Oggi, nel mondo, i rapporti tra i vari paesi sono complicati, fatti di interessi che vanno oltre quelli locali o anche quelli dei singoli contendenti. A renderli più difficili sono la condivisione e la distribuzione delle fonti energetiche primarie. Si pensi alle polemiche che sono seguite alla realizzazione del gasdotto Gazprom 2. O alla vicinanza delle centrali nucleari francesi con i confini di Belgio e Germania. O a ciò che sta accadendo tra Etiopia ed Egitto per la diga costruita sul Nilo.
La convivenza pacifica è rara. E spesso è legata a problemi geopolitici. Un esempio è il tunnel che dovrebbe unire Giappone e Corea del Sud. L’idea di realizzare un collegamento che attraversa lo Stretto di Corea risale addirittura agli anni ’30, ai tempi della “colonizzazione” giapponese della Corea. Poi se ne riparlò durante la Seconda Guerra Mondiale. Tra alti e bassi, si è arrivati agli anni duemila. Poi all’inizio del 2008, in Giappone venne istituito un comitato per studiare la fattibilità di questo progetto e il percorso che il collegamento avrebbe dovuto seguire. Tre le alternative, tutte e tre con partenza da Karatsu sull’isola di Kyūshū, in Giappone. Al capo opposto, in Corea del Sud, due le possibilità prese in considerazione: Busan e Geoje. Si tratta di un’opera faraonica. Basti pensare che la lunghezza dei tunnel varia, a seconda delle proposte, da 209 a 231 km. Oltre cinque volte il tunnel sotto la Manica che collega Regno Unito e Francia!
Molti i problemi non solo politici ma anche tecnici e funzionali legati alla realizzazione di quella che potrebbe essere un’opera di ingegneria storica: dalla differenza delle linee ferrate tra i due paesi a questioni geopolitiche legate al riconoscimento della nazionalità delle Isole Liancourt nel Mar del Giappone. Tutti problemi che, in un sorprendente silenzio mediatico, secondo alcuni, sarebbero già stati risolti. Nel 2008, a Tokyo, si tenne una conferenza stampa nella quale venne presentato ufficialmente il Mega Project Tunnel for Peace Giappone – Corea del Sud. Alla conferenza stampa parteciparono i rappresentanti di diversi paesi: oltre a quelli di Corea del Sud e Giappone, anche Canada, Città del Vaticano, Russia, Usa, Repubblica di Malta, Albania, Turchia. E Italia. Sì perché l’Italia è tra gli attori di primo piano del progetto. Oltre alla Development World Bank (che dovrebbe finanziare al 100% il progetto) e alla Marine Foundation Japan, tra i partner per la realizzazione del progetto ci sarebbe l’ARES Group Italy. Tre partner uniti nel cosiddetto “Trinity Group”. Un progetto che va ben oltre la realizzazione di un’opera seppure faraonica.
Nella presentazione si è parlato, non senza destare qualche sorpresa, di voler puntare verso un mondo di pace, di voglia di uscire dal “decadimento morale”, di “uguaglianza mondiale della pace”, di “filosofia del buon senso” e di “distribuzione della ricchezza”. Parole mai sentite pronunciare parlando di iniziative economiche di questa portata. Nelle slide presentate si parla anche di Nuovo Ordine Mondiale Economico basato su uno “sviluppo realmente sostenibile” grazie a progetti di Green Economy rivoluzionari. “Si tratta di un progetto che ispira i sogni”, disse ai giornalisti Seishiro Eto, deputato del partito liberaldemocratico ed ex capo dell’agenzia per la difesa. “Vogliamo promuoverlo come simbolo di pace”.
Parole che suonano tanto più strane se si pensa ai rapporti tra Giappone e Corea del Sud da sempre in conflitto e ora in apparente armonia parlando di quello che è stato presentato come il “secondo più grande investimento nella storia umana”.
Secondo alcune indiscrezioni il tunnel dovrebbe essere composto da dieci sezioni: cinque per la strada e cinque per la ferrovia tutte dotate di sistemi innovativi. Le gallerie ferroviarie saranno dotate di binari a doppio scartamento per operazioni standard e a scartamento ridotto (per risolvere il problema detto prima). Come per il tunnel sotto la manica sono state previste gallerie che fungono da vie di fuga in caso di emergenza (in tutti i tunnel il problema maggiore è la ventilazione e l’aerazione: per questo sono previsti ventilatori di scarico, telecamere, altoparlanti, sistemi di allarme antincendio a infrarossi e sistemi antincendio). Ma non basta. A 62 chilometri dall’ingresso del tunnel per le auto dovrebbe esserci una stazione di sosta, chiamata stazione di riposo nord, dotata di servizi igienici, distributori automatici, una pompa di benzina e un piccolo centro informazioni.
Una seconda stazione dovrebbe essere posizionata a 100 chilometri, anche questa contenente diversi servizi per i viaggiatori stanchi con addirittura un piccolo complesso commerciale e una zona residenziale, e addirittura una stazione di polizia. La terza area di sosta, South Rest. station, dovrebbe trovarsi a 172 chilometri, anche questa dotata di servizi igienici, una piccola struttura di assistenza di emergenza e un distributore di benzina.
Sebbene si tratti di un progetto allettante quello di un tunnel sottomarino che unisca Giappone e Corea del Sud è ancora allo stadio larvale: non sono pochi i problemi legati alla realizzazione dell’opera. Non solo economici, ma prima di tutto politici. A cominciare dai problemi legati alla nuova policy tra Corea del Sud e Corea del Nord. Tra Corea del Sud e Cina (anche qui si è parlato di un tunnel). Ma soprattutto tra Corea del Sud e Giappone.
C’è ancora molta sfiducia tra i due paesi: a Settembre 2020, durante il vertice telefonico Giappone-Corea del Sud, il Primo Ministro giapponese Suga Yoshihide era apparso leggermente positivo, salvo poi, a novembre, durante il Forum Corea-Giappone ribadire che avrebbe voluto “vedere un’azione da parte sudcoreana per migliorare le relazioni bilaterali”. Un atteggiamento che molti non hanno saputo interpretare (si è trattato di un approccio attivo per migliorare i legami o un modo per ribadire che considera la Corea del Sud responsabile del peggioramento delle relazioni?).
Problemi non da poco che potrebbero essere difficili da risolvere e ostacolare la realizzazione del “tunnel della pace”.