Ho condotto, durante i primi mesi del loockdown, una survey, contenuta all’interno del mio libro: “Figli delle App”, per comprendere lo stato d’animo dei preadolescenti e degli adolescenti ed è emersa la loro sofferenza e la loro solitudine. Le categorie sociali più fragili, in questi ultimi due anni, sono state proprio i giovani e gli anziani.
Nei giorni scorsi sono stato relatore ad Agrigento di un convegno intitolato “L’Infanzia e la Grande Età: più fragili dopo la pandemia e la guerra” organizzato dall’UNIMRI (Unione Nazionale Insigniti al Merito della Repubblica Italiana), dall’ANAP (Associazione Nazionale Anziani e Pensionati) e dal Consolato di Agrigento dei Maestri del Lavoro. L’incontro moderato dal giornalista Davide Sardo, dopo gli indirizzi di saluto di Gianonofrio Pagliarulo, Presidente di Confartigianato Agrigento, di Franco Messina, Presidente Regionale UNIMRI e Presidente Provinciale Agrigento di ANAP e di Giuseppe Migliore, Console Provinciale di Agrigento dei Maestri del Lavoro, ha visto l’alternarsi di esperti al tavolo dei relatori Siamo intervenuti sul delicato tema, di stringente attualità, con Luana di Gioia, Psicologa e Psicoterapeuta e Rosa Maria Gaglio Neurologa.
Ho provato, nel corso della mia relazione, a mettere alcuni punti fermi. Non abbiamo ancora smesso di aver paura di un virus di cui non conoscevamo l’esistenza e già sentiamo il peso di un’altra paura. Un terrore che sentiamo a volte vicinissimo e a volte lontanissimo. I Media trasmettono una escalation di informazioni su questa guerra tra Russia e Ucraina che continua a tenere il mondo col fiato sospeso. Un momento che genera i timori di un mondo, estremamente provato, che crede di non farcela. Sembra ci sia quasi una strategia di continuità nel farci capire che la nostra vita è fatta di tensioni continue e ansie insistenti. Non dimentichiamoci che la pandemia ha contribuito ad aumentare nei nostri giovani lo stress e lo stress facilita la comparsa di una serie di disturbi, principalmente disturbi d’ansia, disturbi del sonno e depressione. Inoltre, sono aumentati i casi di autolesionismo e di suicidio con un dato che si attesta al 30 per cento. Gli adolescenti hanno iniziato a vivere le loro vite rinchiusi nelle loro camerette e la mia ultima ricerca dimostra come abbiano trascorso 5/6 ore online. Vivere continuamente online ha cambiato le abitudini dei ragazzi che faticano a staccarsi dai loro cellulari.
In questi ultimi giorni abbiamo letto una storia che deve farci riflettere tantissimo. Si tratta della storia di una mamma che ha vissuto e sta vivendo momenti difficili. L’episodio risale a qualche tempo fa e solo da qualche giorno è diventato un vero e proprio caso. A quanto pare la donna stanca di vedere la figlia perennemente attaccata al tablet e allo smartphone decide di toglierglieli. Subito dopo è avvenuta una colluttazione e la figlia finisce al pronto soccorso. Non perde tempo e denuncia la madre. Il padre viene a conoscenza dell’episodio e fa un’altra denuncia per “abuso di metodi correttivi e lesioni”. La donna finisce viene processata e risarcisce la figlia del danno su consiglio dei suoi avvocati.
Purtroppo, nonostante questo viene condannata a svolgere 180 ore di lavori socialmente utili in un Comune della Brianza lecchese. Così ha deciso il giudice Paolo Salvatore del Tribunale di Lecco: la donna ha infatti scelto di avvalersi della messa alla prova, cioè della possibilità di estinguere il processo a proprio carico svolgendo lavori di pubblica utilità. Emerge come i figli molto spesso siano al centro della guerra tra genitori e come le nuove tecnologie diventino motivo per litigare. Purtroppo, quando i genitori non riescono a fermare con i dovuti modi i figli, da un uso forsennato delle tecnologie, tutto degenera e finisce nel peggiore dei modi. Una delle caratteristiche principali che emergono dalla mia ultima ricerca, relativa alle dinamiche comunicative social, è l’individualismo, la concentrazione su di sé. Il voler offrire una certa immagine di sé agli altri attraverso i social network, giungendo a limiti estremi. L’elemento principale da non sottovalutare è quel sentiero della solitudine che abbiamo iniziato a percorrere. Sempre connessi col mondo, ma sempre più isolati e chiusi in noi stessi. I nostri giovani provati da questo isolamento si sono ritrovati ad osservare, principalmente sui loro social del cuore, le immagini del conflitto russo-ucraino.
Ho avuto modo di parlare con loro, in diversi incontri organizzati dalle scuole, e ho percepito la loro forte preoccupazione. Questa idea di una guerra nucleare imminente, e il pensiero che ognuno di noi possa essere in qualche modo coinvolto, ha allarmato particolarmente preadolescenti e adolescenti. Ho partecipato a tanti incontri nelle scuole in presenza oppure online e ho avuto la sensazione di una forma di smarrimento molto forte. In questo momento, ci sono tanti bimbi che chiedono se da grandi saranno costretti ad arruolarsi o a partire per andare a difendere i confini italiani. Domande che ci sembrano lontane anni luce da quell’idea di pace che avevamo, perché nessuno di noi è nato e cresciuto con l’idea della guerra. A preoccupare non sono solo i preadolescenti e gli adolescenti, ma anche gli anziani. Io ho particolarmente a cuore gli anziani, perché il loro ruolo ha ha sempre rivestito notevole importanza nella mia vita. Io ho perso mio padre all’età di tredici anni e, essendo rimasto orfano giovanissimo, ho vissuto quasi tutta la mia vita con mia nonna, che era la mia seconda mamma, e mio nonno, che era il mio secondo padre, entrambi mi hanno donato valori fondamentali. I miei nonni mi hanno educato e mi hanno permesso di comprendere le insidie della vita e le opportunità che la stessa ci offre. Proprio per questo motivo avvertire il loro smarrimento mi ha colpito profondamente.
Durante la pandemia tanti gli anziani rimasti soli nelle case di riposo, senza che nessuno potesse avvicinarsi a loro. Quando sono arrivati i primi vaccini la prima categoria ad essere vaccinata è stata quella degli anziani. Ricordo un episodio terribile che ha visto come protagonista Basilio Pompei è un uomo di 103 anni che ha ricevuto il vaccino in una Rsa di Dicomano, paese che si trova tra il Mugello e Valdisieve, e da tutti è conosciuto come “Nonno Basilio”. La notizia della sua avvenuta vaccinazione è stata pubblicata sui social, ma nessuno si aspettava che diventasse oggetto degli attacchi degli odiatori seriali. Gli haters hanno iniziato ad insultarlo con frasi del tipo: “Potevi cederlo, per te è inutile” ;“facciamo morire i quarantenni e vacciniamo i centenari”; “almeno potevano aspettare che fosse positivo”. I leoni da tastiera, come riporta La Nazione, hanno avuto il coraggio di sostenere che quella dose doveva essere destinata a qualcun altro, magari più giovane, perché non ha alcun senso vaccinare un uomo di 103 anni. A quanto pare, negli ultimi due anni, le forme di odio si sono moltiplicate a dismisura, colpendo le categorie più deboli e tra tutte quella degli anziani. Dopo due anni terribili sono costretti a rivivere il dramma della guerra. L’anziano rappresenta la memoria e il ricordo. Oggi, da sociologo della comunicazione, mi rendo conto che la memoria è solo esclusivamente la galleria dei nostri smartphone o le cartelle dei nostri Pc. Prima la memoria non era fatta da video o da selfie, ma c’erano le narrazioni dei nostri nonni. In questi giorni, tanti sono i racconti dei nonni che hanno vissuto la guerra e con le loro parole ci aiutano a capire cosa siano state la fame, la paura e l’ansia di quegli anni. Qualche tempo fa un anziano, dopo aver sentito e visto quanto sta accadendo in Ucraina, mi ha detto: “Io voglio morire perché non avrei mai pensato che le persone che comandano nel 2022 potessero decidere di fare una terza guerra mondiale”. Questo ci fa capire la gravità della situazione e quanto sia importante ritrovare la pace e la serenità in tutto il mondo. La mia generazione ancora vede negli anziani dei punti di riferimento molto forti. Uomini e donne che con la loro esperienza, e i loro immensi sacrifici, hanno portato grandi cambiamenti sociali.
Il Covid 19 ha spezzato molte vite, ha spento tanti sorrisi, ha cambiato ogni nostra abitudine e abbiamo capito quanto può essere incerto il nostro destino. In qualche modo ci chiediamo, attimo dopo attimo, che cosa stiamo facendo per gli anziani che ci hanno dato tanto e ci hanno condotto per mano verso un’esistenza fatta di comfort e di benessere. Oggi, non siamo capaci di accontentarci e difficilmente siamo disposti a sacrificarci. Temiamo di togliere tempo alle nostre necessità irrinunciabili, come dice una mia collega psicologa, siamo tutti affetti da questa vita tapis roulant “corriamo, corriamo e non sappiamo dove andiamo, perché siamo fermi all’interno di una vita in cui abbiamo bisogno di capitalizzare tutto il nostro tempo”. Le persone anziane con la loro semplicità e con la loro gioia sono riuscite a mettersi sempre in discussione e ancora oggi lo fanno per essere utili alla società. Rispettare gli anziani dovrebbe rientrare a far parte dei nostri valori e dovremmo ricordarcelo soprattutto in una società cattolica cristiana come la nostra, dove il rispetto dei deboli dovrebbe essere intrinseco e purtroppo non lo è ancora. Le mascherine hanno coperto, e ancora coprono in alcuni casi, i nostri volti e i giovani nei tanti incontri che ho fatto nelle scuole hanno manifestato il desiderio di rivedere i sorrisi.
Io aggiungo che sarebbe bello vedere il sorriso di una persona anziana o “della grande età” come ci suggeriscono gli esperti e dei bambini che rappresentano il futuro dell’umanità.