La risposta dell’Europa alla pandemia di COVID-19 è stata lenta e poco chiara. Anche sugli aiuti concessi per aiutare i paesi europei il cui PIL è precipitato sono molti i dubbi e le incertezze.
L’unica cosa sicura (almeno fino ad una smentita ufficiale che, però, non è mai arrivata) è che alcune grandi aziende avrebbero ricevuto aiuti miliardari.
Prime fra tutte le compagnie aeree di bandiera dei paesi dell’Unione. Con i confini nazionali chiusi e la gente bloccata in casa, volare è diventata l’ultima delle priorità. Questo non ha fatto che peggiorare la situazione di molte compagnie aeree già in crisi. Molte compagnie hanno minacciato di dover ridimensionare il personale. Altre hanno minacciato di annullare alcune tratte.
La risposta dei governi e della Commissione Europea è stata sorprendentemente veloce. “Sorprendentemente” per diversi motivi: il primo è che gli aiuti sono stati destinati alle compagnie aeree “di bandiera”, quelle nazionali; alle altre sono andate – forse – le briciole. Poi perché, in realtà, molte di queste aziende erano in condizioni estremamente critiche ben prima che si diffondesse la pandemia e venissero chiusi gli aeroporti. A questo si aggiunge che non si capisce perché concedere aiuti immediati a grandi imprese e non fare lo stesso per le piccole imprese o le imprese artigiane che, numeri alla mano, hanno un peso ben maggiore sia sul PIL (e sull’indotto) che sull’occupazione (con ripercussioni notevoli quindi anche sul sociale e sulle prospettive di ripresa).
Ma la cosa più impressionante è il volume degli aiuti concessi a queste imprese immediatamente, senza guardare ad alcun piano di ripresa o di rilancio: si va dai 600 milioni di euro per la compagnia di bandiera austriaca ai 9 miliardi di euro per la tedesca Lufthansa! Le polemiche non sono mancate. La vice-presidente esecutiva della Commissione Europea, Margrethe Vestager, è stata la prima a criticare queste misure dicendo che una tale diversità di aiuti potrebbe generare una concorrenza sbilanciata e minare i fondamenti del mercato unico europeo.
Il caso Lufthansa è emblematico: perché concedere 9 miliardi di euro di aiuti ad una azienda che ne vale meno della metà (nel migliore dei casi)?
È vero che dei 763 aerei di proprietà della compagnia, quasi 700 sono stati costretti a rimanere a terra e che 87.000 lavoratori sono stati posti in regime di orario ridotto, ma la perdita netta registrata nel primo trimestre del 2020 è stata stimata in 2,1 miliardi di euro. Non si capisce quindi perché concedere aiuti per oltre il quadruplo. Specie dopo la stipula dell’accordo siglato dal sindacato tedesco Ufo che prevederebbe tagli per 500 milioni di euro, con riduzione degli stipendi e delle ore di volo, un pacchetto di prepensionamenti e l’eliminazione dei congedi non retribuiti per gli assistenti di volo della Lufthansa.
Situazione analoga per la compagnia di bandiera francese Air France per la quale si è parlato di sette miliardi di euro di aiuti. Anche in questo caso, questo finanziamento, già approvato dalla Commissione, non servirà solo a compensare le perdite ma a permetterle di non dover annullare l’ordine di 100 nuovi velivoli commissionato a Airbus, tra cui 38 A350 a lungo raggio. Più che di salvataggio sembrerebbe quindi un vero e proprio mega finanziamento per risollevare dalla crisi la compagnia di bandiera francese.
Anche la compagnia di bandiera olandese, KLM, navigava in cattive acque e pare fosse già in crisi prima della pandemia: al punto che pare rischi la bancarotta se non riceverà entro il mese di luglio un fiume di euro (il governo sta discutendo un piano tra i 2 e i 4 miliardi di euro). Una montagna di euro anche per la TAP, compagnia di bandiera portoghese: il prestito di 1,2 miliardi di euro è stato approvato nei primi di giugno dall’autorità per la concorrenza della Commissione Europea, che ha parlato del ruolo cruciale del vettore nel settore turistico del paese. Dimenticando che anche la TAP era in difficoltà ben prima dell’avvento del corona virus. Ancora una volta il finanziamento approvato andrebbe ben oltre le reali necessità dell’azienda visto che secondo il ministro delle Infrastrutture portoghese Pedro Nuno Santos il debito dell’azienda si aggirerebbe intorno agli 800 milioni di euro.
Pioggia di euro anche per Alitalia che dovrebbe ricevere oltre 3 miliardi (da vedere se destinati alla CAI o alla LAI, le due facce – quella buona e quella cattiva – della medaglia Alitalia create qualche anno fa e costate altri miliardi di euro ai contribuenti). Una somma enorme che, secondo uno studio del Corriere della Sera sugli aiuti di stato alle compagnie, piazzerebbe la compagnia di bandiera tricolore al primo posto in Europa come “aiuti per passeggero”: ben 141 euro a passeggero (che però, non hanno impedito il rincaro dei prezzi praticato dalla compagnia). Seconda Air France (7 miliardi di aiuti di stato, con 133,3 euro a passeggero). Terza Lufthansa (9 milioni di euro per 126,2 euro per “cliente salito sul velivolo”). Lontane altre compagnie di bandiera europee: Finnair avrebbe ricevuto “solo” 84,6 euro di aiuti per viaggiatore, e la compagnia di bandiera austriaca appena 30,7 euro a passeggero. Cifre molto diverse ad altre compagnie che operano sullo stesso mercato.
Miliardi di euro che, secondo alcuni, dietro al paravento della tutela occupazionale e della risposta alla pandemia, nasconderebbero la volontà di tenere in vita quelli che alcuni hanno definito “baracconi aziendali costosissimi”. In Italia, ad esempio, il sostegno pubblico alla compagnia di bandiera dura ormai da tanti, troppi anni. E i “piani di ripresa” dei manager costati centinaia di migliaia di euro (i manager, non i piani di ripresa), non sono serviti a nulla.
Ma la cosa più impressionante è forse la dimensione complessiva degli aiuti concessi celermente a compagnie aeree (sono pur sempre aziende private, sebbene a compartecipazione pubblica): secondo le stime della IATA, l’associazione mondiale del trasporto aereo, a causa della pandemia, alle compagnie sarebbero stati concessi aiuti per la stratosferica cifra di 120 miliardi di dollari: 67 di sussidi governativi, compresi 5 miliardi di tasse differite e 12 miliardi di prestiti a garanzia; e poi circa 53 miliardi in prestiti bancari garantiti (23 miliardi), obbligazioni (18), leasing (5) e altri crediti. Il direttore generale della IATA, Alexandre de Juniac, ha dichiarato: “La prossima sfida sarà impedire alle aziende di annegare sotto il peso del debito creato dall’aiuto”.
Una montagna di aiuti senza precedenti (chissà come mai la presidente della Commissione Europa, così premurosa nel parlare dei miliardi di aiuti per la ripresa o nell’accogliere la piccola Greta Thumberg, ha dimenticato di citarli; e anche la piccola Greta non ne ha parlato sebbene l’impatto sull’ambiente del trasporto aereo sia noto).
Lascia a bocca aperta anche il confronto con quanto avviene in altre parti del pianeta: negli Stati Uniti d’America, il Care Act (anche questo da 2mila miliardi ma di dollari) ha previsto per le compagnie aeree, un mix di prestiti e sovvenzioni per una cifra molto minore: circa 25 miliardi di dollari. Senza contare che, oltre oceano, a beneficiarne sono state non solo le compagnie di bandiera nazionali ma anche le più piccole, da JetBlue ad Alaska air, da Fronter a Skywest. Anche il governo inglese avrebbe previsto aiuti per le aziende non di bandiera: 700 milioni Ryanair e EasyJet (Virgin Atlantic invece si è vista rifiutare la richiesta di 573 milioni dal governo inglese pare perché il suo maggior azionista, Richard Branson, paga le tasse alle Virgin Island, nei Caraibi – viene da pensare ai miliardi di aiuti concessi al gruppo FCA).
É innegabile che la pandemia ha avuto effetti devastanti sul settore del trasporto aereo: secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile ICAO la perdita per il solo settore civile dovrebbe aggirarsi su 1,5 miliardi di passeggeri (entro la fine del 2020)!
C’è da riflettere sul fatto che, secondo alcune stime, le centinaia di miliardi di euro di aiuti concessi a queste grandi aziende non serviranno solo a far fronte ai danni causati dalla pandemia, ma anche a finanziare piani di ammodernamento e rilancio del settore che da anni, in Italia come in molti altri paesi europei, è in crisi. Resta da capire in base a quale principio i governi e la stessa Commissione Europea hanno scelto di concedere centinaia di miliardi di aiuti al settore del trasporto aereo e non hanno fatto lo stesso per altri settori altrettanto importanti per l’economia. A cominciare dalle piccole e medie imprese alle quali andranno, forse, cifre ben minori. Somme che impediranno a decine di migliaia di imprese (solo in Italia) di riaprire e di riprendere il volo dopo la pandemia.