In questi ultimi giorni non si fa che parlare della modella Ashley Graham che ha deciso di mostrare le smagliature sul suo pancione. Diverse testate giornalistiche, come La Repubblica, hanno voluto raccontare ai propri lettori il gesto di questa giovane mamma.
Sì, perché la donna, incinta di due gemelli e quasi pronta a partorire, ha posato nuda per uno scatto su Instagram, mettendo in primo piano le smagliature della pancia. Un post che ha ottenuto un milione di like in meno di 20 ore.
Il messaggio che ha scritto è stato: “Sono come l’albero della vita”, citando il marito Justin Ervin con il quale ha avuto il primo figlio nel 2020.
Da sempre paladina del body positivity non ha perso occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica documentando, giorno per giorno, i cambiamenti del suo corpo durante tutta la gravidanza.
Un inno alla normalizzazione della trasformazione del corpo di una donna incinta. Infatti, dopo il primo figlio aveva mostrato senza problemi le sue smagliature e la perdita di capelli post-partum diventate virali.
La modella non ha mai usato filtri e non ha avuto nessun timore a mostrarsi al suo pubblico. Tantissime le donne dello spettacolo e le cantanti che si spendono per aiutare le donne a far pace con il proprio aspetto fisico.
Ormai, da diverso tempo, si parla di body positivity e sui social sono tante le Influencer o le TikToker che cercano di trasmettere messaggi intelligenti a favore di un rapporto più rilassato con il proprio fisico, contro un’idea di perfezione astratta e irreale che può danneggiare seriamente la mente e il corpo di chi segue – magari non del tutto consapevolmente – modelli negativi e diseducativi.
Facebook ha condotto una ricerca ed è emerso che una ragazza su tre, che naviga regolarmente sulle pagine Instagram, ha una percezione distorta del proprio corpo e questo genera in lei sofferenza e depressione.
Certamente, Facebook ha replicato che si è trattato di una ricerca interna basata su un questionario di autovalutazione e su un campione ristretto di utenti, ma è evidente che il problema esiste e va affrontato.
Nell’era della vetrinizzazione il modo di presentarsi, l’essere grassi o magri, alti o bassi, il modo di vestire, di truccarsi, scatenano il linguaggio d’odio e forme di discriminazione.
Il classico hater è solitamente una persona normale nella vita reali che si trasforma sul Web. I meno pericolosi sono i trolls, coloro che provano gusto a disseminare dissenso, attaccare un’idea o una persona, e si lanciano con commenti provocatori, nella speranza che la vittima risponda e così si apra un dibattito all’ insegna dell’animosità.
I più pericolosi sono i five stars haters, gli odiatori a cinque stelle, coloro che non vogliono solo irritare o offendere, ma intendono scatenare gli istinti più bassi degli interlocutori, e così minare le fondamenta della società, avvelenare le comunità, generare odio, razzismo e misoginia.
La crescita del fenomeno haters è la rappresentazione più evidente di una assuefazione alla violenza. Pullulano sul web dai Social ai Blog alle Chat. Esiste anche una forma di aggressività più estesa e più intensa, chiamata hate speech, dove l’interlocutore non è presente fisicamente così il linguaggio veemente si rafforza.
Secondo una ricerca condotta da Università la Sapienza e Vox Osservatorio sui diritti il 63% delle vittime sono proprio le donne.
I risultati delle pesanti critiche mosse sul Web possono essere pericolosi e devastanti, poiché generano il cyberbullismo, sconvolgendo la stabilità emotiva della persona che finisce in questa terribile trappola.
I modelli di consumo trasmessi in questa nuova logica spinta da canoni di bellezza standard, influenzano i comportamenti dei ragazzi, e in particolare delle ragazze, che si trovano schiacciate tra due dimensioni: tra quella di una indipendenza e autodeterminazione formale, e dinamiche ancora fortemente maschiliste e misogene.
Cosi come afferma Shariff S. “La cultura di massa e la cultura dello stupro inviano messaggi contrastanti[…]. Da un lato le ragazze vedono esempi di adulti e di potenti celebrità che pubblicizzano la propria sessualità, dall’altro vengono umiliate e additate come “sgualdrine” se osano postare immagini intime di se stesse o se infrangono i taciti confini di ciò che è accettabile in certi gruppi di coetanei. Lo slut-shaming è anche sintomo di una “cultura dello stupro” misogina, in cui la società adulta perpetua e sostiene esempi di comportamento maschile che spingono gli adolescenti e i giovani maschi adulti a dar prova della propria virilità“.
Bisogna dare un segnale molto forte alle nuove generazioni, o a chiunque nutra un complesso di inferiorità a causa del suo aspetto fisico, per riuscire a osservare, al di là delle proprie imperfezioni e i “difetti”, quanta bellezza sia presente nel corpo di una donna, indistintamente dalle forme o dalle proporzioni. Non serve omologarsi, ma è necessario riconoscere gli stereotipi ed accettarsi. Non contano i “like” o i “cuoricini” che riceviamo sui social, perché la vita reale è ricca di altre soddisfazioni e gioie ben più importanti.
Ricordiamoci una bellissima frase di Rita Levi Montalcini: “Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”. Una citazione che ci aiuta a capire la forza e il potere della nostra mente.
Fermiamoci a riflettere, perché nella continua ricerca della perfezione si nasconde il dramma di tanti giovani preadolescenti e adolescenti. Ci lamentiamo della “mercificazione” del corpo, ma allo stesso tempo non siamo in grado di combattere questa assurda battaglia e continuiamo ad arrenderci facilmente.