Lunedì 18 marzo, la Corea del Nord ha lanciato un numero imprecisato di missili balistici nel mare del Giappone mentre il Segretario di Stato americano Anthony Blinken si trovava a Seoul, Corea del Sud, per una conferenza sull’avanzamento della democrazia organizzata dal presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol. I test riprendono quindi dopo una pausa di circa due mesi in cui gli osservatori si sono affannati nel tentativo di decifrare il significato del discorso di Kim Jong Un del 15 gennaio all’Assemblea Suprema del Popolo (il Parlamento) in cui il leader nordcoreano dichiarava la Corea del Sud il “paese nemico numero uno.” Parole di fuoco che hanno scosso il mondo e hanno portato diversi esperti di geopolitica ad affermare che la Corea del Nord fosse in procinto di lanciare un attacco contro il Sud o contro il Giappone, altro stato considerato nemico.
Proprio in quell’occasione, Robert Carlin e Siegfried Hecker due esperti della realtà coreana dell’osservatorio 38 North in un’analisi scrissero che le relazioni tra i due paesi erano al punto più basso dal 1950 (anno di inizio della guerra di Corea) e che Kim Jong Un aveva deciso di lanciare un attacco contro il Sud anche se non erano in grado di stabilirne la tempistica. Premesso che fare delle previsioni esatte sul comportamento di Kim Jong Un è estremamente difficile, si possono però analizzare gli elementi che abbiamo e formulare delle ipotesi.
Innanzitutto, la retorica roboante di Kim non è una novità. I rapporti fra le due Coree e fra la Corea del Nord e la comunità internazionale (Russia e Cina a parte) sono sempre stati tesi, con fasi di distensione alternate a fasi di forte conflittualità. Questa politica di minacce e intimidazioni nei confronti dei nemici della Corea del Nord, prosegue da circa 70 anni, ovvero dalla fine della guerra di Corea nel 1953, quando Kim Il Sung, il nonno dell’attuale Kim, prese il potere. Il padre di Kim, Kim Jong Il, ha continuato sulla stessa strada, a volte alzando la posta, altre volte smorzando i toni, ma pur sempre in un’ottica di conflittualità con il Sud ed il suo principale alleato, gli Stati Uniti. Certamente l’attuale cornice internazionale con la guerra in Ucraina, il conflitto tra Israele e Hamas e gli attacchi degli Houti alle navi che transitano per il Mar Rosso, potrebbe essere vista da Kim come una congiuntura a lui favorevole in cui un atto bellico potrebbe avere delle conseguenze più gestibili.
Nel famoso discorso del 15 gennaio, Kim aveva anche affermato che la riunificazione pacifica della penisola coreana ormai non era più possibile. Il leader nordcoreano aveva poi aggiunto che “Noi non vogliamo la guerra ma non abbiamo intenzione di evitarla.” E sempre in quest’ottica apocalittica ha poi continuato dicendo che un conflitto avrebbe “decimato” la Corea del Sud e che il suo alleato americano, che ha circa 30,000 soldati di stanza in Corea, avrebbe subito una sconfitta “inimmaginabile.”
Facendo un passo indietro nel tempo, nel settembre del 2022 la Corea del Nord aveva sancito il diritto di effettuare un attacco preventivo per difendersi e un emendamento del 2023 ha inserito la politica della deterrenza nucleare nella Costituzione. Un ulteriore elemento di preoccupazione è stato il viaggio a gennaio del ministro degli esteri nordcoreano Choe Son Hui in Russia su invito di Mosca per colloqui con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e Vladimir Putin.
Di cosa abbiano discusso non è stato rivelato, ma molto probabilmente i temi dei colloqui toccavano la guerra in Ucraina, i rapporti con la Cina e cosa la Russia può dare alla Corea in cambio di armi e munizioni per sforzo bellico. In quest’ottica alcuni commentatori sostengono che i lanci di lunedì 18 servivano per la messa a punto dei missili da destinare al fronte ucraino prima di iniziarne la produzione. Sempre a gennaio, la Corea del Nord ha collaudato con successo un sistema di armamenti nucleari sottomarino come risposta alle esercitazioni militari congiunte tra Corea, Giappone e USA. È difficile quantificare la capacità nucleare nordcoreana, ma un rapporto dell’aprile 2023 dell’Istituto per le Scienze e la Sicurezza Internazionale di Washington DC stimava che alla fine del 2022 la Corea del Nord potesse avere un arsenale nucleare con un numero di testate compreso tra le 35 e le 91 e che possedesse la capacità di lanciarle con missili balistici a medio e lungo raggio.
Fonti diplomatiche sudcoreane e NATO con cui ho parlato concordano però che un conflitto su larga scala sia improbabile. Un’ipotesi più realistica potrebbe essere una sortita militare limitata e con armi convenzionali come è successo a gennaio quando ha la Corea del Nord ha cannoneggiato una zona vicino al confine, o come accadde nel 2010 quando vi fu uno scambio di artiglieria tra le due Coree sull’isola di Yeongpyeong, controllata dal Sud, che causò circa 20 morti e una cinquantina di feriti tra civili e militari di entrambe le parti. Tuttavia, una guerra su vasta scala che coinvolga la Corea del Sud, il Giappone ed il loro alleato americano sarebbe disastrosa per Kim e avrebbe come conseguenza l’annientamento del regime.
Bisogna tener presente che molte delle dichiarazioni bellicose di Kim hanno un duplice scopo. Da una parte, servono a rafforzare la figura del leader agli occhi della popolazione e della élite che lo circonda e dall’altra cercano di creare un clima di incertezza e di paura nella comunità internazionale per ottenere dei benefici come l’alleggerimento delle sanzioni, un aumento degli aiuti umanitari, o dei successi diplomatici che rafforzino l’immagine di Kim, come quello del giugno 2018 a Singapore dove ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping, l’allora presidente sudcoreano Moon Jae-in e l’americano Donald Trump.
Inoltre, alcuni esperti sudcoreani invece pensano che se Kim si stesse preparando per una guerra, ammasserebbe truppe al confine e farebbe scorta di armi e munizioni invece di venderle alla Russia. Infine, l’esercito nordcoreano non ha un arsenale di armamenti convenzionali, riserve strategiche di carburante e scorte alimentari sufficienti per sostenere una guerra.