A dodici anni dall’ultimo aggiornamento, il governo ha rivisto e presentato il PIANO NAZIONALE DELLE MISURE PROTETTIVE CONTRO LE EMERGENZE RADIOLOGICHE. Una decisione che, visto il prolungarsi della guerra in Ucraina ha lasciato molti perplessi. Qualche giorno fa, dopo il presunto attacco (da parte dei russi o degli ucraini?) alla centrale nucleare a Zaporizhzhia, il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio aveva sottolineato che sui rischi di fughe “di radioattività, l’Italia è in stretto contatto” con i vari enti di controllo. A fargli eco, il vicegovernatore del Friuli con delega alla Salute e Protezione Civile, Riccardo Riccardi, che ha annunciato che la Regione sta monitorando, tramite le farmacie, e si sta “lavorando per capire quali possano essere le disponibilità in caso, per ora del tutto teorico, di necessità: i nostri volontari partiranno tutti con lo iodio in tasca”. Affermazioni che unite alla pubblicazione del nuovo piano hanno generato una certa preoccupazione. E per diversi motivi.
Il primo è il possibile ritorno al nucleare come fonte energetica. Nelle scorse settimane, il Ministro per l’Ambiente Cingolani aveva giudicato l’aumento del costo dei carburanti affermando che “paradossalmente l’impatto sulle nostre bollette non dipende dal prezzo reale della materia prima del gas ma da quanto il mercato abbia fatto salire la sua quotazione. A oggi abbiamo quotazioni circa dieci volte superiori a quelle che sono le reali di estrazione”.
Intanto, però, alcuni hanno proposto di trivellare il Mar Mediterraneo intorno alla Sicilia. E altri di rimandare la chiusura delle centrali a carbone (in assoluto tra le più inquinanti quanto a emissioni di CO2). Altri ancora sono tornati a parlare di produrre energia nucleare in Italia (prospettiva fortunatamente respinta da Cingolani – almeno per ora). A questo si sono aggiunte le notizie su possibili danni ad una centrale nucleare ucraina (poi smentite o ridotte).
Tutti argomenti che con la pubblicazione del nuovo piano nazionale per le emergenze nucleari ha reso giustificata una domanda: l’Italia è davvero pronta a fronteggiare una eventuale emergenza nucleare?
Il piano presentato nei giorni scorsi individua tre possibili scenari a seconda che l’“incidente” nucleare avvenga in territorio europeo entro i 200 chilometri dai confini nazionali, in territorio europeo ma oltre i 200 chilometri oppure in territorio extraeuropeo.
Nel primo caso (secondo alcuni il peggiore) il suggerimento è rimanere chiusi in casa, serrare porte e finestre e spegnere i sistemi di aerazione per un limite “massimo ragionevolmente posto a due giorni”. Previsto anche il “blocco cautelativo del consumo di alimenti e mangimi prodotti localmente”, lo stop alla circolazione stradale e l’adozione di “misure a tutela del patrimonio agricolo e zootecnico”. In pratica nessuna novità. Le indicazioni sono le stesse che circolarono nel 1986 in occasione del disastro di Chernobyl (quando la cittadinanza fu invitata a non consumare verdure a foglia larga e latte – dimenticando che il latte in busta di solito sta in giacenza per mesi nei serbatoi…).
Il “nuovo” piano prevede anche la iodoprofilassi definita come “una efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, inibendo o riducendo l’assorbimento di iodio radioattivo”. In pratica si tratta di somministrare pastiglie di iodio meno di 24 ore prima dell’esposizione alle radiazioni nucleari o fino a due ore dopo – massimo otto. E qui cominciano i problemi. Il primo è ovvio: come si fa a sapere quando avverrà un incidente nucleare o con precisione quando le radiazioni arriveranno e quindi prevenire gli effetti ingerendo le pastiglie allo iodio? Ma non basta. La profilassi non riguarderebbe tutti ma solo due fasce di età: tra 0 e 17 anni e tra 18 e 40 anni (oltre alle donne in stato di gravidanza o che allattano o con problemi alla tiroide). E gli altri?
A gestire la distribuzione di queste pastiglie dovrebbe essere il ministero della Salute. E qui sono subito emerse alcune critiche neanche tanto celate. Vista la necessità di assumere queste pastiglie entro un periodo brevissimo di tempo dall’esposizione alle radiazioni, è assolutamente fondamentale non solo la disponibilità delle scorte ma anche la tempestività della comunicazione da parte del dipartimento della Protezione Civile. Inoltre, le stesse autorità dovrebbero essere in grado di far fronte ai bisogni collettivi essenziali, fornendo il necessario, dall’acqua agli alimenti all’energia.
Ma quanto è avvenuto negli ultimi due anni di pandemia non possono non può non far sorgere seri dubbi sulla possibilità di realizzare simili misure in modo efficiente. Più volte sono state registrate criticità (si pensi alle polemiche sulle tipologie di mascherine: solo ora, a due anni distanza, le autorità hanno ammesso che le semplici mascherine chirurgiche erano praticamente inutili). Per non parlare del fatto che, durante la pandemia, supermercati e negozi di alimentari sono rimasti aperti. In caso di emergenza da radiazioni, invece, ci sarebbe un lockdown totale con conseguente necessità di fornire beni di prima necessità (a cominciare dall’acqua visto che le falde acquifere e i bacini di stoccaggio potrebbero essere contaminati). Per non parlare di tutti gli altri beni necessari per far fronte all’emergenza.
Cosa accadrebbe se fosse necessario fornire a (quasi) tutta la popolazione nazionale pastiglie allo iodio, acqua in bottiglia, cibo e generi di prima necessità entro poche ore dal verificarsi di esposizione alle radiazioni? Le autorità sono pronte a far fronte a queste emergenze adottando “le misure necessarie a fronteggiare le conseguenze di incidenti in impianti nucleari di potenza ubicati ‘oltre frontiera’, ossia impianti prossimi al confine nazionale, in Europa e in paesi extraeuropei”?
Le autorità hanno ribadito che, comunque non c’è da aver paura e che l’aggiornamento al piano per le emergenze nucleari non è collegato a quanto sta avvenendo in Ucraina. E che, per ora, non c’è alcun allarme. “Solo in caso di una reale emergenza nucleare, al momento inesistente nel nostro Paese, sarà la Protezione Civile a dare precise indicazioni su modalità e tempi di attuazione di un eventuale intervento di profilassi iodica su base farmacologica per l’intera popolazione”, ha dichiarato l’Istituto Superiore di Sanità.
Intanto, però, pare che le farmacie stiano registrando un’impennata di richieste di pillole di “iodio stabile”. E l’ISS ha raccomandato l’uso di sale iodato. Anche in altri paesi pare sia scoppiata la corsa alle farmacie per fare scorte di pastiglie allo iodio. In Belgio, che non dovrebbe essere nuovo al pericolo nucleare dato che molte centrali nucleari francesi sono vicine al confine, si registra un boom della domanda di compresse anti-radiazioni a base di iodio.
Eppure in questo paese le compresse allo ioduro di potassio sono distribuite gratuitamente dalle farmacie su semplice presentazione della carta d’identità. Ciò nonostante, l’Associazione dei farmacisti belgi ha segnalato un’impennata della domanda che non sarà facile soddisfare (in poco tempo la domanda è salita a 4mila confezioni al giorno circa 30mila). Al punto che l’Agenzia federale belga per il controllo nucleare ha dovuto ricordare alla popolazione di non assumere senza motivo queste pastiglie dato che lo ioduro di potassio aumenta il rischio di disfunzioni della tiroide. Anche il sito Belgian Nuclear Risk, ha ricordato che le pillole di iodio rappresentano una misura preventiva in caso di disastro nucleare, ma che è controindicato assumerle senza una reale necessità.
Due anni fa. all’inizio della pandemia, si registrò una corsa sfrenata alla ricerca di mascherine (che raggiunsero prezzi spropositati). Cosa avvenne dopo è storia. Ora il rischio è che si scateni nelle farmacie una caccia alle compresse di iodio stabile.