La prima è la sentenza della Corte di cassazione sul caso della nave “Asso 28”, un rimorchiatore italiano che, nel 2018, dopo aver soccorso in acque internazionali, nel Mar Mediterraneo, un centinaio di migranti, tra cui donne incinte e bambini, li aveva consegnati alla Guardia costiera libica, senza seguire le procedure di soccorso vigenti. Secondo quanto è emerso, la Asso 28 avrebbe riportato i migranti in Libia. La Corte di cassazione ha evidenziato anche che il comandante avrebbe trascurato di identificare i migranti, di valutare le loro condizioni di salute e di accertare la loro volontà di chiedere asilo. Così facendo, però, avrebbe violato alcuni dei diritti fondamentali delle persone soccorse in mare. A questo si aggiunge l’illegalità legata all’aver consegnato i migranti alla Libia considerata un luogo pericoloso, con rischi di trattamenti inumani o degradanti nei centri di detenzione.
Il capitano della Asso 28 è stato accusato dei “reati di abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci, e di sbarco e abbandono arbitrario di persone”. Nella sentenza si legge che “l’imputato prestava immediato soccorso ai migranti, tra i quali erano presenti donne in gravidanza e minori di anni quattordici, omettendo di comunicare nella immediatezza, prima di iniziare le procedure di soccorso, ai centri di coordinamento e soccorso competenti, l’avvistamento e l’avvenuta presa in carico delle persone, agendo in violazione delle procedure previste per le operazioni di soccorso”. Inoltre, ometteva “di identificare i migranti, di assumere le informazioni in ordine alla loro provenienza e nazionalità, sulle loro condizioni di salute, di sottoporli a visita medica, di accertare la loro volontà di chiedere asilo, nonché di accertare se i minori fossero accompagnati o soli”.
Il secondo processo riguarda la nave Iuventa di proprietà della ONG tedesca Jugend Rettete le associazioni Save the Children e Medici Senza Frontiere (all’epoca dei fatti a bordo della Iuventa). Nel 2017, 24 persone furono accusate di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. La nave venne sequestrata dopo uno sbarco a Lampedusa al termine di una operazione SAR (di ricerca e soccorso) nel Mar Mediterraneo. Vennero avviate indagini: secondo l’accusa, le ONG sarebbero state d’accordo con alcuni scafisti libici per effettuare trasbordi di migranti in mare aperto. Anche il Ministero dell’interno si costituì parte civile per i “danni” subiti dall’azione di Iuventa.
Ma dalle indagini condotte, (con tanto di intercettazioni ad avvocati e giornalisti come ha raccontato Sergio Scandura), non sarebbe emerso nulla di concreto. Per questo, dopo anni di inchieste, è stata la stessa Procura a chiedere al giudice di non andare oltre. Non sarebbe emersa alcuna prova di un accordo tra trafficanti e ONG. Da quanto è emerso si sarebbe trattato solo della risposta alle richieste di aiuto da parte dei migranti (sarebbero stati loro stessi a guidare le carrette del mare).
Due decisioni che confermano, una volta di più, quanto ribadiamo da molti anni: ovvero che, spesso, i migranti soccorsi in mare dovrebbero essere considerato “naufraghi” ed essere trattati come tali. Senza limitazioni (come vorrebbero alcuni) legate alla loro età o alla condizione fisica o al sesso. Ma solo al fatto di trovarsi in pericolo.
Due decisioni che danno entrambe torto a chi vorrebbe ad ogni costo rispedire i naufraghi in Libia o in Paesi poco sicuri dopo averli salvati in mare.