Vent’anni fa, il 10 gennaio 2002, venivano rinchiusi i primi prigionieri nella prigione di Guantanamo. A ricordare questo anniversario non sono stati i telegiornali (troppo impegnati a parlare di sportivi positivi al COVID 19 che giocano a tennis o a calcio), ma le Nazioni Unite. Un gruppo di esperti indipendenti per i diritti umani nominati dal Consiglio dei diritti umani OHCHR dell’ONU ha pubblicato un documento nel quale condanna aspramente che nessuno, in questi decenni, è mai riuscito a chiudere il centro di detenzione di Guantanamo Bay a Cuba (né a fare luce sul trattamento riservato ai detenuti).
Gli esperti Fionnuala Ní Aoláin, relatore speciale sulla promozione e la protezione dei diritti umani nella lotta al terrorismo, Elina Steinerte, Miriam Estrada-Castillo, Leigh Toomey, Mumba Malila, Priya Gopalan del gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria , Nils Melzer, relatore speciale sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, Siobhán Mullally, relatore speciale sulla tratta di persone, in particolare donne e bambini, Morris Tidball-Binz, relatore speciale sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Luciano Hazan, Aua Baldé, Tae-Ung Baik, Gabriella Citroni, Henrikas Mickevičius del gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate o involontarie e Tlaleng Mofokeng, relatore speciale sul diritto alla salute fisica e mentale, hanno firmato un documento nel quale accusano senza mezzi termini gli USA di “Vent’anni di pratica della detenzione arbitraria senza processo accompagnata da torture o maltrattamenti sono semplicemente inaccettabili per qualsiasi governo, in particolare per un governo che ha la pretesa dichiarata di proteggere i diritti umani”.
Per questo motivo gli esperti “chiedono nuovamente agli Stati Uniti di chiudere questa struttura e chiudere questo brutto capitolo di inesorabili violazioni dei diritti umani”.
Nel corso degli anni, il numero dei prigionieri detenuti a Guantanamo è diminuito: nel 2003, la struttura ospitava 700 prigionieri, oggi rimangono “solo” 39 detenuti. Ma la loro condizione e il trattamento loro riservato non è cambiato: secondo gli esperti dell’OHCHR, solo nove dei detenuti presenti a Guantanamo sarebbero stati formalmente accusati o condannati per crimini. Al contrario 13 sono stati assolti. Negli ultimi due decenni sono morti nove detenuti, due per cause naturali e sette si sarebbero suicidati: e “nessuno di loro era stato accusato o condannato per un crimine”. “Nonostante la condanna forte, ripetuta e inequivocabile del funzionamento di questo orribile complesso di detenzione e prigione con i relativi processi processuali, gli Stati Uniti continuano a detenere persone molte delle quali non sono mai state accusate di alcun crimine”, hanno detto gli esperti.
Secondo i firmatari del documento presentato dalle NU, Guantanamo è “un simbolo profondo della sistematica mancanza di responsabilità e censura della pratica della tortura e dei maltrattamenti sponsorizzati dallo stato e dell’inaccettabile impunità concessa ai responsabili”.
Dopo gli attentati alle torri gemelle del 2001, il 14 settembre, il Congresso USA approvò l’AUMF – Autorizzazione all’uso della forza militare – che permetteva al presidente di usare la forza ritenuta necessaria contro quelle nazioni, organizzazioni o persone che secondo il suo esame abbiano pianificato, commesso o aiutato gli attacchi avvenuti l’11 settembre 2001. Un potere senza limiti geografici o di tempo, che venne riconfermato nel 2012, specificando che era permessa anche la detenzione senza processo fino alla fine delle ostilità. Nel 2002, cominciarono a circolare fotografie (peraltro rilasciate dalle stesse autorità), che ritraevano detenuti nella base di Guantanamo inginocchiati, incatenati, ammanettati e bendati. Sottoposti a trattamenti disumani solo perché “sospettati” di avere contatti con Al-Qaida. Ufficialmente era questo il motivo di questo modo di fare durante la presidenza Bush era proprio questo: ottenere informazioni d’intelligence anche a costo di violare i diritti umani dei detenuti. Osama Bin Laden non c’è più. Ma secondo i vertici della Difesa americana, il conflitto degli Stati Uniti con al-Qaeda è ancora in corso.
Anche oggi, nel 2022, dopo il ritiro dall’Afghanistan. Dei 39 prigionieri detenuti a Guantanamo a tempo indeterminato, in violazione di ogni diritto a un giusto processo (cui non sono mai stati sottoposti) e dei più basilari diritti umani riconosciuti a livello internazionale, non si sa molto. Dodici di loro sono sotto la giurisdizione delle commissioni militari. Dieci detenuti, arrivati a Guantanamo tra il 2002 e il 2004, dovevano essere rilasciati da tempo, ma dopo tutti questi anni sono ancora lì (ufficialmente, in attesa di uno stato che li accolga). Clive Stafford Smith, avvocato che dirige 3D Centre, una Ong in difesa dei diritti umani, e che assiste sette di loro ha usato parole pesanti: due detenuti, originari del Pakistan, sono “reclusi che potrebbero andare via anche domani, ma che non vengono rilasciati”, ha detto l’avvocato, “anche dopo dieci anni”. E non mancano casi che sono in realtà degli errori: recentemente un cittadino afgano sospetto di aver fabbricato armi per Al Qaeda è stato rilasciato: dopo 14 anni di detenzione a Guantanamo, il dipartimento della Difesa Usa ha riconosciuto di essersi sbagliato, identificandolo “erroneamente”.
Diversi presidenti hanno promesso di chiudere questo luogo di tortura. Ma in vent’anni, nessuno ha mai tenuto fede alle proprie promesse di rispettare i diritti umani di tutti. Obama promise di farlo già nel corso della campagna elettorale per il primo mandato. Due mandati presidenziali non furono sufficienti a mantenere la promessa. Anche Trump non ha mai pensato di porre fine allo scandalo. E l’atteggiamento di Biden appare molto indeciso: a luglio 2021, ha rimandato in patria Abdullatif Nasser, un marocchino che era rinchiuso a Guantanamo. Ma solo dopo che era rimasto lì per 19 anni senza mai essere accusato di nulla.
Sulla condizione dei detenuti a Guantanamo, lo scorso anno Amnesty International pubblicò un rapporto Report (amnesty.org) che iniziava con le parole pronuciate da Biden nel 2009 (quando era vicepresidente di Obama): “America will not torture. We will uphold the rights of those who we bring to justice. And we will close the detention facility at Guantánamo Bay…. [W]e say to our friends that the alliances, treaties and international organizations we build must be credible and they must be effective. That requires a common commitment not only to listen and live by the rules, but to enforce the rules when they are, in fact, clearly violated”. “L’America non ricorre alla tortura. Sosterremo i diritti di coloro che che portiamo davanti alla giustizia. E chiuderemo la detenzione struttura a Guantanamo Bay…. Diciamo ai nostri amici che le alleanze, i trattati e le organizzazioni internazionali costruire deve essere credibile e devono essere efficaci. Questo richiede un impegno comune non solo per ascoltare e vivere le regole, ma per far rispettare le regole quando sono, in realtà, chiaramente violate”.
USA e molti paesi alleati hanno continuato a violare queste regole. Anche gli alleati europei. Nel 2014, la Polonia è stata condannata dalla CEDU, la Corte europea dei Diritti Umani, per aver consentito ai servizi segreti americani di utilizzare un “black site” per la detenzione abusiva di due sospetti terroristi, Abu Zubaydah, palestinese, e Abd al-Rahim al-Nashiri, saudita. La corte ha ritenuto che “il trattamento a cui i ricorrenti erano stati sottoposti dalla CIA durante la loro detenzione in Polonia equivaleva a tortura”. Pochi anni fa, secondo la CEDU, anche in Lituania e Romania avrebbero violato il divieto europeo di tortura favorendo gli USA. Per questo i due paesi Lituania e Romania sono state condannate a pagare € 100.000 di danni ciascuno a Abu Zubaydah e Abd al-Nashiri. Lituania e Romania complici della tortura della CIA – Tribunale europeo – BBC News . L’elenco di violazioni simili da parte di paesi europei riportato in un documento del 2019 della Corte europea dei Diritti Umani è impressionante. CEDU FS_Secret_detention_ENG (coe.int)
Così come il fatto che, dopo decenni, Guantanamo è ancora aperto e operativo. E per di più con un costo enorme per le tasche dei contribuenti americani: il suo costo ammonterebbe a 445 milioni di dollari l’anno. “Per il carcere, dal 2002 a oggi, sono stati spesi sei miliardi di dollari”, ha dichiarato lo scorso anno Smith.
Nel documento pubblicato nei giorni scorsi, gli esperti dell’OHCHR, invitano il governo degli Stati Uniti a chiudere Guantanamo, rimpatriare i detenuti a casa o in paesi terzi sicuri nel rispetto del principio di non respingimento e a fornire rimedio e riparazione per coloro che sono stati torturati e detenuti arbitrariamente dai loro agenti e ritenere responsabili coloro che hanno autorizzato e commesso la tortura come richiesto dal diritto internazionale.
Ma pare che non nessuno si aspetti davvero dagli USA (e dai paesi che l’aiutano) un cambiamento di rotta in tempi ragionevoli: nel testo si legge che gli esperti “sono profondamente preoccupati per il fatto che le commissioni militari sono ancora in fase di procedimento preliminare su mozioni per sopprimere le prove di tortura”. “La continua ingiustizia del procedimento, e la mancanza di trasparenza e uguaglianza delle armi per gli imputati, è una macchia sull’impegno dichiarato degli Stati Uniti per lo stato di diritto e la protezione costituzionale”, hanno detto gli esperti.
Un modo di operare che per gli esperti delle NU è il “fallimento del sistema giudiziario degli Stati Uniti nello svolgere un ruolo significativo nella protezione dei diritti umani, nel sostenere lo stato di diritto e nel consentire a un buco nero legale di prosperare a Guantanamo con la loro apparente approvazione e sostegno”.
Ieri era l’anniversario di Guantanamo. Una data che un giornale ieri ha definito “l’anniversario della vergogna”. Un “buco nero legale” dove, per decenni, sono stati violati i diritti umani. Un buco nero che nessuno sembra voler davvero chiudere.