É stato pubblicato il SIPRI Yearbook 2023 il rapporto realizzato dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) sullo stato e sugli scambi internazionali di armi e armamenti.
Un’attività di monitoraggio importante quella condotta dall’autorevole istituto svedese, ma che negli ultimi anni ha assunto un ruolo ancora più rilevate. E per diversi motivi. Innanzi tutto perché, da tempo, conferma che molti paesi fanno le loro “missioni di pace” più per poter vendere armi e armamenti che per spirito umanitario e di democrazia (specie considerando che raramente sono riusciti ad ottenere i risultati promessi). Lo conferma il fatto che la produzione e il commercio di armi convenzionali sono aumentati.
Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è iniziata una sorta di corsa a chi regalava più armi e armamenti al paese invaso. Perfino la Commissione Europea ha fatto di tutto per stanziare dei fondi per finanziare la produzione di armi UE da inviare in Ucraina. Una scelta discutibile dato che è politica. Ruolo che, sulla carta, dovrebbe spettare al Parlamento europeo. Ma l’aspetto forse più preoccupante che emerge dall’ultimo rapporto del SIPRI è che “Il numero di armi nucleari operative ha iniziato ad aumentare con il progredire dei piani di modernizzazione e di espansione a lungo termine delle forze armate dei paesi”.
Per anni, i paesi dotati di armi nucleari, hanno esercitato forti pressioni sui paesi che non ne erano dotati per impedire loro di dotarsi di tali armi (si pensi alle pressioni degli USA sulla Corea del Nord e sull’Iran). Poi, però, sono stati i primi a non rispettare il trattato di non proliferazione delle armi nucleari o NPT Treaty. Accordo con il quale gli stati firmatari non dotati di armi nucleari si impegnavano a non fabbricare o acquisire in altro modo armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari. E gli stati che già disponevano di armi nucleari si impegnavano a non assistere, incoraggiare o indurre in alcun modo la produzione o la ricerca nel settore.
Negli ultimi anni, però, era scattato un campanello d’allarme. Anzi due. Gli Stati Uniti d’America, nel 2021, avevano ripreso a produrre nuovi modelli dei propri ordigni nucleari. La giustificazione era che non si trattava di “nuovi” ordigni nucleari ma solo di un “aggiornamento”. Armi come i missili nucleari GBSD. Un “aggiornamento” che dovrebbe sostituire i Minuteman LGM-30 con un costo di 100 miliardi di dollari e dovrebbe essere pronto per il 2029. Un progetto a lungo temine: si prevede che tra costruzione, gestione e manutenzione si dovrebbe arrivare fino al 2075 con un costo complessivo di circa 264 miliardi di dollari per ben 450 missili. Una scelta che, secondo la Federation of American Scientists (FAS), non terrebbe conto del ruolo di queste armi: pensate durante la guerra fredda, ora sarebbero inutili e pericolose. Basti pensare che questi missili intercontinentali, con un raggio di azione di circa 6.000 miglia, hanno una testata termonucleare W87 della potenza stimata di 475 kt (Kilotoni), 20 volte più potente di quella sganciata Hiroshima il 6 agosto 1945.
Armi pericolose per tutti, anche per chi le tiene nel proprio arsenale. Per questo motivo, nel 2017, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite avviò i negoziati per un nuovo trattato, detto TPNW che prevedesse non la non proliferazione ma la messa al bando di queste armi. In un primo momento dei 195 stati membri dell’ONU (tra i quali Vaticano e Palestina), 66 decisero di non partecipare ai negoziati. Tra questi tutti gli stati con armi nucleari (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord) ma anche molti di quelli parte di alleanze militari che includono la deterrenza nucleare quali gli stati della NATO (a eccezione dei Paesi Bassi). Entrato in vigore nel 2021 (dopo il raggiungimento del quorum), da allora, il numero dei paesi che hanno ratificato il TPNW è aumentato anno dopo anno. Oggi è stato ratificato da oltre 60 paesi e firmato da 92. Tra questi ovviamente continuano a non essere presenti USA, Cina, Russia, India, Pakistan e molti altri paesi. Tutti dotati di un arsenale nucleare o loro alleati.
Paesi che pure avevano sottoscritto il trattato di non proliferazione nucleare. Ma che, secondo l’ultimo rapporto del SIPRI, starebbero facendo a gara a chi produce armi nucleari sempre più nuove e potenti. “Gli arsenali nucleari vengono rafforzati in tutto il mondo. I 9 stati dotati di armi nucleari – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord) e Israele – continuano a modernizzare i loro arsenali nucleari e nel 2022 diversi hanno dispiegato nuove armi nucleari. Sistemi d’arma armati o con capacità nucleare”.
A gennaio 2023, l’inventario SIPRI contava circa 12.512 testate nucleari (quasi sempre si tratta di stime visto che sono dati coperti dal segreto militare, ma raramente il SIPRI ha sbagliato). Di queste 9.576 erano in scorte militari per un potenziale utilizzo, 86 in più rispetto al gennaio 2022. Circa 3.844 testate sono pronte per essere montate su missili e aerei, e circa 2.000, quasi tutte appartenenti alla Russia o agli Stati Uniti (questi due stati da soli possiedono circa il 90% di tutti gli ordigni nucleari), sono mantenute in uno stato di “massima allerta operativa”, il che significa che sono montate su missili o custodite in basi aeree che ospitano bombardieri nucleari.
In tutta questa vicenda c’è un altro indicatore preoccupante: “La trasparenza riguardo alle forze nucleari è diminuita in entrambi i paesi [Russia e USA] a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022”. Una situazione comune ad altri paesi. Grave anche l’aumento delle testate nucleari dell’arsenale cinese: da 350 testate del 2022, in un solo anno si è passati a 410. E si prevede che continueranno ad aumentare: “A seconda di come deciderà di strutturare le sue forze armate, entro la fine del decennio la Cina potrebbe potenzialmente avere almeno tanti missili balistici intercontinentali (ICBM) quanti gli Stati Uniti o la Russia”.
Secondo il SIPRI Yearbook 2023, anche il Regno Unito avrebbe aumentato il proprio arsenale di armi nucleari: “In futuro, a seguito dell’annuncio del governo britannico nel 2021 di aumentare il limite da 225 a 260 testate, le scorte di testate cresceranno”. E anche in questo caso il governo britannico ha affermato che non rivelerà più pubblicamente le sue quantità di armi nucleari, testate dispiegate o di missili dispiegati. E così India e Pakistan: entrambi i paesi starebbero espandendo i loro arsenali nucleari e starebbero sviluppando nuovi tipi di sistemi nucleari. Ma mentre il Pakistan si starebbe concentrando sul fattore deterrente nel conflitto mai finito con l’India, dal canto suo, l’India sembra stia lavorando su armi nucleari a più lungo raggio.
Un quadro preoccupante quello fornito dal SIPRI. In barba alle promesse di pace e di condanna della violenza, i numeri parlano di una corsa sfrenata al riarmo nucleare. Albert Einstein, lo scienziato passato alla storia per la sua teoria della relatività, si oppose sempre all’uso militare del nucleare. Ciò nonostante la sua formula della relatività generale fu indispensabile per la creazione della bomba a fissione nucleare. Per questo, dopo la creazione dei primi ordigni nucleari americani, venne additato come uno dei padri della bomba atomica. Cosciente dei pericoli che potevano derivare dalla proliferazione di queste armi, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale insistette per il disarmo nucleare. Intervistato da un giornale rispose: “Non so con quali armi verrà combattuta la Terza Guerra Mondiale, ma la quarta verrà combattuta con clave e pietre”.