Le Olimpiadi 20-24 (ormai non si legge più l’anno in base alla nascita di Cristo, ovvero 2024, ma due numeri che in italiano non significano nulla) di Parigi passeranno alla storia per le cattive figure.
Come quelle durante l’inaugurazione. Gli spettacoli lungo la Senna avrebbero dovuto essere una novità assoluta. Invece, si sono rivelati un fallimento totale: pacchiani, di cattivo gusto e perfino offensivi per chi è religioso. Anche la decisione di costringere gli atleti a fare la doccia sotto una pioggia scrosciante sembra non essere piaciuta. Piogge che sarebbero state una delle cause dell’innalzamento dei livelli di escherichia coli oltre i livelli di norma. Ma questo non è bastato a impedire agli organizzatori di costringere gli atleti a nuotare in acque inquinate.
Sembra che agli organizzatori degli atleti non interessi molto. Basta fare spettacolo. Molti degli atleti si sono lamentati dell’accoglienza. Sia dal punto di vista dei locali e dell’arredamento (le polemiche sui letti di cartone non si sono ancora placate) sia per la mancanza di aria condizionata. Una mancanza che ha portato uno dei campioni pluri-medagliati della nazionale italiana a decidere di dormire sul prato invece che nelle camere. Altre nazionali hanno semplicemente abbandonato le zone loro destinate e si sono trasferiti in appartamenti più ospitali.
A proposito degli atleti, anche su di loro non sono mancate le polemiche. A cominciare dall’ondata di chiacchiere sul fatto che alcune atlete registrate come donne erano in realtà intersex. Le polemiche non hanno riguardato la pugile algerina (oggetto di mille polemiche) e la sua collega Lin Yu Ting, altra atleta intersex ma della quale non ha parlato quasi nessuno. Quanto il fatto che siano stati utilizzati due pesi e due misure. La Federazione Internazionale ha escluso queste atlete dalle gare, l’altro, il CIO, le ha ritenute casi di “variazione delle caratteristiche del sesso”. Una disparità di trattamento che ha riempito le prime pagine dei giornali per giorni e giorni. Cosa questa che fa tanto comodo a chi preferisce distrarre l’attenzione della gente da altri problemi.
Anche il “caso” di Noah Lyles farà parlare a lungo di sé: vincitore dei cento metri piani è entrato in pista per i duecento piani vispo, allegro e, come sempre, saltellante. Salvo poi accasciarsi esanime dopo la gara. È arrivato terzo. Una performance un po’ deludente per uno come lui. Lo hanno portato via addirittura su una sedia a rotelle. Solo allora ha rivelato di essere risultato positivo al Covid il giorno prima della gara. “Sono stato subito messo in quarantena vicino al Villaggio olimpico e ho provato a prendere i farmaci autorizzati – ha spiegato -. Volevo correre, mi è stato detto che era possibile, quindi sono rimasto lontano dagli altri e ho fatto i turni”. Ma questo non è bastato.
É questo il problema più grosso delle Olimpiadi. L’importante non è “partecipare”. La frase “l’importante non è vincere, è partecipare”, attribuita (pare erroneamente) a Pierre de Coubertin, fondatore dei giochi olimpici moderni, sembra valere solo per pochi. Di sicuro non vale per alcune categorie di atleti multimilionari ma, nonostante tutto, ammessi a partecipare alle Olimpiadi. Si pensi ai campioni del tennis o del golf o del calcio o del basket (molti dei quali giocatori dell’NBA americana). Per altri atleti ci sono altri modi di essere dei professionisti. Basti pensare agli atleti italiani: oltre il 70 per cento degli atleti partecipanti alle Olimpiadi di Parigi sarebbero stipendiati, allenati e sponsorizzati dallo Stato attraverso i vari gruppi sportivi delle FF.AA.. Spese astronomiche (che gravano sulle tasche degli italiani) per mandare strutture ai massimi livelli, impianti ad hoc e a volte “missioni” all’estero per gli allenamenti. Tutto pur di consentire ad alcuni atleti di gareggiare ai massimi livelli.
C’è, però, chi non ha accesso a niente di tutto questo. C’è chi le spese per praticare uno sport le deve prendere dai propri risparmi. Chi all’estero c’è andato. Ma non per allenarsi ma per trovare un lavoro. Senza sponsor, senza compensi derivanti dagli spot televisivi. E senza strutture organizzative pagate dai contribuenti. Chi non ricorda Maenza, il leggendario “Pollicino” per la sua esile corporatura. Questo non gli impedì di vincere due medaglie d’oro a Los Angeles 1984 e a Seoul 1988 e una d’argento a Barcellona, nel 1992. Intervistato dopo una di queste vittorie olimpiche, Maenza ammise timidamente che era alla disperata ricerca di un lavoro per potersi mantenere. E chi non ricorda i fratelli Carmine e Giuseppe Abbagnale. Nel canottaggio non sono famosi: sono una leggenda. Su loro è stato girato addirittura un film: “Due con”. Hanno vinto tutto quello che c’era da vincere: hanno partecipato a quattro olimpiadi vincendo diverse medaglie d’oro. Alle quali si devono aggiungere sette (leggasi SETTE) titoli mondiali. Per vivere e per praticare lo sport che amavano e che tanto lustro ha lasciato all’Italia, anche loro si guadagnavano da vivere con il proprio lavoro.
Come fa Diego Pettorossi. Anche lui ha un lavoro (è sviluppatore software per un’azienda statunitense). Anche lui ama lo sport. Anche lui ha un sogno: partecipare alle Olimpiadi di Parigi. Ma per lui non ci sono sponsor e spazi pubblicitari pagati da qualche multinazionale negli spot in prima serata. Non c’è un corpo delle FF.AA. che paga tutte le spese per i suoi allenamenti. Si allena da solo a San Antonio, in Texas. Non è andato oltreoceano perché lì c’è un ambiente migliore per allenarsi: semplicemente perché è lì che lavora. É impiegato in un’azienda che non gli ha nemmeno concesso un periodo di pausa per prepararsi alle Olimpiadi. Per questo, Pettorossi ha dovuto prendere un periodo di aspettativa. É tornato in Italia (a Modena) e si è allenato per una delle gare più difficili dei giochi olimpici: i 200 metri.
Nonostante tutte queste difficoltà il suo sogno è diventato realtà: si è qualificato per Parigi 2024. C’è chi ha definito “sorprendente” questo risultato. Non siamo d’accordo. Sorprendente è che ai Giochi Olimpici di Parigi partecipino atleti che ogni anno guadagnano milioni di euro e atleti che devono allenarsi all’alba o di notte, dopo il lavoro, costretti a trovare un escamotage per ottenere un permesso dal proprio datore di lavoro. Sorprendente è che nessuno abbia pensato di aiutare Pettorossi. Già perché le Olimpiadi non sono quelle che si vedono in questi giorni in TV. Per quasi tutti gli sport la strada per qualificarsi per i giochi olimpici è durissima. Ma è ancora più dura per alcuni sport. Come l’atletica. Ogni paese può portare al massimo tre atleti a fare i 200 metri alle Olimpiadi. Per qualificarsi Petterossi aveva due possibilità: correre almeno una volta in questa stagione entro il tempo stabilito dagli organizzatori (20,16 secondi) oppure essere almeno terzo a livello nazionale (il ranking, cioè la classifica che ordina gli atleti in base ai loro risultati). Pettorossi ha dovuto competere con atleti Tortu e Fausto Desalu (che hanno record personali sui 200 metri superiori al suo). Atleti ben più noti: entrambi erano membri della squadra che nel 2021 a Tokyo vinse l’oro nella 4×100. Atleti che alle spalle hanno un’organizzazione che si prende cura di loro: gareggiano per le Fiamme Gialle.
Anche Pettorossi avrebbe voluto far parte di quella squadra. Ma non c’è riuscito. “Il fatto è che sono uscito tardi, ho 27 anni, ormai è difficile che mi arruolino: avessi fatto gli stessi tempi magari a 22, 23 anni sarei riuscito a entrare”. Quindi ha dovuto fare tutto da solo. Eppure il talento non gli manca: a 16 anni, fu campione nazionale Allievi (cioè under 18) nei 100 metri e vice campione nei 200 metri, e l’anno successivo vinse l’oro ai campionati italiani Juniores (quindi under 20) nei 200 metri. Ma nessuno ha “messo gli occhi su di lui”. Nel poco tempo libero che gli rimane dopo il lavoro, Pettorossi cerca di conciliare hobby (lo sport) e professione: sta cercando di realizzare un’app per facilitare l’allenamento di chi fa atletica leggera, “una specie di diario dell’allenamento in cui registrare dati e statistiche”, dice.
Pettorossi è riuscito a partecipare alle Olimpiadi. La sera del 5 agosto, a Parigi si sono tenute le prime batterie dei 200 metri. E lui era uno dei 48 duecentometristi in gara. Ha corso bene, ma non ce l’ha fatta: il suo tempo non gli ha consentito di arrivare almeno alle semifinali: “Sapevo che per passare in semifinale sarebbe servito un tempo intorno ai 20.50: l’occasione era lì, purtroppo non l’ho presa. Ma essere qua, nonostante l’ultima posizione nel ranking, è già qualcosa di importante”. “Mi porto comunque qualcosa di incredibile a casa”.
Le “sue” Olimpiadi Petterosso le ha già vinte. Pettorossi è il vero volto delle Olimpiadi. Non quelle di Parigi, pacchiane e infarcite di polemiche. Tutte le Olimpiadi. Quelle che sono il sogno di decine e decine di milioni di Sportivi (quelli con la S maiuscola). Atleti che sognano, un giorno, di poter gareggiare con i più grandi del mondo. Senza sapere che sono loro i più grandi. Perché l’importante non è vincere. É partecipare.