In questi giorni si è tornato a parlare di Ucraina. Non del fronte militare: di quello non si parla più da settimane. E nemmeno delle mancate elezioni presidenziali: previste per la primavera 2024, non si sa se e quando si terranno. Così come della scomparsa (giusto per usare un eufemismo) di centinaia di milioni di dollari in armi e armamenti regalate all’Ucraina dai Paesi occidentali: dopo il report ufficiale degli USA nel quale si parlava di oltre un miliardo di dollari in armi e armamenti di cui si erano perse le tracce, nei giorni scorsi è venuta a galla la sparizione di un’altra quarantina di milioni di dollari di aiuti dei quali non si sa più che fine abbiano fatto.
Nei giorni scorsi, i Paesi del G7 (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Giappone) e dell’Unione Europea hanno deciso di rinnovare il proprio sostegno al governo di Zelensky concedendo altri 50 miliardi di dollari di aiuti, da ora fino al 2027. Quello che hanno dimenticato di dire è che questa somma (tutt’altro che bruscolini: si pensi a quanti problemi potrebbero essere risolti con tutti questi miliardi), probabilmente, non servirà a nulla. Per diversi motivi.
Il primo è la situazione finanziaria di questo Paese. Secondo Il Fondo Monetario Internazionale, il debito pubblico dell’Ucraina è praticamente un pozzo senza fondo. Solo per il 2024, il Fondo Monetario Internazionale stima il deficit di finanziamento dell’Ucraina superiore ai 40 miliardi di dollari. Gli aiuti dei Paesi del G/ e dell’UE non basterebbero nemmeno a coprire questo. Ma non basta: secondo le stime della Banca Mondiale, il fabbisogno a lungo termine dell’Ucraina per la ricostruzione ammonterebbe a 411 miliardi di dollari. Alcuni Paesi europei hanno espresso scetticismo sulla decisione di continuare a versare montagne di denaro all’Ucraina. “Tutti si rendono conto che 50 miliardi di euro non sono sufficienti”, ha detto Johan Van Overtveldt, conservatore belga che presiede la commissione Bilancio del Parlamento europeo.
A questo si aggiunge un’altra riflessione. I 50 miliardi di euro che l’UE dovrebbe regalare all’Ucraina dovrebbe provenire dal bilancio centrale. Questo, sulla carta, non dovrebbe inficiare altre voci di spesa già in crisi (si pensi alle polemiche di questi giorni sulle politiche agricole). Per questo motivo si starebbe pensando di trovare altrove i fondi. Tra le soluzioni proposte ci sarebbe quella di consentire a Kiev di emettere dei “bond zero coupon”, ovvero dei titoli di stato senza cedole periodiche ma con interessi pagati tutti insieme al momento della restituzione del prestito. Ma vista la voragine dei debiti dell’Ucraina nessuno comprerebbe questi titoli. Per questo, alcuni “furbetti” dell’alta finanza hanno pensato di utilizzare, a garanzia di questi bond, gli asset della banca centrale russa congelati in Europa il cui valore si aggira intorno ai 250 miliardi di euro.
Inutile dire che esistono fortissimi dubbi sulla legittimità e sulla legalità di questa manovra: finora nessun tribunale si è pronunciato su questi fondi e Mosca ha annunciato l’intenzione di ricorrere in ogni sede contro iniziative di questo genere.
Il trucco sarebbe continuare a [fingere di voler] aiutare Kiev coprendo i rischi con gli asset russi, ma rimandando la questione sulla reale possibilità di farlo a un futuro non meglio definito. Un’operazione questa che comporta rischi e problemi non indifferenti di vario genere. Soprattutto per i Paesi Europei, alcuni dei quali hanno detto chiaramente di non essere d’accordo. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron hanno dichiarato che questo modo di fare, a lungo andare, potrebbe addirittura destabilizzare l’euro. Già perché tra le cose che gli “ideatori” di questa trovata non hanno detto c’è anche che la maggior parte delle riserve russe oggetto della manovra sono in euro. La Banca centrale russa aveva scelto questa moneta ritenendola più sicura e affidabile del dollaro, in considerazione del minore (rispetto al dollaro) rischio che gli asset venissero requisiti. Far crollare questa fiducia nell’euro come valuta internazionale alternativa al dollaro e soprattutto sicura potrebbe avere conseguenze non da poco sui mercati finanziari.
Ma non basta. Buona parte delle riserve russe sequestrate si troverebbero in Belgio, nel depositario centrale Euroclear. Qualora i contenziosi legali non avessero un esito come quello sperato dai Paesi del G7, potrebbero esserci conseguenze di natura geopolitica: aver venduto obbligazioni basate sull’ipotesi dell’esproprio degli asset russi, avrebbe effetti rilevanti anche sui dialoghi di pace proposti da molti Paesi europei (Italia inclusa). Per non parlare delle conseguenze che avrebbe sulla decisione dell’UE di applicare una tassa sui profitti generati dagli asset russi depositati in Euroclear che, nel 2023, hanno già prodotto 4,4 miliardi di euro. Una manovra per la quale diverse aziende russe coinvolte hanno già avviato diversi procedimenti legali. Quasi tutti nei tribunali russi.