Oggi, quando si parla di ambiente, l’argomento principale sono le emissioni di CO2. Oppure, da qualche mese, la siccità. Eppure non sono passati molti anni da quando il tema cardine dei problemi ambientali era il buco nell’ozono. Negli anni ottanta del secolo scorso la voragine nello strato di ozono che avvolge e protegge la terra dai raggi UV e che si stava dissolvendo a causa dell’uso smodato dei CFC (soprattutto nelle bombolette spray) divenne il tema principale del dibattito sull’ambiente. I CFC vennero messi al bando e in un lasso di tempo non molto lungo la “ferita” nell’ozonosfera si richiuse.
Ora a lanciare di nuovo l’allarme sull’ozono (come se non bastassero quelli che già ci sono) una ricerca dell’Università canadese di Waterloo. Gli studiosi hanno parlato di un “nuovo” buco dell’ozono posizionato in una zona diversa del pianeta (ai tropici, fatto anomalo) e con caratteristiche molto particolari: secondo gli studiosi non risentirebbe delle stagioni, ma soprattutto avrebbe dimensioni spaventose, sette volte più grande di quello sull’Antartico.
Secondo il gruppo di lavoro guidato dal prof. Lu, che ha pubblicato i risultati della ricerca su AIP Advances, il buco nell’ozono sui Tropici avrebbe problematiche simili a quello del Polo Sud, con una quantità di O3 inferiore di circa l’80% rispetto alla norma. “Questa scoperta potrebbe essere cruciale per una maggiore comprensione del cambiamento climatico in atto a livello globale ma saranno necessari ulteriori studi sull’indebolimento dello strato di ozono nell’atmosfera”, ha dichiarato il professor Lu. “L’esaurimento dello strato di ozono può portare a un aumento della radiazione ultravioletta a livello del suolo, che a sua volta può aumentare il rischio di cancro della pelle e cataratta, può indebolire il sistema immunitario, diminuire la produttività agricola e influenzare negativamente gli organismi acquatici e gli ecosistemi sensibili”, ha spiegato il professore.
Possibile che finora nessuno si era accorto di questo buco enorme? Il “nuovo” buco, infatti, non è previsto da nessun modello fotochimico convenzionale adoperato. Tranne quello proposto dallo stesso Lu e dal suo team di ricercatori dell’Università canadese, il CRE (Cosmic-Ray-Driven Electron Reaction). Appare poco credibile che, in quarant’anni, nessuno si sia accorto di questo fenomeno.
Diversi ricercatori hanno contestato i risultati del prof. Lu. “Non esiste un buco dell’ozono tropicale”, ha dichiarato Paul Young, scienziato della Lancaster University e prima firma del report del WMO e dell’UNEP sull’esaurimento dell’ozono pubblicato nel 2022. “I cambiamenti a lungo termine e la variabilità da un anno all’altro dello strato di ozono nella bassa stratosfera tropicale (circa 15-20 km di altezza) sono ben noti e sono il risultato sia di processi guidati dall’uomo che di fattori naturali”. “L’identificazione di un “buco dell’ozono tropicale” da parte dell’autore sarebbe dovuta al fatto che egli guarda alle variazioni percentuali dell’ozono e non i valori assoluti. Ma sarebbero questi il dato importante per capire se c’è davvero un assottigliamento dello strato di ozono intorno alla Terra. E sono questi i valori rilevanti per capire la percentuale di raggi UV dannosi che raggiungono la superficie del nostro pianeta. “È interessante notare che il suo articolo non attinge alla vasta letteratura che esplora e documenta le tendenze dell’ozono in tutte le regioni dell’atmosfera”, ha aggiunto Young.
Dello stesso avviso Martyn Chipperfield dell’Università di Leeds: “Abbiamo già una buona comprensione dell’impoverimento dell’ozono polare grazie a meccanismi chimici diversi e ben consolidati che possono spiegare la chiusura lenta e variabile del buco dell’ozono antartico, e questa nuova ricerca non mi persuade del contrario”. “L’affermazione di questa ricerca di variazioni così ampie dell’ozono ai tropici non è stata riscontrata in altri studi, il che mi rende molto sospettoso. La scienza non dovrebbe mai dipendere da un solo studio e questo nuovo lavoro necessita di un’attenta verifica prima di poter essere accettato come un dato di fatto”, ha aggiunto.
Ancora più pesante il giudizio di Marta Abalos Alvarez dell’Università Complutense di Madrid: “L’articolo manca del rigore scientifico necessario per essere un contributo affidabile. Contiene molti ragionamenti con gravi errori e affermazioni non comprovate”.
Molti giornali, però, non hanno ascoltato il parere di questi ricercatori. Hanno preferito gridare a un nuovo pericolo per il pianeta, alla una nuova emergenza. Come quella degli anni ottanta. Anzi, forse anche maggiore. Una corsa al catastrofismo pericolosa. Una sorta di “gridare al lupo” che rischia di distogliere l’attenzione della gente (e delle autorità) da quello che avviene ogni giorno sotto i loro occhi. Come nel caso della crisi idrica: erano anni se non decenni che se ne parlava. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Eppure nessuno ha fatto niente, tutti distratti da altre emergenze. Del problema dell’acqua ci si è accorti solo ora che l’acqua non c’è più. E invece di parlare di soluzioni a questi problemi si parla di un nuovo buco dell’ozono.