Alla fine del 2022, a Ischia, una frana produsse un fiume di fango che causò morti, feriti, sfollati e danni enormi al territorio. Molti parlarono di “urgenza”, di “emergenza”, di “evento straordinario”. Poi, un’analisi più attenta mostrò che quello che era avvenuto non era affatto un’ “emergenza” ma solo l’ennesimo evento estremo annunciato. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo diversi eventi analoghi avevano casato gli stessi danni nello stesso posto: il 24 ottobre 1910, su Ischia si erano verificati forti precipitazioni che avevano causato smottamenti e danni ingenti. I giornali del tempo avevano parlato di precipitazioni copiose ma anche di una “insufficiente incanalazione” che aveva impedito una corretta gestione dei flussi; “causa non ultima né trascurabile il diboscamento”, avevano scritto i giornalisti de “La Vedetta del golfo” il 10 novembre 1910. Nei giorni scorsi, tutti media hanno parlato del disastro nella zona di Valencia in Spagna. Dei morti causati dall’evento e delle polemiche sorte durane la visita del sovrano (accompagnato dalla regina in lacrime). Quello che nessuno ha detto è che anche questo potrebbe non essere un evento unico: il 14 ottobre 1957 nella stessa zona, piogge copiose avevano causato l’esondazione del fiume Turia e invaso diverse aree della città causando provocando 400 morti e migliaia di feriti. Furono quasi seimila le abitazioni distrutte e migliaia di persone rimasero senza tetto.
Le immagini riportate nei giornali dell’epoca mostrano uno scenario che ricorda molto da vicino quello dei giorni scorsi. Due casi analoghi, due disastri ambientali, che sarebbe sbagliato chiamare emergenze. Due casi, ma scavando negli archivi storici dei giornali del secolo scorso se potrebbero trovare altri, solo apparentemente diversi, accomunati da tre aspetti. Il primo è che sono causati dalla cattiva gestione delle acque. Il secondo è che non sono né emergenze né novità legate ai cambiamenti climatici: se da un lato è vero che molti di questi eventi estremi si manifestano con una frequenza maggiore, è altrettanto vero che non sono delle novità assolute. Il terzo, e forse il più importante, è che si tratta dell’ennesima dimostrazione della cattiva gestione di questi fenomeni estremi. Anche quando studi e rapporti avevano messo in guardia.
Nel caso del 2022 a Ischia, i dati del Rapporto ISPRA sul dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio – Edizione 2021, avevano segnalato che “le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria”. A Valencia, ci sono documenti che riportano di inondazioni disastrose risalenti almeno al XIV secolo d.C.. Dopo quello del 1957, il governo di Francisco Franco avviò un piano per deviare la Turia a sud del centro della città, a tre chilometri dal suo percorso originale. Una misura per proteggere il centro della città, ma non sufficiente a evitare che l’allagamento delle città più a sud. Per aumentare la sicurezza di queste zone, nel 2008 era stato proposto un nuovo programma di infrastrutture idrauliche del costo di circa 200 milioni di euro. Ma buona parte di quel progetto non è mai stata completata, lasciando quelle città vulnerabili a gravi inondazioni. A questo – come per Ischia – si è aggiunta, dal 1997 al 2007, una massiccia opera di urbanizzazione con superfici “impermeabili” (strade ed edifici) che hanno impedito all’acqua di penetrare nel terreno. Alla fine, come era facile prevedere, l’acqua accumulata si è riversata nel fiume causando l’esondazione. Già nel 2019, un evento simile aveva ucciso sei persone a Vega Baja del Segura. Non ha alcun senso parlare né di emergenza né di imprevista. Pochi giorni prima dell’ultima esondazione erano stati lanciati degli allarmi precisi. Il 25 ottobre 2024, il meteorologo dell’AEMET Juan Jesús González Alemán aveva avvertito che l’imminente caduta fredda poteva trasformarsi in una tempesta ad alto impatto. Ma nessuno lo aveva ascoltato. Da molti anni, l’UNDRR delle Nazioni Unite offre alle città la possibilità di migliorare la conoscenza dei rischi legati alle emergenze e l’opportunità di scambiare buone prassi per prevenire eventi come questi. Dal 2022 è stato lanciato un programma che prevede di dotare tutte le città di sistemi di allerta precoce multi-rischio. Ma solo metà dei paesi a livello globale è protetta. E per strano che possa sembrare, i numeri sono ancora più bassi per i paesi in via di sviluppo: meno della metà dei paesi meno sviluppati e solo un terzo dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo dispongono di un sistema di allerta precoce multi-rischio.
Oggi, delle 100 città in più rapida crescita al mondo per popolazione, 84 sono a rischio estremo di eventi critici e 14 sono ad alto rischio (oltre il 95% delle 234 città considerate a rischio estremo si trova in Africa e Asia). Per contro, l’86% delle 292 città a basso rischio si trovano in Europa e nelle Americhe. Entro il 2050, 1,6 miliardi degli abitanti di oltre 970 città saranno a rischio eventi estremi causati da temperature estremamente elevate e oltre 800 milioni di persone, che vivono in 570 città, saranno vulnerabili all’innalzamento del livello del mare e alle inondazioni costiere. “Tutte le persone sulla Terra devono essere protette da sistemi di allerta precoce entro cinque anni”, aveva dichiarato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, nel 2022.
Ma forse in Spagna (a Valencia e a Ischia) nessuno sembra aver ascoltato il suo appello. E mentre i media, il governo centrale spagnolo e la popolazione locale piangono sull’ “acqua versata”, il totale dei danni e dei morti cresce ogni volta di più.