Negli ultimi giorni i media hanno dedicato ampio spazio al G7 in Puglia. Anzi non proprio in Puglia, ma a Borgo Egnazia, in un resort extralusso (basti pensare che per andare a cena sono stati usati gli elicotteri). Qui i leader mondiali si sono riuniti per parlare di tanti argomenti ma soprattutto di Ucraina e di come mandare altri miliardi di dollari a questo paese. Alla fine, la soluzione trovata pare sia quella di un prestito utilizzando gli interessi degli asset di alcuni miliardari russi sequestrati in Europa. Una decisione rischiosa: cosa accadrebbe se i tribunali internazionali (quelli russi lo hanno già fatto) dovessero giudicare questa misura illegale e inammissibile? Chi dovrebbe restituire questi soldi? Per non parlare del fatto che concedere un prestito all’Ucraina nelle condizioni in cui si trova significa solo due cose: o essere tremendamente ingenui o sapere già che non si rivedranno mai più quei soldi. La stessa presenza del presidente ucraino al G7 (il cui mandato è scaduto da mesi ma si è rifiutato di far votare i propri cittadini) sarebbe una anomalia: tra i paesi partecipanti al G7, l’Ucraina non compare. Eppure, i media non hanno parlato d’altro (a parte alcune note sul comportamento di Biden – davvero le sue condizioni di salute sono tali da consentirgli di gestire gli USA per un altro mandato? -, qualche pettegolezzo da gossip di basso bordo e ampi spazi dedicati al pontefice che però, non è stato chiamato a parlare di “pace” o di religione, ma di intelligenza artificiale…).
Quanto agli incontri in Svizzera, che si sono svolti subito dopo, anche questi sono stati concentrati sulla “questione Ucraina”. E anche qui non si è giunti a nessuna soluzione definitiva: alcuni paesi importanti (come la Cina) non hanno partecipato nonostante invitati. Altri non sono stati invitati (la Russia). Altri ancora pur essendo presenti, non hanno firmato il documento conclusivo.
Una brama viscerale dei paesi occidentali di parlare di Ucraina e solo di Ucraina che appare quasi sospetta: possibile che in tutti questi meeting internazionali di alto livello nessuno abbia pensato che ci sono altre cose di cui parlare? Si pensi alla situazione nella Striscia di Gaza. O a quello che avviene in Sudan. Anche qui, di cose da dire ce ne sarebbero tante. E sarebbero molte le decisioni da prendere e le azioni da intraprendere (almeno per dare alla popolazione mondiale un’apparenza di equità). Invece, nessuno ha pensato di fare qualcosa per fermare la strage nella Striscia di Gaza. Non semplici chiacchere, ma misure concrete per far fronte all’efficacia delle misure adottate dalle NU. Come mai nessuno ha pensato di sequestrare i beni di miliardari israeliani in Europa? o negli USA? E come mai nessuno ha chiuso i commerci con questo paese (tranne qualche raro caso: l’Olanda ha deciso di non mandare più armi, componenti e armamenti vista la situazione)? Come nessuno ha pensato di vietare la possibilità per gli atleti israeliani di utilizzare la propria bandiera nelle gare internazionali. Eppure, anche in questo caso le motivazioni non mancano. Basti pensare alle procedure avviate dai vari organi delle Nazioni Unite dove si parla di reati internazionali che vanno dal genocidio all’uccisione di bambini.
Situazione analoga per il Sudan. Di quello che sta avvenendo in questo paese non hanno parlato né i media (tranne poche eccezioni) né, tanto meno, i leader mondiali. Sembra non importare a nessuno della strage di civili che sta avvenendo in questo paese africano. Eppure, di cose da dire ce ne sarebbero: solo pochi giorni fa le Nazioni Unite hanno aggiunto l’esercito del Sudan e i paramilitari delle Forze di supporto rapido alla “lista della vergogna” per le violazioni dei diritti dei bambini nei conflitti. Il rapporto del Segretario Generale dell’ONU parla di uno “sbalorditivo aumento del 480%” delle gravi violazioni contro i bambini nel Paese tra il 2022 e il 2023. Un motivo in più per parlarne durante il G7. E magari per prendere alcune decisioni sul da farsi. Invece, è come se del Sudan, di questo pezzo d’Africa non importi a nessuno. Anche quando i numeri sono impressionanti. Molto maggiori anche di quelli nella Striscia di Gaza. E di gran lunga più impressionanti anche di quelli in Ucraina, dopo due anni di conflitti. Nel rapporto “Dalla catastrofe alla carestia: è necessaria un’azione immediata in Sudan per contenere la fame di massa“ pubblicato a maggio dal Clingendael Intitute olandese si parla di “un eccesso di mortalità stimato di circa 2,5 milioni di persone (circa il 15% della popolazione del Darfur e del Kordofan, che sono probabilmente le più colpite) entro la fine di settembre 2024”. Persone uccise non solo dalle armi dei rivoltosi o delle forze armate ufficiali, ma dalla fame. Una “fame su larga scala che si trasforma in morte” secondo i ricercatori. Un problema che i leader mondiali, tra un “crostino con foglia d’oro” e un manicaretto preparato dallo chef ultra-famoso, non hanno saputo affrontare. Figurarsi risolvere.
Eppure, non è una “novità”: già a marzo 2024 in un incontro organizzato da ODI/Humanitarian Policy Group, in collaborazione con la Tufts University e il Clingendael Institute, si era parlato “dei peggiori livelli di fame mai registrati”. Di “sette milioni di persone che stanno affrontando livelli catastrofici di fame. Fame di massa e un alto numero di morti sono previsti entro giugno, quando la malnutrizione infantile è più alta e le malattie rischiano di aggravare gli alti livelli di fame” aveva detto Anette Hoffmann, Senior Research Fellow di Clingendael. Ma il suo appello non è stato ascoltato da nessuno. Si era preferito ascoltare il leader ucraino che, non senza una certa monotonia, ha continuato a chiedere non aiuti per ricostruire il proprio paese ma armi e armamenti. In Sudan non sanno cosa farsene delle armi e degli armamenti (e forse è per questo che non interessano?). Lì c’è bisogno di beni di prima necessità: cibo e acqua. Secondo lo scenario più probabile, in Sudan, “sette milioni di persone dovranno affrontare livelli catastrofici di fame entro giugno 2024 (IPC5), con la prospettiva di una fame di massa” affermano gli esperti. E la “finestra entro la quale ridurre significativamente l’impatto di quella che sta diventando la più grande crisi alimentare degli ultimi decenni si sta rapidamente chiudendo”.
Ma di questo ai leader mondiali in visita turistica ad Alberobello non sembra interessare nulla. Così come non sembra importare molto del fatto che un bambino su quattro, in tutto il mondo, è soggetto a carenze alimentari che potrebbero danneggiare la sua crescita, lo sviluppo del cervello e anche le sue possibilità di sopravvivenza. A lanciare l’allarme, inascoltato, è stata l’UNICEF con un rapporto nel quale è stata analizzata la dieta dei bambini sotto i cinque anni. Circa 181 milioni di bambini in quasi 100 paesi consumano, al massimo, due gruppi di alimenti su base giornaliera, in genere latte con alimenti amidacei come riso, mais o grano. Una dieta che causa tantissimi problemi. Molti bambini vivono in aree che sono state designate dalle Nazioni Unite come “punti caldi della fame”. Territori come la Palestina, Haiti e Mali dove si prevede che senza interventi concreti e immediati da parte dei paesi sviluppati, la situazione peggiorerà. Uno stato di “grave povertà alimentare” con decine di milioni di “bambini che vivono sull’orlo del baratro”, ha dichiarato Catherine Russell, direttore esecutivo dell’UNICEF.
Ma della fame di centinaia di milioni di bambini ai leader mondiali in vacanza prima in Puglia e poi in Svizzera non sembra interessare molto.