Nei giorni scorsi, è stato pubblicato il rapporto Oxfam “Come la crisi climatica sta alimentando la fame in un mondo già affamato”. Prendendo spunto da ciò che sta avvenendo in Pakistan, dove un terzo del territorio è allagato, i raccolti spazzati via e buona parte delle infrastrutture distrutte, i ricercatori hanno analizzato gli effetti dei cambiamenti climatici in termini di carenza di risorse alimentari in diversi paesi del mondo.
Negli ultimi 50 anni, gli eventi meteorologici estremi si sono quintuplicati, distruggendo case, strade e ponti ma, soprattutto, decimando i mezzi di sussistenza e aumentando le disuguaglianze. Con effetti peggiori proprio nei paesi più poveri, quelli meno “resilienti” (giusto per usare un termine ormai abusato ma mai come in questo caso appropriato). Oxfam ha esaminato alcuni dei peggiori hotspot climatici nel mondo dal 2000: Afghanistan, Burkina Faso, Gibuti, Guatemala, Haiti, Kenya, Madagascar, Niger, Somalia e Zimbabwe. Tutti paesi accomunati dal fatto di avere un clima più caldo, più umido o più secco, ma sempre colpito da cambiamenti drastici. I risultati sono impressionanti: in tutti questi paesi, solo negli ultimi sei anni, la fame acuta è più che raddoppiata, passando da 21 a 48 milioni di persone. E in ciascuno di questi paesi la “correlazione tra crisi meteorologiche e aumento della fame” “è netta e innegabile”. Eppure in questi paesi le emissioni di CO2 non sono elevate. Collettivamente, questi paesi sono responsabili solo dello 0,13% delle emissioni globali di CO2. Non sono loro i diretti responsabili dei cambiamenti climatici. Anzi. Purtroppo, però, tutti questi paesi rientrano nel terzo inferiore dei paesi meno preparati ad affrontare i cambiamenti climatici. E le relative conseguenze. Farlo richiederebbe misure costose anche solo per costruire sistemi alimentari più “resilienti” che funzionino anche per le fasce sociali più deboli.
Misurare l’esatto impatto dei cambiamenti climatici sulla fame è estremamente difficile. Ciò deriva dal fatto che la natura stessa della fame è diversa e complessa. Di certo, però, esiste un rapporto che lega certi eventi climatici estremi (come siccità, incendi, tifoni, inondazioni) alla fame. Pare che la crisi climatica sia una sorta di moltiplicatore di tali minacce. Sia che si manifestino con eventi improvvisi (cicloni, alluvioni o altro) sia che siano legate a eventi a insorgenza lenta (come l’innalzamento del livello del mare). In entrambi i casi, questi eventi hanno gli stessi effetti: “causano perdite di raccolti, bestiame e pesca, degradano il suolo e gli ecosistemi e interrompono le catene alimentari locali, facendo salire alle stelle i prezzi degli alimenti”. Secondo gli esperti, tra il 2008 e il 2018, “la sola siccità è costata ai paesi a basso e medio reddito circa 37 miliardi di dollari in perdite di raccolti e bestiame”. Questo può non essere un problema per un paese ricco, ma di certo lo è per un paese povero.
Come più volte ribadito [nel 2016, ne parlammo in un libro dal titolo “Guerra all’Acqua, ed. Rosemberg e Sellier] è molto chiaro il rapporto che lega cambiamenti climatici, fame e accesso all’acqua potabile. I cambiamenti climatici colpiscono duramente le risorse idriche, alterano i tassi di precipitazione ed evaporazione e i livelli delle acque potabili sotterranee. Attualmente, quasi un quarto della popolazione mondiale (1,8 miliardi di persone) vive in aree soggette a stress idrico. Le previsioni dicono che questo numero raddoppierà entro il 2030. “La mancanza di acqua pulita ha un impatto diretto sul cibo delle persone proveniente da colture e bestiame, sul loro reddito e sulla loro salute”. In molti paesi, il tasso di crescita delle principali colture alimentari (come il mais e il grano) sta già rallentando a causa della diminuzione delle risorse idriche e delle malattie che colpiscono le piante. Nelle regioni semi-aride, l’80% o più della variazione annuale della produzione di cereali è strettamente collegato alla variabilità climatica. In alcuni casi, poi, i cambiamenti climatici fungono da moltiplicatori, amplificando indirettamente i rischi economici, sociali e politici esistenti.
A peggiorare questa situazione già grave le disparità sociali sempre più diffuse. In molti paesi, le disuguaglianze di genere sono ancora profondamente radicate. Le donne mangiano meno e mangiano per ultime. In tutti i continenti la prevalenza dell’insicurezza alimentare ha effetti più rilevanti sulle donne che sugli uomini (sorprendentemente le maggiori disparità sono state riscontrate non i Africa o in Asia ma in America Latina). A queste barriere se ne aggiungono altre. Come la discriminazione patriarcale che nega alle donne il diritto alla proprietà della terra o la parità di retribuzione. In Mali, ad esempio, oltre il 50% delle donne lavora nell’agricoltura, ma solo il 5% di loro ha un titolo di proprietaria terriera. E ancora. Durante le crisi, sono i beni delle donne i primi ad essere venduti. Disparità, sia sociali che economiche, che hanno effetti negativi anche sulla salute delle donne. In Africa, quando manca l’acqua, sono le donne e le ragazze a dover percorrere distanze sempre più lunghe per andare a rifornire la famiglia. Le ragazze che devono portate l’acqua casa sono il 62%, i ragazzi solo 38%. A volte si impiegano fino a 20 ore o più a settimana per questo lavoro domestico. Con conseguenze importanti sulla salute: spesso le donne e le ragazze soffrono di artrite precoce e sono vittime di attacchi a sfondo sessuali. Molte ragazze, inoltre, sono costrette a rinunciare alla scuola per aiutare la famiglia per questo tipo di lavori domestici.
Tutto questo non può non avere ricadute sui flussi migratori: condizioni meteorologiche estreme che causano carenza di acqua e cibo, costringeranno milioni di persone a spostarsi. Non è un caso se l’unico evento italiano (realizzato dalla Scuola Nazionale Ambiente di Movimento Azzurro) all’IMRF il Forum mondiale sull’analisi dei fenomeni migratori organizzato a maggio scorso dalle Nazioni Unite e dall’IOM verteva proprio sul tema dei “migranti ambientali”:
In tutto il mondo (anche nei paesi più sviluppati), la fame indotta dai cambiamenti climatici è strettamente legata alla disuguaglianza. E mentre i leader mondiali stanno ancora cercando capire cosa fare per non disturbare troppo le grandi aziende e le multinazionali, e trovare una alternativa ai combustibili fossili, in altri paesi, milioni di persone stanno già morendo di fame a causa dei cambiamenti climatici di cui non sono responsabili.