Di ritorno dalla COP26 tenutasi a Glasgow, in Scozia, il presidente degli USA non ha perso tempo per dimostrare quanto realmente tenesse all’ambiente.
I suoi uffici hanno messo all’asta concessioni per estrarre petrolio e gas su 324.000 Km2 sul Golfo del Messico.
Inutili i tentativi di oltre 250 organizzazioni ambientaliste di bloccare le concessioni organizzando azioni locali e inviando una lettera al presidente Biden e una petizione firmata da oltre 100 cittadini americani. “Non è solo in contrasto con l’impegno dell’amministrazione a ridurre le emissioni di carbonio, ma è illegale e si basa su analisi ambientali precedentemente smentite”, hanno dichiarato gli ambientalisti.
Ma non basta: a dicembre inizieranno le udienze della causa presentata ad agosto scorso da Earthjustice (causa) presso la corte federale del Distretto di Columbia contro il ministero degli interni Usa e il Bureau of Ocean Energy Management per conto di Healthy Gulf, Sierra Club, Friends of the Earth e Center for Biological Diversity. Nella motivazione gli ambientalisti sostengono che l’analisi ambientale condotta nel 2017 durante la presidenza Trump (e sulla quale si era basato Biden per aprire le concessioni) era basata su presupposti sbagliati.
Secondo Brettny Hardy, avvocato di Earthjustice: “La dicotomia tra l’appalto per un contratto di locazione e l’impegno a ridurre le emissioni di carbonio degli Stati Uniti è lampante.
L’Amministrazione sta violando la legge andando avanti con la vendita sulla base di dati errati che non rispecchiano adeguatamente l’impatto che cedere più aree all’industria per la produzione di petrolio avrebbe sul Golfo del Messico, sugli ecosistemi circostanti e sul nostro pianeta. Vendendo questi contratti di locazione, l’amministrazione Biden non risolverà i prezzi del petrolio di oggi, ma aumenterà invece le emissioni di riscaldamento climatico degli Stati Uniti domani”.
A fargli eco Cynthia Sarthou, direttrice esecutiva di Healthy Gulf, per la quale “questa vendita di licenze ci porta nella direzione sbagliata, garantendo che l’industria petrolifera possa continuare col business per decenni”.
A lanciare un grido d’allarme anche Kristen Monsell, del Center for Biological Diversity: “L’amministrazione Biden sta accendendo la miccia su una gigantesca bomba al carbonio nel Golfo del Messico. È difficile immaginare un’azione più pericolosa e ipocrita all’indomani del vertice sul clima. Questo porterà inevitabilmente a fuoriuscite di petrolio catastrofiche, inquinamento climatico più tossico e più sofferenza per le comunità e la fauna selvatica lungo la costa del Golfo. Biden ha l’autorità per fermarlo, ma invece si sta dedicando all’industria dei combustibili fossili e peggiorando l’emergenza climatica”.
Di tutte queste proteste a Biden, di ritorno da Glasgow (dove ha riempito le prime pagine dei giornali più per il suo pisolino durante i lavori di apertura e le sue flatulenze inopportune), non sembra importare nulla. Incurante anche del crollo negli indici di gradimento che, già prima della sua trasferta in Scozia avevano mostrato un minimo storico (tra il 43 e il 46%, peggio di lui solo Trump).
Nei giorni scorsi, però, un nuovo sondaggio della Quinnipiac University, ha detto che solo il 36% degli americani approverebbe il modo di gestire la cosa pubblica di Biden alla Casa Bianca. Il 53% degli americani disapprova le prestazioni “lavorative” del presidente. Secondo gli ultimi sondaggi Biden sarebbe 27 punti sott’acqua tra gli elettori indipendenti, che potrebbero essere la chiave per la vittoria nelle elezioni di medio termine del prossimo anno.
Pare proprio che il nuovo presidente degli USA stia annegando in un mare di petrolio.