Da alcuni anni, per ridurre (almeno sulla carta le emissioni di CO2) si è deciso di promuovere l’utilizzo del gas “naturale” o del metano come alternative al petrolio. Risorse energetiche “naturali” e che causano danni minori all’ambiente. Ma non sempre è così.
Cominciamo con il gas “naturale”. Questo combustibile è “naturale” come il petrolio: entrambi sono presenti nel sottosuolo. È composto principalmente da metano (CH4) e da altri idrocarburi e gas (azoto, propano, anidride carbonica e butano), in percentuali diverse a seconda dell’origine del gas e del tipo di processi che hanno contribuito alla sua formazione. Il primo mito che bisogna sfatare, quindi, è che il gas “naturale” non è inquinante. In alcuni casi potrebbe comportare emissioni superiori a quelle del petrolio: ad esempio, spesso è trasportato non allo stato gassoso (come avviene nei gasdotti), ma allo stato liquido (ad esempio, sulle mega navi che solcano gli oceani). In questo caso è necessaria una enorme quantità di energia per mantenere il gas naturale a temperature bassissime.
Uno dei componenti del gas “naturale” è il metano. Anche questo, spesso, viene presentato come alternativa sostenibile al petrolio. Il metano è un idrocarburo inodore e incolore, presente allo stato fossile in natura all’interno di sacche sotto la superficie terrestre e spesso è localizzato vicino al petrolio. La sua origine è legata ai processi di decomposizione delle materie organiche attraverso processi naturali. A breve termine, il metano (e il gas “naturale” fatto principalmente di metano), causano il riscaldamento del pianeta fino a 80 volte più dell’anidride carbonica. Secondo alcune ricerche, questi combustibili causerebbero addirittura danni maggiori all’ambiente.
Sia il gas “naturale” che il metano vengono presentati come combustibili “di transizione”: dovrebbero consentire di ridurre l’impatto sull’ambiente causato dal petrolio e dai suoi derivati e favorire la transizione verso sistemi a emissioni zero. La verità è che sono delle alternative “politiche” a petrolio.
Estrarre metano e gas naturale inquina anche in altro modo. Con il termine “gas flaring” si indica la pratica di bruciare gli eccessi di metano durante l’estrazione petrolifera: durante le trivellazioni è comune imbattersi in sacche di gas naturale e di metano, spesso considerati prodotti si scarto dall’industria petrolifera. Recuperare questi prodotti a volte sarebbe costoso. Per questo molte compagnie petrolifere preferiscono bruciare il gas in eccesso (chi non ha visto lunghe fiammate sia sopra i pozzi di petrolio che in mare sopra le piattaforme offshore?). questa pratica è detta “gas flaring”. Non solo è uno spreco di risorse (alcuni studi parlano di 144 miliardi di metri cubi di metano ogni anno) ma comporta una notevole quantità di gas serra emessi nell’atmosfera. Secondo i ricercatori dell’Università del Michigan, l’inquinamento prodotto in questo modo è ampiamente sottostimato: dai test effettuati su tre aree estrattive negli Stati Uniti d’America, il “gas flaring”, avrebbe raggiunto fino al 9% del totale. Una montagna di combustibile fossile che viene bruciato e finisce nell’atmosfera senza essere utilizzato.
A questo si aggiunge un altro aspetto, tutt’altro che secondario. Recenti studi hanno dimostrato che in tutto il mondo si starebbero verificano enormi perdite e fuoriuscite di questi gas. Sia durante il processo di estrazione e trasferimento che altrove. Secondo i ricercatori, solo negli USA il “tasso di perdita” dovuto al processo di produzione del gas naturale sarebbe superiore al 2%. Altri, hanno rilevato “super fonti di emissione” nelle principali regioni di trivellazione negli USA.
È per questo motivo che, nei giorni scorsi, un gruppo di senatori americani guidati da Ed Markey del Massachusetts ha inviato una lettera alle autorità federali nella quale denunciano la promozione dell’utilizzo di questi combustibili su larga scala un “pericoloso sistema di greenwashing”. Nella lettera, indirizzata al presidente della Federal Trade Commission, Lina Khan, i senatori affermano che le nuove norme in via di definizione dovrebbero “reprimere” le affermazioni fatte dai programmi di certificazione del gas.
Negli ultimi decenni, centinaia di impianti a carbone chiusi e sono stati sostituiti con impianti altri a gas naturale o a metano. Oggi questo gas soddisfa quasi il 40% del fabbisogno energetico degli USA. Un processo giustificato dal fatto che il rendimento del metano è superiore a quello del carbone o altri combustibili fossili e che permane nell’atmosfera per un tempo inferiore (in media nove anni). Per questo in molti hanno promosso il ricorso a questi combustibili per favorire la transizione dal petrolio e dal carbone verso altre fonti di energia a emissioni zero.
“La domanda è: questo combustibile è “di transizione” oppure lo useremo per lungo tempo?”, ha detto Sheila Olmstead, economista ambientale all’Università del Texas di Austin. La realtà è che non si tratta di una “transizione”: “il mercato ci sta dicendo che ne faremo uso per molto tempo”.
Ma le perdite o le fuoriuscite lungo il processo di estrazione e trasporto di gas naturale e metano non sarebbero l’unica fonte di emissioni di CO2 legate a questi gas. Uno studio basato sull’analisi dei dati satellitari di tutto il mondo mostra ha individuato un aspetto fino ad ora trascurato. Emissioni di gas naturale e metano particolarmente elevate sono state rilevate in prossimità delle discariche, specie di quelle dove vengono ammassate grandi quantità di rifiuti organici (come avanzi di cibo, legno, cartone, carta e rifiuti da giardino). La trasformazione di questi rifiuti avviene in due modi: aerobica e anaerobica. Quando questi ammassi di rifiuti non permettono la circolazione dell’ossigeno, avviene la trasformazione anaerobica. Che produce metano.
Tra gennaio 2019 e giugno 2023, le analisi satellitari hanno rilevato non meno di 1.256 siti dove sono verificate emissioni di metano molto al di sopra del normale. I Paesi dove queste emissioni sono state maggiori sarebbero Pakistan, India e Bangladesh, seguiti da Argentina, Uzbekistan e Spagna. Solitamente la percentuale di metano nell’atmosfera si aggira intorno allo 0,0002% in volume. “Ma se si va in una tipica discarica in India, la percentuale può variare tra il 3% e il 15%, il che è enorme”, ha detto Singh, che vive non lontano da una di queste discariche. Gli incendi di metano si accendono regolarmente, ha aggiunto, causando inquinamento atmosferico e diffondendo agenti cancerogeni in intere città.
È per tutti questi motivi che, dal 2007 ad oggi, le emissioni di metano sono aumentate considerevolmente. Oggi, un terzo del riscaldamento globale potrebbe essere causato da emissioni come quelle legate alla decomposizione di rifiuti (per circa il 20% delle emissioni di metano causate dall’uomo). Un altro 40% deriverebbe dall’utilizzo di combustibili fossili. Il restante 40% delle emissioni sarebbe prodotto dall’allevamento di bestiame e dalla produzione agricola (in particolare quella delle risaie.
E da altre “perdite” delle quali non si parla mai. In base ad alcuni studi, solo nel 2022, si sarebbero verificati più di 1.000 eventi di super-emettitori da siti di petrolio, gas e carbone. Secondo il professor Euan Nisbet, esperto di metano presso la Royal Holloway University di Londra, “Le grandi discariche producono una grande quantità di metano, ma non costa molto demolire il terreno su una discarica puzzolente e in fiamme”.
Per Carlos Silva Filho, presidente dell’International Solid Waste Association, l’impegno globale di 150 Paesi di ridurre del 30% le emissioni di metano entro il 2030 non potrà essere raggiunto senza affrontare il tema delle emissioni dei rifiuti. “Tagliare il metano è l’unica soluzione per raggiungere l’obiettivo globale di temperatura di 1,5°C”, ha affermato. “Concentrarsi sulla riduzione delle emissioni di metano dal settore dei rifiuti, è un punto di svolta”. Basti pensare che circa il 40% dei rifiuti mondiali finisce ancora in discariche non gestite.
A fargli eco Antoine Halff, della società Kayrros, che ha fornito l’analisi delle immagini satellitari: “I rifiuti sono una grande fonte [di metano] e in Paesi come l’India, il Pakistan e il Bangladesh non sono solo un’enorme fonte di emissioni di gas serra, ma è anche un’occasione persa per sfruttare una risorsa di carburante che potrebbe aiutare a soddisfare il fabbisogno energetico del Paese”.
Forse è proprio questo l’aspetto più sorprendente di tutta questa vicenda. Da un lato aumenta la ricerca e la domanda di combustibili fossili per soddisfare la domanda di energia a livello globale. Dall’altro, si fa poco (o niente) per ridurre l’impatto sull’ambiente: basterebbe migliorare l’efficienza energetica, ridurre i consumi di energia e l’uso smodato di carni bovine e prodotti agricoli, o almeno raccogliere e utilizzare il metano delle discariche (come si fa in Svizzera) o ridurre.
Intanto, si cerca di convincere la gente che “metano” e “gas naturale” sono combustibili “green”, metodi “sostenibili” di produrre energia. E si continua ad estrarli e ad utilizzarli.