Katiuscia Girolametti è mamma di tre bambini: Daniele, Manuel e Leo. Daniele è un bambino autistico. Anzi con ADS (Sindrome da Disturbo Autistico), come sarebbe più corretto dire. Sì perché l’autismo NON è una malattia. É un modo di essere diversi. Molti, però, in un mondo in cui tutto è uguale e standardizzato all’inverosimile, si ostinano a non capirlo. É per questo che Katiuscia ha deciso di parlare di tutto questo. Per raccontare la propria esperienza, ha scritto diversi libri (tra gli altri, “Firmato tua F., quando dell’amore diventi vittima” e “N.5 non ne è un profumo né un mambo” e, l’ultimo appena pubblicato, “La normalità è sopravvalutata”). In questi libri descrive la propria vita in modo così semplice e chiaro che pochi potrebbero fare meglio. É questo che caratterizza tutte le sue opere (scrive anche poesie, aforismi e adora la fotografia): la sua attenzione verso la diversità vista come una forma di diversa normalità e non come un handicap.
L’INTERVISTA
Buongiorno e grazie di averci dedicato un po’ del suo tempo per rispondere alle nostre domande. Secondo alcuni la diagnosi precoce dell’ASD non è semplice. Nonostante la sua diffusione, diagnosticare l’ASD sarebbe difficile: non esiste un test medico, come un esame del sangue o simile, in grado di rilevarla con certezza. A questo si aggiunge che, spesso, i minori con ASD presentano anche altre patologie: epilessia, depressione, ansia e disturbo da deficit di attenzione iperattività (ADHD). Quando vi siete accorti che Daniele non si comportava come gli altri bambini?
Noi ci siamo accorti che Daniele aveva difficoltà quasi subito in quanto al 4° mese non teneva il capo dritto, al 6° mese non restava seduto da solo e, ovviamente, al 12° mese di vita non camminava e non cammina tutt’ora che ha 11 anni. Così come anche nel linguaggio… La diagnosi precoce è uno strumento validissimo se accompagnato da altrettante cure che non siano limitate solo esclusivamente alla ricerca ma alla “cura” intesa proprio come presa in carico della persona e accompagnamento in un percorso neuro-riabilitativo completo; non bastano le 2 orette settimanali di fisioterapia o 1 ora a settimana di logopedia. La giornata dei nostri ragazzi è di 24 ore e c’è tanto lavoro da fare perché si può davvero fare molto.
Per i bambini con ASD fondamentale non è solo l’aspetto medico ma soprattutto quello sociale: il loro modo di comunicare, di interagire, di comportarsi e di apprendere è estremamente differente rispetto a quello dei coetanei. Così come diverso è il loro modo di reagire agli stimoli esterni. Quanto influisce tutto questo nei rapporti genitore/figlia o tra fratelli?
Come ha detto lei, l’ambiente esterno influisce in modo determinante sulla crescita dei ragazzi, gran parte del lavoro lo facciamo noi genitori nel trasmettere amore verso il prossimo: a casa nostra vige una regola fondamentale da seguire, non esiste la parola “è compito tuo”, tutti devono sapere fare tutto e si aiuta chi è in difficoltà. L’armonia e la serenità portano l’indipendenza e il rispetto del prossimo. Daniele è un bambino che sa amare e credo sia la sua forza più grande, dopo la determinazione. Quindi non ho dubbi sulla sua riuscita nella vita sociale quando sarà adulto.
La sua presenza sui media e in rete è molto frequente, non si sente mai parlare di suo marito.
Mio marito vive la nostra situazione in modo completamente diverso da come la vivo io. Questo non vuol dire che non dedichi altrettanta attenzione e cure ai nostri figli. Solo vive questa situazione in modo diverso.
Man mano che i bambini che presentano ASD diventano adolescenti (e poi adulti), i problemi sociali, per molti di loro, aumentano. A volte, però, vengono socialmente stigmatizzati e discriminati. Pensa che queste barriere derivino dalla scarsa conoscenza dell’ASD da parte della gente?
Per nostra fortuna sembra che qualcosa, nel corso degli anni, sia cambiato a livello umano e sociale. Ma c’è ancora molto da fare ed è compito nostro. Dobbiamo far conoscere di più la disabilità, la conoscenza batte l’ignoranza.
A questo proposito, lei ha scritto un libro bellissimo: “N.5 non ne è un profumo né un mambo” (un altro, sullo stesso tema, uscirà a giorni). In questo libro racconta la sua vita, il quotidiano che devono affrontare le famiglie con un adolescente con ASD come suo figlio Daniele. Ce ne vuole parlare?
La normalità è sopravvalutata: cerco di portare il lettore in un punto di riflessione importante raccontando semplici storie che viviamo nel quotidiano. Si parla molto della diversità e molte volte si parla troppo e male ma io mi chiedo: che cos’è la normalità?
Grazie.
Dopo aver ascoltato Katiuscia, cominciamo a comprendere il significato delle sue parole: “Essere mamma di un bambino autistico è come essere mamma di un bambino non autistico”. Ma questo, molte persone, forse troppe, non l’hanno ancora capito.
Di autismo (o meglio di Sindrome da Disturbo Autistico), purtroppo, si parla poco. Il 2 Aprile si celebra la Giornata Mondiale dell’Autismo. Al di là di questo momento, però, l’attenzione che viene dedicata a questo tema è limitata. Eppure, secondo le ultime stime, in tutto il mondo, almeno un bambino su 160 soffre di ASD. Anzi, in alcuni paesi, questa percentuale è ancora peggiore: nel 2018, negli USA, i CDC, i Centers for Disease Control and Prevention, hanno pubblicato un rapporto nel quale si parla di un bambino ogni 59…
Da anni, l’OMS ha preso a cuore quella che, secondo alcuni, non dovrebbe neanche essere definita una patologia. A Maggio 2014, la Sessantasettesima Assemblea Mondiale della Sanità ha approvato un documento intitolato “Sforzi completi e coordinati per la gestione dei disturbi dello spettro autistico (ASD)” (risoluzione WHA67.8). Con questo documento l’OMS esortava gli Stati membri a collaborare con le agenzie partner per rafforzare le capacità nazionali di far fronte affrontare all’ASD e ad altri disturbi dello sviluppo. Purtroppo, ancora oggi, questa risoluzione è stata sottoscritta da poco più di 60 paesi (su 196 facenti parte delle NU).
La realtà è che, ancora oggi, milioni di bambini come Daniele rischiano di non ricevere dalla società l’attenzione che merita. La loro colpa? Nessuna: non possono neanche essere definiti “malati”, semplicemente sono diversi: hanno un “disturbo” (come lo definiscono i medici) che non sanno neanche di avere…