Cos’hanno in comune l’Unione Europea, il carico fiscale e l’evasione fiscale?
Poco. Molto poco. E più passa il tempo più sembra che il concetto di “unione” nell’UE sia solo nel nome. A dimostrarlo sono stati i mesi della pandemia: ogni governo ha adottato misure indipendenti senza tenere in alcun conto ciò che avveniva negli altri paesi.
In molti, in questi mesi, hanno criticato la decisione di un paese come la Svezia che si è sempre rifiutata di imporre politiche di chiusura (oggi si preferisce chiamarla lockdown) e misure eccessivamente restrittive per la popolazione. Se ciò ha causato più o meno contagi (e morti) non è ancora chiaro (vista la scarsa attendibilità dei dati: altro aspetto delicato che dimostra l’inesistenza di una Unione unita).
Esiste, però, un altro dato dal quale emerge la diversità della Svezia con altri paesi dell’Unione, a cominciare dall’Italia. E qui i dati sono incontrovertibili.
Che l’Italia è uno dei paesi europei dove si pagano più tasse non è una novità. A seconda delle fasce di reddito, il Bel Paese è tra quelli che preleva di più dalle tasche dei propri contribuenti. A seguirlo a strettissimo giro, è un proprio la Svezia. Se si guarda al carico sul lavoro qui l’Italia è al primo posto in assoluto: Dai dati Eurostat emerge che il carico fiscale sul lavoro in Italia ammonta al 44%, ben al di sopra della media comunitaria (che si attesta al 34,3% nell’area Euro). E, ancora una volta, subito dopo l’Italia, si trova la Svezia (con un carico fiscale del 43,1%).
Qui, però, finiscono le analogie e cominciano le differenze. La qualità dei servizi per i contribuenti italiani è ai posti più bassi. Cosa questa che, secondo molti, sarebbe una delle cause della pazzesca evasione fiscale: secondo le ultime stime, in Italia le tasse non pagate ammonterebbero ad oltre 110 miliardi di Euro. Una somma pari a tre manovre finanziarie pre-pandemia. Una somma che, dopo la pandemia, basterebbe a coprire oltre metà del Recovery Fund, il prestito che gli italiani dovrebbero ricevere per far fronte alla pandemia e dovranno restituire.
E ancora. Secondo l’analisi de Il Sole 24 Ore basata su dati ufficiali dell’Agenzia delle Entrate, in Italia, quasi un italiano su due non paga l’Irpef, cioè l’imposta sul reddito delle persone fisiche che dovrebbe colpire tutti i contribuenti, a prescindere dall’attività esercitata. Scendendo più nel dettaglio, le entrate per lo stato deriverebbero per il 64% del totale dai contribuenti con redditi lordi medio-bassi (inferiori a 55mila Euro). Se si allarga il range ai contribuenti fino a 100mila Euro di reddito lordo, da loro deriva quasi l’80% delle tasse (oltre 120 miliardi).
Una ripartizione che pare penalizzare soprattutto i ceti medi e le fasce reddituali più basse della popolazione, che sopportano la maggior parte dell’imposizione complessiva. Il contrario di quanto ci si dovrebbe aspettare in base al principio di capacità contributiva che i padri costituenti inserirono nell’art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. I concetti di “equità verticale” (le imposte devono essere progressive) e di “equità orizzontale” (persone con le stesse condizioni economiche pagano le stesse tasse) previsti dalla Costituzione sembrano non trovare riscontro con la realtà.
Se poi si sale ancora di reddito e si va sui super-ricchi o, peggio, sulle grandi imprese la situazione peggiora ulteriormente: qui, spesso, entra il gioco il tax ruling (ne parleremo prossimamente) e di equità non si parla più da nessuna parte.
In Svezia la situazione è esattamente l’opposto: non solo i servizi sono efficienti e raggiungono tutti i cittadini e i ceti sociali, ma le tasse le pagano tutti. Ma proprio tutti.
Anzi a volte, per assurdo che possa sembrare, i contribuenti pagano più di quanto dovrebbero. Non per uno spirito di beneficenza, però, ma per un mero calcolo economico. Secondo alcuni dati, i contribuenti svedesi pagherebbero miliardi di tasse non dovute alle casse dello Stato. I contribuenti svedesi avrebbero capito che pagare più tasse del dovuto è economicamente redditizio e sicuro: con i tassi d’interesse sui depositi bancari ai minimi storici, il rendimento del danaro, in Svezia come in Italia e in molti altri paesi europei, è praticamente nullo (quando non negativo a causa delle commissioni e delle imposte).
E allora gli svedesi hanno pensato di pagare più tasse del dovuto! Gli uffici dell’erario in Svezia sono di una efficienza inimmaginabile in Italia o in altri paesi dell’UE. Qui lo Stato rimborsa puntualmente il danaro ricevuto e non dovuto. E – e qui sta il nocciolo della questione – lo fa con un tasso d’interesse. Basso ma positivo e, soprattutto, superiore a quello che i risparmiatori otterrebbero in banca. Risultato? I contribuenti pagano più tasse del dovuto e non pagano tasse inutili per i depositi bancari; in cambio, lo Stato rimborsa con un tasso di interesse bassissimo queste entrate ma, in compenso, ha un surplus di tasse di gran lunga meno dannoso dell’evasione fiscale, che sottrae risorse ingenti al bilancio pubblico e che in molti casi (come in Italia spesso diventa non più esigibile, come ha dovuto ammettere la stessa INPS).
Ma non basta. Il tutto influisce anche sul bilancio: lo scorso anno il bilancio svedese è risultato in attivo di 85 miliardi di corone (quasi otto miliardi e mezzo di euro), ben oltre le previsioni. É vero che circa metà dell’avanzo svedese dovrà essere restituito ai contribuenti. È altrettanto vero che all’erario rimarrà l’altra metà.
In Italia, al contrario, il deficit pubblico continua a crescere: ha raggiunto cifre impressionanti e irripetibili. Viene da pensare come mai ai governi tecnici o simil tali, che da anni si sono alternati alla guida del Bel Paese non sia mai venuta in mente una soluzione simile. Gli italiani, al contrario degli Svedesi, continuano a pagare miliardi di interessi sul debito pubblico.
Quella svedese non è una novità assoluta: nel 2015, anche gli svizzeri, secondo il Financial Times hanno fatto qualcosa di simile.
Eppure, per qualcuno, in Europa siamo tutti uguali, tutti uniti in un’Unione (europea) che mostra ogni giorno che passa sempre più differenze. Anche quando si pagano le stesse tasse.