Italia, la gestione delle acque fa … acqua da tutte le parti.