“La causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché, quando il potere è in mano d’uno solo, quest’uno sa d’esser uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà”. Il Premio Nobel agrigentino, lo scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello, così esprimeva dubbi sulla democrazia. Dubbi che ci assalgono ogni giorno di più vedendo l’altro astensionismo elezione dopo elezione.
Un recente articolo scritto dal ricercatore Enzo Risso, pubblicato su Il Domani, mostra il peso dell’astensione al voto in Italia. Le ultime elezioni regionali in Lazio e Lombardia hanno evidenziato la disaffezione dei cittadini verso il diritto-dovere di voto.
“In Lazio ha votato il 37,2 cento degli aventi diritto. In provincia di Roma i partecipanti scendono al 35,17 per cento. In Lombardia ha votato il 41,68 per cento. Sotto questa soglia troviamo Sondrio (37,96), Pavia (38,5), Como (39,08), Varese (38,49) e Mantova (36,75). Se confrontiamo il livello di partecipazione di questa tornata regionale con quella del 2018, scopriamo che in Lazio hanno votato il 29,35 per cento in meno (nella scorsa tornata elettorale, in cui si votata solo un giorno, aveva votato il 66,55 per cento). In Lombardia il salto è stato maggiore con la perdita del 31,43 per cento di elettori (nel 2018 aveva votato il 73,11 per cento). Le realtà in cui il crollo di votanti è stato maggiore sono Lodi (-34,37), Monza e Brianza (-33,28), Varese (-32,55) e in Lazio la provincia di Roma (-30,29)”.
Una rilevazione Cawi su un campione di 800 italiani, nel periodo di novembre 2022, la fonte dei dati è l’Osservatorio politico dell’autore, offre numeri preoccupanti.
L’assenza di fiducia nei confronti della politica trova riscontro in questi dati: “Per il 71 per cento del corpo elettorale nessuno o pochissimi sono i politici degni di fiducia. Il 55 per cento degli italiani ritiene che tutti i partiti siano ormai tutti uguali”. E ancora: “Il 44 per cento degli italiani orientati ad astenersi lo fa perché avverte la politica come sporca. Il 40 per cento rimane a casa perché non apprezza nessuno dei leader politici in campo. Il 37 per cento non si riconosce in alcuno dei partiti politici presenti nell’arena nostrana. Il 36 per cento, per parte sua, non si reca alle urne perché è stufo e arrabbiato”. I vari segmenti sociali, che abbracciano fasce anagrafiche ben distinte, sottolineano motivazioni differenti.
Ho cercato di comprendere, dal punto di vista sociologico, le cause. Uno degli aspetti più deteriori che si riscontrano appare proprio l’incapacità di scindere il messaggio propagandistico dalla comunicazione relativa alla funzione pubblica. Così nell’era della società mediatizzata si assiste all’affermarsi di una comunicazione politica che tende a pervadere anche ambiti che non le sono propri. In tal senso si osserva il prevalere di dinamiche propagandistiche tese alla conservazione del potere, che fanno sì che il cittadino riceva spesso un’informazione politica nella sfera pubblica mediatizzata incompleta, parziale e a volte sbagliata.
La globalizzazione, l’accesso sempre più facile alle informazioni non ha costituito il presupposto per la costruzione di una comunicazione politica capace di creare relazione con i cittadini, al contrario l’avvento dei social media sta rappresentando il terreno ideale dove sfruttare la disintermediazione per gestire la comunicazione come strumento di consolidamento del potere e le persone lo hanno capito.
I sociologi Cristopher Cepernich e Edoardo Novelli sono convinti che nell’era della disintermediazione la transizione dei contenuti a carattere pubblico e quelli di interesse politico nei media ha portato al prevalere della logica dei media su quella della politica.
A questo punto, ci spiega il sociologo Michele Sorice, la democrazia diventa azienda, con conseguente danno della rappresentanza e caduta della partecipazione che lascia spazio al prevalere dell’esercizio episodico e intermittente del voto.
Un altro aspetto è il fenomeno della subpolitica in cui i due elementi contrapposti sono in fondo concatenati: forza e debolezza. Il processo d’indebolimento progressivo del sistema dei partiti politici ha favorito lo sviluppo di un’area di subpolitico dove prevale il mondo vitale del soggetto a discapito di una visione utopica verso il futuro.
Proprio da questo indebolimento si genera la forza del linguaggio populista che sfrutta la confusione delle scelte e lo sfaldamento progressivo dei legami sociali per catturare il consenso delle persone, aggregandole interno a nuovi gruppi dove ricostruire un proprio senso di comunità attraverso la partecipazione sui social. Questo meccanismo sfrutta le fake news che una volta immesse in rete diventano incontrollabili.
Così nella società digitale la costruzione di potere non è più frutto della conoscenza che crea credibilità e autorevolezza. La progressiva perdita di credibilità di istituzioni e fonti ufficiali di informazione e conoscenza (giornalismo, scuola, informazione scientifica, chiesa) mostra come vi sia una stretta connessione tra la sfiducia nei confronti dei media e la percezione che hanno i cittadini dei bias politici.
Nel linguaggio politico appannaggio dei populismi la verità assume un’importanza secondaria. I media diventano strumenti per governare il potere, e questa connotazione dello strumento ci riporta alla definizione di bias introdotti da Innis che circoscrive la specifica proprietà del medium come: influenza, tendenza, deformazione, pregiudizio.
Ciò ha contribuito alla costruzione di legami deboli, in pseudo comunità chiuse, che non costruiscono forme concrete di partecipazione. Questo viene dimostrato dalla continua e incessante diminuzione degli elettori.
Così nell’era della disintermediazione l’opinione è catalizzata attraverso le comunità social senza nessun percorso di costruzione di partecipazione culturale, si assiste al passaggio dalla politica mediatizzata alla social politica che si muove sempre più sul piano dello scontro per conquistare consenso, e quindi potere, e ad emergere è solo l’individualismo dell’uomo politico.
Come se non bastasse sono infinite le strutture d’inganno la paura dell’isolamento nel mondo liquido si fa sempre più imminente, i gruppi, le comunità si trasformano in isole, nelle quali non sentirsi soli, una comfort zone nella quale gli individui si scelgono in funzione di una visione della realtà o di convinzioni simili e gli ultimi due anni, dalla pandemia allo scoppio del conflitto russo-ucraino, ci hanno fornito le prove della crisi della credibilità politica.
Ho aperto questa riflessione con le preoccupazioni del Premio Nobel Pirandello. Voglio concludere con un altro agrigentino che ha scritto pagine straordinarie Leonardo Sciascia. La sua disamina è cruda, ma attuale: “Il popolo, la democrazia […] sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parola in culo all’altra e tutte le parole nel culo dell’umanità”. Non è opportuno aggiungere altro.