Premessa – In questa serie di articoli parleremo delle Istituzioni dell’Unione Europea, della loro costituzione e del percorso che le ha portate ad essere quello che sono. Il nostro obiettivo è spiegare a tutti, MA IN PARTICOLARE AI GIOVANI (sia quelli che saranno chiamati a votare tra poche settimane che in generale quelli che diventeranno maggiorenni tra poco) quello che non sempre a scuola o in televisione viene detto. Il tutto in modo ASSOLUTAMENTE APARTITICO e APOLITICO, senza alcuna indicazione o forma di influenza che possa portare a scegliere un partito o l’altro, questo o quel candidato.
Nelle scorse “puntate” abbiamo cercato di fornire qualche informazione (il termine formazione è ben altra cosa: vista la materia complessa e richiederebbe molto più tempo – ma a questo potranno provvedere i Professori) sul Parlamento europeo e su ciò che gira intorno ad esso. Per i giovani più curiosi ecco alcune …curiosità. Una di queste riguarda la libera circolazione di uomini e – soprattutto – cose all’interno dell’Ue. In origine, l’ “unione” dei paesi europei non era politica. Era semplicemente un accordo per favorire gli scambi commerciali e la produzione e distribuzione su grandi numeri (con i vantaggi che derivavano dalle economie di scala che ne derivano).
Nel corso dei decenni, per suggellare questa “unione” (e impedire ai singoli paesi di uscire dall’ “unione”), sono stati sottoscritti numerosi trattati. Tra questi, i principali sono gli accordi di Schengen dal nome del piccolo villaggio del Lussemburgo, alla frontiera con la Germania e la Francia, dove l’accordo di Schengen e la convenzione di Schengen sono stati firmati rispettivamente nel 1985 e nel 1990″. Il primo infatti venne siglato addirittura a giugno 1985 da Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi. La promessa era sempre la stessa: regolamentare l’ abbattimento delle frontiere interne. Il 19 giugno 1990, “per definire le condizioni e le garanzie inerenti all’istituzione di uno spazio di libera circolazione”, venne firmata la Convenzione di Schengen che entrò in vigore nel 1995 (ma l’Italia vi aderì solo nel 1997). L’Accordo e la Convenzione, congiuntamente agli accordi e alle norme connessi, formano il cosiddetto “acquis di Schengen” che, dal 1999, è integrato nel quadro dell’Unione come legge comunitaria.
Con il Trattato di Lisbona i paesi membri dell’Ue hanno allargato lo “spazio senza frontiere interne in cui è garantita la libera circolazione delle persone” e delle merci. Oggi lo “spazio Schengen” copre 27 paesi e oltre 400 milioni di cittadini. Prevede che non vengano effettuati controlli alle frontiere interne dei Paesi interessati, ma solo su quelle esterne. Fanno parte dello spazio Schengen 23 paesi Ue e quattro membri dell’Associazione europea di libero scambio (Efta): Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. Dal primo gennaio 2023, i controlli sulle persone alle frontiere interne terrestri e marittime tra la Croazia e gli altri paesi dello spazio Schengen sono stati revocati e l’acquis di Schengen è stato esteso alla Croazia. Si prevede che a breve anche Bulgaria, Romania e Cipro dovrebbero aderire allo spazio Schengen. L’Irlanda rimane l’unico Stato membro Ue che non rientra nello spazio Schengen (un aspetto molto interessate in quanto per molti dovrebbe costituire la “porta” per riprendere gli scambi con il Regno unito dopo la Brexit).
Sin dall’inizio, gli accordi Schengen hanno previsto la possibilità per i paesi firmatari di sospendere la libera circolazione all’interno dell’UE, ma solo per un periodo limitato (In ogni caso il ripristino delle frontiere non può prolungarsi per oltre sei mesi e non può essere rinnovato o prolungato se non di fronte ad una “nuova” minaccia) e per motivi eccezionali. Recentemente questo periodo è stato ampliato considerevolmente. Resta l’obbligo di notificare la sospensione della libera circolazione alla Commissione europea e agli altri paesi dell’Ue con un preavviso d almeno quattro settimane. In teoria il ripristino dei controlli alle frontiere interne dovrebbe avvenire solo in casi estremi. Ad esempio, tra il 2020 e il 2022 alcuni paesi vi fecero ricorso per limitare la diffusione della pandemia da COVID-19. In ogni caso, sospendere l’abbattimento dei controlli alle frontiere interne deve essere necessario per motivi di tutela di ordine pubblico o di sicurezza interna o a causa di una minaccia “grave”.
In realtà, sono stati molti i paesi dell’Ue che hanno deciso di ripristinare i controlli alle frontiere. Alcuni lo hanno fatto più e più volte. Anche il governo italiano ha chiuso le proprie frontiere: ha ripristinato i controlli nei valichi di frontiera con la Slovenia ritenendo che “le misure di polizia alla frontiera italo-slovena non risultano adeguate a garantire la sicurezza richiesta”. Ovvio il riferimento ai flussi migratori. Purtroppo sono molti i paesi Ue che hanno usato e abusato del diritto di chiudere le frontiere per limitare l’arrivo di migranti e richiedenti asilo. Un modo di fare da anni oggetto di accessi dibattiti. Da un lato, l’Ue e i suoi Stati membri hanno sottoscritto numerosi accordi di libero scambio per le merci (recentemente ne è stato stipulato uno anche con il Vietnam!). Dall’altro, hanno cercato di adottare misure sempre più restrittive per “salvaguardare la sicurezza” dell’Europa chiudendo le frontiere interne.
A ottobre 2023, per fermare i flussi di migranti, la Germania ha ripreso i controlli alle frontiere con Svizzera, Austria, Repubblica Ceca e Polonia. Nei giorni scorsi, i controlli alle frontiere con questi paesi sono stati rafforzati ed estesi. A dare la notizia è stata la ministra dell’Interno tedesca, Nancy Faeser, che dichiarato senza mezzi termini che obiettivo delle nuove misure restrittive era porre un freno all’immigrazione irregolare e ridurre il numero di persone che entrano nel paese senza visto. Secondo il governo tedesco i respingimenti alla frontiera dovrebbero tutelare il paese dalla minaccia del terrorismo, principalmente di matrice islamica e legato a organizzazioni criminali. L’obiettivo sarebbe “ridurre l’onere complessivo persistentemente elevato che grava sulla Germania” che da anni è al primo posto in Europa per l’accoglienza dei migranti. Secondo quanto appreso dalla DPA da fonti del governo, la Faeser avrebbe notificato la decisione alla Commissione europea.
Anche Austria, Ungheria, Slovenia, Svezia e Danimarca hanno fatto ricorso a questa motivazione per reintrodurre controlli temporanei alle frontiere. Fino a poco tempo fa, l’area Schengen era considerata una delle conquiste più tangibili del processo di unificazione europea: un posto dove oltre 400 milioni di persone potevano circolare liberamente senza controlli alla frontiera o limitazioni (almeno sulla carta, come vedremo in seguito non è così).
Eppure secondo i registri della Commissione, le richieste di chiusura delle frontiere, dal 2006, sono state 441. Di queste solo 35 sono state presentate prima del 2015. Le altre sono più recenti. C’è chi ritiene che l’idea, sostenuta soprattutto dai partiti di destra, di de-localizzare le procedure di asilo in paesi terzi sarebbe del tutto inefficace per contenere l’immigrazione irregolare. “I controlli sono spesso casuali e poco invasivi, e credo che vengano mantenuti anche a scopo simbolico: mostrare ai cittadini, agli altri Paesi dell’Ue e ai potenziali migranti che in Europa c’è una situazione eccezionale che il governo sta affrontando”, ha dichiarato a Euronews Saila Heinikoski, ricercatrice senior presso l’Istituto finlandese per gli affari internazionali.
Per questo, all’inizio del 2024, gli Stati membri dell’Ue hanno approvato una riforma del Codice delle frontiere Schengen che amplierebbe il limite temporale dei controlli da sei mesi addirittura a due anni (e prorogabile due volte, per altri sei mesi, se un paese sostiene che la minaccia alla sua sicurezza persiste). In questo documento, i paesi membri dell’Ue sono stati incoraggiati (ma non obbligati!), a ricorrere a “misure alternative” prima di optare per reinserire i controlli alle frontiere. “Non dobbiamo dimenticare che Schengen è nato da un accordo intergovernativo e che la sua storia è intimamente legata a quella del sistema di asilo dell’Ue”, ha dichiarato Alberto-Horst Neidhardt, senior policy analyst presso l’European Policy Centre. Che ha aggiunto: “Gli eventi recenti dimostrano anche che l’idea che le riforme introdotte di recente potessero preservare l’area senza confini in quanto tale era un’illusione”. “Il futuro di Schengen continuerà probabilmente a essere caratterizzato da un alto grado di malessere e incertezza”, ha concluso.
L’ennesima conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che l’Ue non è e non è mai stata un’ “unione” politica né tanto meno culturale. É principalmente un accordo commerciale per favorire le grandi imprese offrendo loro un mercato più ampio, un mercato “comunitario”.