Capita spesso di osservare degli scorci nei film e cercare di capire dove siano nella nostra città o in una città dove siamo stai spesso o dove abbiamo vissuto per qualche anno. O anche capita di fare viaggi appostiti per andare alla ricerca dei luoghi delle nostre pellicole preferite. Molti per esempio hanno almeno una foto scattata davanti a quella che in “Notting Hill” è la mitica libreria di viaggi di William Thacker. Magari altri hanno cercato proprio quel tratto di Lungosenna che hanno visto in “Midnight in Paris”. O forse, qualcuno che si è spinto più lontano, si è immortalato davanti all’angolo dove, durante le riprese di “The Karate Kid”, c’era scritto “Cobra Kai”.
Anche i quadri hanno i loro luoghi iconici, senza contare quelli più caratteristici e visitati, come i tanti scorci romani o fiorentini più volte rappresentati nei dipinti, ma se per caso doveste trovarvi in Iowa, potrebbe essere interessante sapere che il luogo rappresentato nel dipinto di Grant Wood “American Gothic” (1930) esiste realmente ed è stato accuratamente lasciato uguale al dipinto. La scena mostra un uomo e una donna dalle espressioni cupe. Il forcone che l’anziano regge è da molti interpretato come il simbolo del lavoro manuale e dei campi. Wood affermava di essersi ispirato alle fotografie del tardo XIX secolo, sistemando i suoi modelli sulla base dei primi ritratti americani e chiaramente rifacendosi ai modelli della pittura gotica nord-europea, specialmente tedesca e olandese, che mostrano i volti tirati, preoccupati o doloranti. Il dipinto prese vita, quando Wood, passando per la città di Eldon nello stato dello Iowa, notò una piccola casa bianca di legno. Lo colpì così tanto che decise di dipingerla insieme a delle persone che lui pensava poter abitare quel tipo di dimora. Chiese alla sorella e al suo dentista di fargli da modelli e li vestì con abiti coloniali dell’America del XIX secolo. Ogni elemento venne immortalato singolarmente. Una curiosità: i modelli posarono separatamente e non sostarono mai di fronte alla casa.
Qualora vi trovaste a fare un giro del sud della Francia, fate una sosta ad Arles. C’è una deliziosa terrazza che Vincent Van Gogh ha immortalato in una sera tranquilla nella sua opera “Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles” (1888). Van Gogh ha rivelato che per questo dipinto ha preso ispirazione da un passo in “Bel-Ami” di Guy de Maupassant: lo scrive in una lettera alla sorella, nella quale le confida di aver dipinto proprio quella bella descrizione di una notte parigina illuminata dalle stelle, con i caffè sul boulevard. L’artista la ambienta ad Arles e lo fa in un modo poetico, concentrandosi proprio su quel cielo stellato e sulla vivacità dei colori. L’opera coglie una visione notturna di Place du Forum ad Arles. Su una pedana ci sono tre file di tavolini, su cui sono seduti turisti, passanti casuali e habitué, rilassati in una bella serata. Le fisionomie dei clienti del caffè non sono visibili e sembrano quasi fondersi con il paesaggio circostante, proprio per mettere in risalto lo scorcio notturno. Sul fondo sono visibili le vetrine ancora illuminate di Rue du Palais e le case addormentate. Per la strada alcune persone passeggiano rilassate, avvolte dalla gioiosità che il caffè trasmette. Il tratto di Van Gogh, generalmente nervoso, qui è calmo e sognante, come la notte che raffigura attraverso colori raffinati. Il giallo e il blu sono preponderanti e contrastano e si fondono tra di loro.
Poco fuori Parigi, lungo la Senna, sull’isola di Chatou, si trova la Maison Fournaise che Jean Auguste Renoir ha immortalato per la sua “Colazione dei canottieri” (1880-1882). Il ristorante che ha ispirato Renoir è una meta ambita per gli amanti dell’impressionismo ed è ancora attivo, grazie anche ad un restauro avvenuto nel 1990. La scena mostra, riuniti attorno a un tavolo, un gruppo di canottieri e i loro amici che hanno appena finito di pranzare sotto a un dehors. Mentre piccole imbarcazioni dalle vele bianche percorrono la Senna in basso a sinistra, i giovani si godono l’atmosfera calda del pomeriggio conversando piacevolmente. La scena è molto dinamica: una ragazza in primo piano che gioca col suo cagnolino è osservata da un canottiere; un altro giovane si porge verso una ragazza elegante; un altro ancora con la barba si riposa, appoggiato alla balaustra; infine due gruppi di amici si intrattengono sul fondo. I modelli utilizzati per il dipinto sono tutti amici o colleghi e modelle di Renoir. L’opera è considerata un inno all’amicizia e alla convivialità.
Più a nord, sempre nella regione della Île-de-France, a Auvers-sur-Oise, c’è una magnifica chiesa che è forse più famosa per essere stata ritratta da Van Gogh nel 1890. In questa cittadina, Vincent trascorse le ultime dieci settimane di vita, durante le quali dipinse oltre cento quadri, tra i quali “La chiesa di Auvers”, circa un mese prima di suicidarsi. In una lettera alla sorella, Van Gogh cerca di descrivere le alterazioni volumetriche e cromatiche rispetto all’originale, secondo la sua personale visione. In maniera più drammatica rispetto al passato, Van Gogh rinuncia a una riproduzione esatta della “realtà stereoscopica” e riversa sull’architettura della chiesa tutti i suoi tormenti interiori, allontanandosi volutamente e fortemente dal naturalismo impressionista e neo-impressionista. È per questo che l’abside sembra barcollare convulsamente come se stesse sul punto di crollare. Le linee sono morbide e tortuose, donando al dipinto un dinamismo amplificato dalle stradine che, biforcandosi, stringono l’edificio, privandolo di un accesso. La contadina sul sentiero di sinistra, serve ad amplificare il senso di angosciosa solitudine. I colori sono sovraccaricati, diffondendo il disperato stato d’animo dell’artista. Tutte le tonalità del dipinto fanno pensare che la scena sia notturna, mentre è evidente che sia giorno, vista la grande ombra sul triangolo erboso. Attraverso i colori irreali e l’assenza di prospettiva, la vera immagine della chiesa è trasferita nel mondo interiore dell’artista. I colori e le linee sono il mezzo con cui Van Gogh comunica sia la bellezza che il dramma esistenziale.
Nel Maine, a Cushing, su una collina, c’è una fattoria coloniale: la Olson House. Tra il 1939 e il 1968 la casa fu più volte immortalata dall’artista americano Andrew Wyeth. Tra questi dipinti spicca il suo capolavoro “Il mondo di Christina” (1948). Una donna in abito rosa è seduta sul crinale di una collina, portandosi verso la cima del colle, dando le spalle allo spettatore. Guarda una casa grigia all’orizzonte; adiacente alla casa c’è un fienile e altre piccole costruzioni. Wyeth ritrae Christina Olson, la sua vicina di casa, la quale aveva perso l’uso delle gambe probabilmente per una polineuropatia genetica, ma che, nonostante ciò, aveva mantenuto una grande gioia di vivere. Wyeth era in buoni rapporti con Christina e aveva spesso ritratto lei e suo fratello come soggetti per le sue opere. La casa ora è un monumento storico ed è stata restaurata per riportarla all’aspetto del dipinto.
Un caffè illuminato da luci calde, un anonimo cottage o una fattoria sono alcuni dei luoghi che hanno ispirato gli artisti per la creazione di alcuni tra i più pregiati capolavori della storia dell’arte. Dall’Iowa al sud della Francia, dai dintorni di Parigi al Maine ci sono dei piccoli gioielli tutti esistenti e visitabili. Certo, ce ne sono tanti e tanti altri. Le bellezze riempiono il mondo e gli artisti di tutte le epoche non se le sono fatte sfuggire, ma da un punto bisogna iniziare e, magari, iniziare dalle meno conosciute e più nascoste può dare un senso di soddisfazione diverso. Buona scoperta!