Appare sempre più evidente quanto l’attuale crisi porti con sé anche la sigla di chiusura dell’economia industriale e di quella che, a lungo, abbiamo definito “post moderna”.
Un lungo periodo di difficoltà economiche quale quello che ancora si prospetta (il PIL in Italia dovrebbe tornare solo tra cinque anni a quello della vigilia della crisi) sta rappresentando l’archiviazione traumatica del novecento e si sta rivelando come l’incubatore di nuovi costrutti filosofici e di inedite modalità organizzative.
Non vi è dubbio che dopo questa crisi, dove la parola “dopo” ha un senso molto relativo, visto che il mondo procederà di crisi in crisi come più volte preannunciato, il mondo globalizzato si ritroverà con nuovi paradigmi geo politici, nuove leadership internazionali, nuove aggregazioni economiche e nuovi paradigmi sociali e comportamentali.
Si può allora dire della fase attuale come essa sia “liminale” cioè rappresentativa di una situazione confinaria rispetto all’inedito in molti settori. Una vera e propria situazione di frontiera il cui varco è aperto solo per quanti sono consapevoli che esso esista e non siano piuttosto rivolti al rimpianto di un passato non replicabile.
Ciò vale per le economie, per le società, per i sistemi di governance pubblica e privata, per il mondo della conoscenza e soprattutto vale per le consapevolezze individuali, di genere e di ruolo ancora sostanzialmente traguardate sul secolo scorso.
Ne deriva che in alcuni campi di riflessione avanzata quali quelli dell’università, della ricerca e sviluppo, dell’analisi strategica, delle scienze del management e dell’alta formazione, naturalmente “obbligati” a confrontarsi con il futuro prima di altri soggetti, si stia svolgendo una vera e propria rivoluzione copernicana, pur nella esiguità di mezzi finanziari ad essi ancora oggi destinati.
Il limen, in latino, è la soglia: quell’elemento della casa che si tra-duce dall’interno e all’esterno. Il limes possiede un altro significato che crea una prima problematica al rapporto, ma sia esso soglia o limes, contiene un luogo: il confine termina con un luogo oltre il quale era l’ignoto contro cui il cartografo dell’antichità metteva in guardia scrivendo Hinc sunt leones. La frase stava ad indicare che non si sapeva cosa si trovasse in quelle lande sconosciute, a parte il fatto che fossero abitate da belve, oppure si riferiva a territori che non potevano essere conquistati.
Le principali caratteristiche di una realtà “liminale”, avvicinabile a grandi linee a fasi del passato analoghe per tipologia ma non paragonabili per portata, vastità e complessità contestuale quali la caduta dell’impero romano, la scoperta dell’America o il fenomeno dell’inurbazione del XIX secolo, possono essere raggruppate in alcuni costrutti fondamentali:
la liminalità conferisce ansia a individui e ad organizzazioni e sostituisce il senso del fine con quello “della fine” di un’epoca e delle relative certezze, proiettando gli attori, primari e secondari, nell’incertezza profonda e nella baumiana liquidità di valori e di prospettive; essa pone una nuova domanda di significato, pur avvertendo che la risposta non sarà mai più esaustiva;
la liminalità, per la natura confinaria che le è propria, costringe a “guardare l’altro da sé” e a conferirgli, talvolta malvolentieri, dignità e diritto di esistenza oltre ogni semplice “tolleranza”; ciò vale per mondi, culture e sistemi di pensiero sia individuali che collettivi;
la liminalità, poiché come tutti i varchi presenta punti delimitati di passaggio, non consente di traghettare nel futuro nulla più che parti dell’ identità, rendendo necessario l’abbandono di ciò che non solo non è più utile ma che, proiettato nel futuro, ne pregiudicherebbe la piena realizzazione; essa è dunque un passaggio a maglie strette che molto probabilmente lascerà indietro individui, territori e collettività: i “doganieri” intransigenti della liminalità sono già oggi l’interesse pubblico, ormai mondializzato e rappresentato da attori spontanei e spesso non governativi, le invalicabili condizioni di sostenibilità dello sviluppo, gli oltre quattro quinti di umanità finora non considerati per la definizione di modelli di sviluppo;
la liminalità ha epifanie a volte eclatanti e scenografiche quali i grandi mutamenti geologici, climatici, sociali e politici e, al tempo stesso e popolata da micro manifestazioni comportamentali del singolo e delle società, nel privato e nel pubblico, inizialmente incomprensibili perché ancora mancati di un codice semantico che le decifri e le collochi in quella che un tempo veniva definita “la temperie” della nuova epoca; essa si serve di antichi simboli in modo nuovo ed è, a sua volta, potente generatrice di simboli inediti.
Il quadro sopra definito trova impreparati individui, società ed organizzazioni che, sovente, pur sollecitate da segnali deboli, ne hanno ignorato il potenziale evolutivo preferendo restare present oriented quando non addirittura past oriented. Non è la prima volta, peraltro, che l’Umanità si lascia cogliere impreparata dal cambiamento e vi soccombe: la differenza con l’attuale situazione e che stavolta non sono mancati né la consapevolezza né il tempo per fronteggiarne gli effetti.
E’ vero infatti che, al pari della crisi finanziaria non prevista dagli analisti nel 2007, la pandemia ha colto il mondo alle spalle, ma è altrettanto vero che i segnali di cedimento e la progressiva liquidizzazione del novecento erano stati annunciati da studiosi in più campi (Hobsbawm, Bauman, Rifkin, Fukujama). Gli ammonimenti circa “il secolo breve”, “la società liquida”, “l’era dell’accesso” la, a lungo irrisa, “ fine della storia”, pur ricchi di proposte di percorsi per preparare il passaggio alla liminalità non sono riusciti ad influire sui potenziali decisori di grandi o piccoli cambiamenti di rotta da porre in essere in tempo utile.
La sfida dei prossimi anni sarà dunque saper costruire/decostruire continue modalità, competenze e comportamenti per abitare la liminalità, attestandosi sui bordi dell’inedito e acquisendo familiarità con ciò che ancora sembra non essere. Porsi come fari sui confini dell’ignoto costituirà l’essenza della nuova condizione umana, mantenerli accesi e visibili sarà la nuova missione del pensiero.