La presentazione della squadra di governo rappresenta una sintesi che tiene conto di molteplici fattori tutti necessari per evitare al Paese ulteriori choc che non servono ad alcuno. Una sintesi, si sa, non è una somma poiché agli elementi che la determinano si aggiunge un plus che fa la differenza e nella XVIII legislatura quel plus si chiama Mario Draghi.
Un governo che più che essere guidato da un tenero San Valentino, patrono degli innamorati ma anche protettore degli epilettici, sembra ispirarsi alla saggezza rigorosa di San Gerolamo, dottore della Chiesa e patrono degli archeologi che sanno portare alla luce le glorie dimenticate.
Conoscitore e traduttore di molte lingue del tempo, fu austero e parco di parole; nel prologo a De Viris illustribus del 392 scrisse:
“Sappiano Celso, Porfirio, Giuliano, questi cani arrabbiati contro Cristo, così come i loro seguaci che pensano che la Chiesa non ha mai avuto oratori, filosofi e colti dottori, sappiano quali uomini di valore l’hanno fondata, edificata, illustrata, e cessino le loro accuse sommarie di semplicità rozza rivolte alla nostra fede, e riconoscano piuttosto la loro ignoranza”
Non stupiscano pertanto le conferme di alcuni ministri del precedente governo, si guardi piuttosto al rilievo di chi guiderà il prossimo. Le prime consentono al nuovo esecutivo di ottenere – e di mantenere – con facilità la fiducia del Parlamento, il secondo a riaccreditare l’Italia sul piano internazionale ed a rassicurare investitori e cittadini, poiché è di tutta evidenza che la previsione costituzionale circa il ruolo del presidente del consiglio sarà rispettata con il massimo rigore. Primus inter pares, ma pur sempre primus, il Capo dell’Esecutivo così è identificato dall’articolo 94 della Carta:
“Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri. I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri”
In ciascuno dei termini utilizzati nel dettato costituzionale si rintraccia la garanzia di unità e di credibilità che in questa occasione, vale ricordarlo, non è l’esito di una consultazione politica generale quanto invece la ricomposizione del quadro politico scomposto emerso dalle elezioni del 2018 in cui nessuna forza politica acquisì un sufficiente consenso che ponesse al riparo da necessarie e mutevoli maggioranze d’aula anche tra soggetti che si erano presentati al corpo elettorale con proposte opposte e sovente lontanissime tra di loro.
Il governo di Mario Draghi surroga ora quella profonda lacuna che ha caratterizzato la legislatura e, anche in considerazione delle note emergenze e delle scadenze brucianti rispetto agli impegni europei, rappresenta il ponte necessario che il Paese dovrà percorrere per eleggere il nuovo Capo dello Stato e pervenire alla scadenza naturale del Parlamento. Una passerella tesa sul baratro verso cui il Governo di Giuseppe Conte stava conducendo rapidamente il Paese e che la crisi provocata da Matteo Renzi dieci giorni fa ha consentito di evitare. In tale clima, in una repubblica parlamentare non nascono dream team ma Esecutivi che sono chiamati a far convivere volontà popolare e competenze scientifiche e tecniche che mettano in sicurezza il Paese.
Realismo politico necessario, dunque, per la stabilità e forti integrazioni di competenze, esperienze e capacità certificate per l’innovazione e l’individuazione dei nodi cruciali da sciogliere prima che nuove elezioni si svolgano in clima di contrapposizioni feroci, rischiando di replicare il quadro emerso due anni fa. Real politik da un lato e spinta in avanti dall’altro caratterizzano il governo di cui Mario Draghi è la guida che tutto il mondo ci invidia.
Un governo in cui far crescere in maturità ed esperienza anche quanti vi sono entrati a suo tempo con il furore iconoclasta che ben conosciamo e che, non essendo sorretti da competenza ed esperienza, tanti danni hanno fatto, cercando in ogni direzione non alleati ma complici che consentissero loro, previo ogni genere di balcanizzazione, di sopravvivere politicamente.
Soddisfatta la curiosità dei partiti – e dei giornalisti – di conoscere l’elenco dei ministri e l’articolazione dei dicasteri, la vera sostanza sarà contenuta nella presentazione del programma di governo che, è di tutta evidenza, non nasce da transazioni e negoziazioni più o meno esplicite tra presidente incaricato e partiti, ma dalla visione di Mario Draghi rispetto alla quale l’invito è chiaro già da qualche giorno: prendere o lasciare. Una posizione che soltanto chi può contare sul totale appoggio del Presidente della Repubblica, sulla consapevolezza delle proprie capacità, sulla solidità delle proprie relazioni internazionali e sul disinteresse olimpico circa il proprio futuro politico può permettersi con eleganza e disinvoltura.
D’altronde, assicurata ai partiti la sopravvivenza connessa alla visibilità, i ministri chiave sono diretta espressione del Presidente del Consiglio e, come lui, non condizionabili dalla volatilità che connota gli orientamenti politici degli italiani.
Tuttavia, nonostante il minor rilievo sostanziale, il percorso che si apre davanti ai partiti ed ai rispettivi leader è inedito e contiene tante opportunità che dovranno essere colte poiché nel 2023 sarà inevitabile per gli elettori cogliere le differenze tra soggetti politici improvvisati, nati dal risentimento popolare e partiti responsabili che allevano al proprio interno classi dirigenti di altro profilo.
Tale transizione riguarda la Lega che ha la possibilità di andare oltre Matteo Salvini e cogliere il meglio del proprio radicamento territoriale e del buon governo locale che specie in centri di media grandezza le è riconosciuto ormai di molti anni; riguarda il Movimento Cinque Stelle finalmente guidato nella nuova esperienza governativa da un maestro e non da un incompetente; riguarda il Partito Democratico chiamato a recuperare le ragioni fondative di un partito riformista immune da nostalgie di un passato che sarà glorioso quanto si vuole, ma passato resta in quanto superato dai mutamenti profondi della società e dalla Storia.
Chiamati al “passaggio” sono anche i partiti del cosiddetto Centro moderato il cui destino di sopravvivenza sarà funzione della capacità di superare i movimenti personali di Renzi, Calenda, Bonino e pochi altri per approdare ad una proposta politica unitaria e qualificata che possa convincere gli elettori di più generazioni a riconoscersi in un progetto pluriennale piuttosto che in un capo transeunte e concepire alleanze future con il PD per governare il Paese. Un disegno al quale anche l’attuale Forza Italia, beatificato Silvio Berlusconi che ha ormai ottenuto ogni forma di riabilitazione politica ed istituzionale, potrebbe anche aderire, riconoscendo la comune appartenenza alla famiglia europea attualmente ben identificata nel PPE.
Una prospettiva che potrebbe essere l’anticamera del superamento delle tentazioni proporzionalistiche ed aprire la strada ad un sistema elettorale maggioritario, secondo l’esempio delle grandi democrazie del mondo.
Le ali estreme, come si chiamavano un tempo, avranno tutto il diritto di mantenere intatti i propri sogni, a volte deliranti, purchè comprendano che li aspetta un rispettabilissimo ruolo di testimonianza e null’altro, se non eventuali minime desistenze nei collegi elettorali.
A questo punto, la parola chiave dei due anni che ci aspettano passa da “transazione” in salsa Cencelli con i partiti a “transizione” dei partiti medesimi, nel senso pieno di un passaggio d’epoca, di stili e di linguaggio che configuri una nuova ecologia della politica, ricordando il monito dell’antropologo Gregory Bateson che Steps to an ecology of mind (Verso una nuova ecologia della mente) volle intitolare la propria opera più nota pubblicata nel 1972, in cui ebbe ad affermare: “Per la natura stessa delle cose, un esploratore non può mai sapere che cosa stia esplorando finché l’esplorazione non sia stata compiuta.”
Una dichiarazione di estrema chiarezza che fa pulizia del monolitismo di ogni pensiero unico e, al tempo stesso, anche del caos, per niente creativo, di chi costruisce la propria identità su un velleitarismo sganciato dalla realtà, pretendendo di imporsi ai più con manipolazioni di ogni genere dietro le quali si nasconde spesso l’ombra del potere a tutti i costi.
Accompagnare l’Italia lungo tale percorso è il compito di Mario Draghi, agevolarne lo sforzo è ciò che tocca a quanti per vocazione, ruolo o professione abbiamo la responsabilità di far crescere le coscienze in libertà e responsabilità.