La corsa per la presidenza degli USA si è chiusa con un vincitore incontestato. Ma le polemiche sul sistema elettorale americano non sono finite. Specie per ciò che riguarda i fondi spesi per conquistare il diritto di abitare alla Casa Bianca per i prossimi quattro anni. Secondo alcune fonti, la spesa complessiva per le elezioni del 2024 ammonterebbe a una somma inferiore a quella delle elezioni del 2020, ma non per questo meno sorprendente. Il totale degli aiuti e sovvenzioni ricevute dai due maggiori contendenti supera abbondantemente i due miliardi di dollari! A sorprendere non sono tanto gli aiuti di pochi dollari inviati dai supporter, ma le cifre a sei zeri messe sul piatto dai grandi finanziatori, spesso imprese e imprenditori. Più di 100 miliardari hanno deciso di donare fondi, direttamente o indirettamente, a Kamala Harris e Donald Trump. Sostenitori che non fanno mai nulla senza prevedere un ritorno economico.
In cima ai grandi finanziatori di Trump c’è il discusso Elon Musk, per molti l’uomo più ricco del pianeta. Il risultato di aver puntato centinaia di milioni di dollari e di aver scommesso su Trump – anche in termini mediatici – si è già visto: a Musk il Tycoon ha riservato un ruolo chiave nel governo che si insedierà a gennaio. Ma Trump ha potuto contare anche sui finanziamenti di Timothy Mellon, rampollo di una delle più famose dinastie bancarie d’America: pare che da lui per la campagna del candidato repubblicano siano arrivati ben oltre cento milioni di dollari attraverso vari “super pac”, pacchetti e gruppi di supporto. E poi c’è Miriam Adelson, il cui contributo ammonta finora a 136 milioni. In che modo Trump “ringrazierà” questi sostenitori non è ancora chiaro.
Sul fronte dei democratici la situazione è, se possibile, ancora più complicata. Per diversi mesi la Harris ha fatto sfoggio di dichiarazioni rilasciate da personaggi dello spettacolo, attori, cantanti e influencer. Ora si scopre che la maggior parte di questi erano pagati per le loro esibizioni durante i comizi della candidata democratica. Anche per la campagna elettorale della Harris non sono mancati i grandi finanziatori. Dei 1,3 miliardi di dollari ricevuti (alcuni dei quali “ereditati” dalla campagna di Joe Biden) oltre la metà (55,7%) proverrebbe da grandi contributori. Solo il 44,3% proverrebbe da donatori che hanno versato cifre inferiori a 200 dollari. Anche qui si parla di super pac sostenuti da personaggi come Bill Gates, l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg o George Soros.
I finanziamenti alla Harris hanno destato l’attenzione di molti giornalisti anche per un altro motivo: nelle ultime fasi della campagna elettorale, molti donatori hanno preferito restare sconosciuti (per non subire le ricadute mediatiche in caso di sconfitta?) e hanno versato montagne di soldi in quelle che vengono chiamate “dark-money organization”, organizzazioni no profit che non sono obbligate a comunicare i loro finanziatori. Sono state queste, a loro volta, che hanno finanziato i super pac (che, invece, hanno l’obbligo di dichiarare i donatori). Aiuti conosciuti come “grey money” (denaro grigio).
Una di queste avrebbe raccolto la considerevole cifra di 300 milioni di dollari prima per sostenere la campagna elettorale di Biden e poi per quella della Harris. Come altre società simili, non ha l’obbligo di rivelare i suoi donatori diretti. Da un’indagine condotta da Open Secrets, sarebbero emersi finanziatori insospettabili. Come l’Università della California che avrebbe sostenuto la candidatura della Harris con una somma superiore ai cinque milioni di dollari. O lo Stato dell’Illinois che invece di usare i fondi pubblici per risolvere i problemi dei propri cittadini avrebbe regalato oltre cinque milioni e duecento mila dollari alla candidata democristiana. Soldi buttati (visto che non ha vinto). Ma l’aspetto più sorprendente della campagna elettorale della Harris è un altro. Subito dopo la fine delle elezioni, un funzionario della Convention Nazionale Democratica (DNC), Lindy Li, ha dichiarato che i fondi della campagna di Harris erano in rosso, con un debito di 20 milioni di dollari. Secondo i dati forniti, la campagna elettorale della Harris avrebbe speso una fortuna in campagne mediatiche per recuperare il tempo perduto a causa del ritardo di Biden nel presentare le proprie dimissioni. Somme a sei cifre per costruire un set per l’apparizione di Harris nel podcast “Call Her Daddy” con il conduttore Alex Cooper. Altri 15 milioni di dollari spesi per la produzione di eventi che sono andati a spettacoli di celebrità, come lo spettacolo della vigilia elettorale con Katy Perry, Lady Gaga e Ricky Martin. Secondo alcune fonti, la Harris avrebbe pagato un milione di dollari alla Harpo Productions, proprietà di Oprah Winfrey, che ha fatto un town hall con Harris a settembre ed è apparsa a quel raduno della vigilia elettorale a Filadelfia.
Una montagna di soldi, spesi in poche settimane e che non sono serviti a nulla se non a far aumentare la delusione. Prima di tutto quella degli stessi democristiani: “Ci vuole una notevole incompetenza per spendere un miliardo di dollari in 90 giorni, perdere quote di mercato, permettere l’elezione di Donald Trump e finire in debito”, ha detto un sostenitore democratico a NewsNation.