“Cui prodest scelus, is fecit”
Seneca, Medea, atto III
Davanti a molti degli eventi straordinari e drammatici di questo secolo ci siamo posti sovente la domanda chiave che interroga ogni investigatore, nella realtà come nella finzione letteraria o cinematografica: Qui prodest?
Per rintracciare l’origine dell’espressione divenuta di uso comune, ci viene in soccorso l’Enciclopedia Treccani: “Frase latina tratta dal passo della Medea di Seneca, a. III, vv. 500-501, cui prodest scelus, is fecit «il delitto l’ha commesso colui al quale esso giova»; è appunto in questo senso che la domanda viene posta, nella sua formulazione abbreviata, quando si cerca di scoprire chi sia l’autore o il promotore di un fatto (non necessariamente delittuoso), nel presupposto che può esserlo soltanto chi se ne ripromette un vantaggio per sé.”
Nella lingua corrente possiamo tradurre l’espressione con “a chi serve? ”o“ a chi torna utile ? ” e muoverò da questi interrogativi per analizzare alcuni eventi che si stanno svolgendo sotto i nostri occhi di contemporanei, talvolta distratti o ammansiti dall’informazione ufficiale.
Tra gli effetti globali che la pandemia sta dispiegando nel mondo impaurito e impoverito, il fenomeno più allarmante è rappresentato dalla reazione popolare all’omicidio di George Floyd, quarantaseienne cittadino afroamericano, ad opera del poliziotto di Minneapolis Derek Michael Chauvin, nel corso di un intervento la cui tragica dinamica è nota.
L’episodio ha suscitato l’indignazione del mondo intero a motivo della brutalità esercitata dall’agente, ma sarebbe passato sotto silenzio, come mille altri che negli Stati Uniti si svolgono ad ogni ora del giorno e della notte, se non avesse risvegliato la mai risolta questione dello stato di minorità fattuale in cui si trovano i neri americani, relegati da anni alla fine di tutte le classifiche relative alla qualità complessiva della vita negli USA. E ciò, paradossalmente, nonostante (ma qualcuno sostiene “a causa”) i due mandati trascorsi alla Casa Bianca da Barak Obama.
Nel clima già incandescente delle elezioni presidenziali che si svolgeranno a novembre in un paese messo in ginocchio dall’emergenza sanitaria e dalla disoccupazione di milioni di individui, il caso Floyd sembra stia avendo la stessa risonanza dell’Affaire Dreyfus, l’ufficiale ebreo francese che nel 1895 fu accusato ingiustamente di tradimento, condannato e deportato all’Isola del Diavolo, nell’allora colonia della Gujana, salvo poi essere riabilitato con un processo che vide sul banco degli imputati il grande e mai sopito tema dell’antisemitismo nazionale. Quel medesimo sentimento che si sarebbe nuovamente manifestato nel 1942, durante le deportazioni degli ebrei francesi con la complicità del governo fantoccio di Vichy.
Anche allora, nonostante la differente portata della diffusione delle informazioni, il caso divise gli europei grazie anche al più famoso degli articoli di Emile Zola, il cui titolo “J’accuse” è rimasto nella storia del giornalismo mondiale, quale denuncia dell’arbitrio giudiziario e della manipolazione dell’informazione.
La storia si ripete – e non è una novità – assumendo volti nuovi ma ponendo in questo caso la medesima questione, posta in esergo a questo articolo: Qui prodest?.
L’enorme mobilitazione mondiale a cui stiamo assistendo non ha precedenti. Persino il martirio di Martin Luther King, una morte annunciata, non ebbe effetti planetari della medesima portata.
Gli Stati Uniti, scossi proprio domenica scorsa da un episodio analogo che ha visto un altro nero il ventisettenne Rayshard Brooks ucciso da un colpo sparatogli alle spalle dagli agenti della polizia di Atlanta, sono diventati una polveriera e hanno suscitato imponenti manifestazioni anche in Europa all’insegna delle ultime parole pronunciate da Floyd mentre era costretto a terra: I can’t breathe (non riesco a respirare) e ha risvegliato i demoni, mai definitivamente esorcizzati in Occidente, del razzismo, del colonialismo e della violenza del potere su ogni genere di minoranza.
Un’ondata iconoclasta si è abbattuta anche sulle statue di Winston Churchill, di Indro Montanelli e persino del fondatore dello Scautismo mondiale Robert Baden Powell, rei di essere stati campioni del colonialismo, in giovane età ed oltre. Aspettiamo di giorno in giorno di sapere quali altre statue o analoghe modalità di ricordare la memoria della loro vita, potrebbero essere prese di mira e vandalizzate e ci chiediamo in quale piazza del mondo sarà acceso il primo rogo di “opere degenerate”.
I sospetti cadono ovviamente sui movimenti di estrema sinistra in Europa o radicali negli USA ed è a questo punto che c’è da porre la domanda: siamo di fronte ad una nuova strategia della tensione? In Europa ne abbiamo esperienza: si pensi all’accusa di Hitler circa l’autore dell’incendio del Reichstag nel 1933, identificato nel comunista Marinus van der Lubbe, che giustificò la chiusura, prima fisica e poi istituzionale, del Parlamento tedesco. Come sia finita la vicenda è scritto nei libri di storia.
Della medesima strategia in Italia molti di noi siamo stati contemporanei e testimoni: da Piazza Fontana a Milano nel 1969, alle innumerevoli altre tragedie e vittime negli “anni di piombo”. Di quegli anni è stato ormai accertato che la strategia di seminare paura e sospetto tra i cittadini, avesse come scopo ultimo quello di manovrare piccoli o grandi movimenti di sinistra infiltrati da cellule deviate, per generare un’insostenibile tensione utile a sollecitare una richiesta corale di sicurezza, legge ed ordine che avrebbe favorito un possibile colpo di stato o, comunque, indirizzato a destra il consenso popolare.
Come reagiranno infatti i ceti medi americani, prostrati dalla crisi occupazionale e intimoriti dal contagio, alla richiesta di disarmare la polizia, mentre cresce esponenzialmente l’acquisto di armi personali? Cosa penseranno del proprio presidente, magari incautamente eletto, assediato dai manifestanti al n. 1600 di Pennsylvania Avenue nella casa che fu abitata da Lincoln e da Kennedy e costretto a nascondersi in un bunker come un qualsiasi Osama Bin Laden?
Crescerà o calerà, davanti alla paura del futuro, quel 67 % (2/3) degli uomini bianchi che non sono andati al college e che secondo i flussi elettorali elaborati da Edison Research per il National Election Pool, nel 2016 hanno scelto il palazzinaro di New York: 67% contro 28%, il margine più ampio nella categoria dal 1980.
Quali sentimenti stanno maturando nel cuore e nella mente della piccola e media borghesia imprenditoriale italiana, frastornata da annunci, da promesse, da stati generali guidati da improbabili colonnelli e contestati da patetici generali in quiescenza? Cosa sta pensando il pensionato della Pubblica Amministrazione semplicemente “agiato” dinanzi allo spettro di una tassa patrimoniale o di possibili vincoli ai titoli pubblici in cui ha investito la mitica “liquidazione”?
La risposta, prima che nei sondaggi di cui per primo diffido ma di cui tengo conto, è piuttosto nella Storia che ci insegna come puntualmente ai grandi traumi sociali ed economici, reali o indotti da apposite strategie, sia corrisposta l’invocazione dell’Uomo della Provvidenza e la sua convocazione al Colle più alto.
Nel vuoto creato in passato dalla scomparsa di forze politiche moderate e di uomini e donne in grado di resistere alle sirene del consenso in nome della difesa della democrazia, con l’unica eccezione dell’attuale Presidente della Repubblica, esiste nella sinistra italiana una qualche lucidità in merito a ciò che si profila all’orizzonte oppure la giusta indignazione dinanzi ai fatti americani sta trascinando tutti nella propaganda, allineando anche intellettuali e pensatori, impedendo di vedere la trappola che si sta preparando ? Oppure siamo in una situazione simile a quella raffigurata da Peter Bruegel il Vecchio nel dipinto Parabola dei ciechi?
Il più grande narratore americano di questo secolo, il compianto Philip Roth, nel libro ucronico Il Complotto contro l’America (The Plot against America, 2004) in cui si immagina l’elezione dell’antisemita eroe nazionale Charles Lindberg alla Casa Bianca, ha scritto:
“E come l’elezione di […] non avrebbe potuto chiarirmi meglio, lo svolgersi dell’imprevisto era tutto.
Preso alla rovescia, l’implacabile imprevisto era quello che noi a scuola studiavamo col nome di «storia», la storia inoffensiva dove tutto ciò che nel suo tempo è inaspettato, sulla pagina risulta inevitabile. Il terrore dell’imprevisto: ecco quello che la scienza della storia nasconde, trasformando disastro in un’epopea.”
Il dramma dei nostri giorni rischia di superare l’immaginazione profetica di Roth e di farci risvegliare in un mondo reale succubo ma identico all’incubo che avevamo sognato e in cui ossessivamente risuonava l’antica domanda: Qui prodest?