“A ricordare e rivedere le stelle”. Così è stata intitolata la XXVI edizione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle 1032 vittime innocenti delle mafie promossa da Libera che si tiene da ieri, con piccole manifestazioni, in ogni città d’Italia. A Palermo ha avuto luogo nella cornice del Teatro Massimo.
Un omaggio doveroso e dal forte intento educativo per le giovani generazioni che tuttavia ha senso compiuto solo se ad esso corrispondono provvedimenti concreti per la crescita dei cittadini, per la vicinanza delle Istituzioni ai medesimi e per la gestione dello spazio in cui le persone vivono il presente, ricordano il passato e progettano il futuro.
L’occasione è propizia per ricordare gesti espliciti che nella città che fra tutte porta su di sé lo stigma più grande ha segnato la svolta progettuale visibile di una cultura del riscatto dello spazio urbano, del territorio e della memoria, piantandovi semi di futuro anche se, proprio in quanto tali, non tutti e non sempre sono destinati a dare frutto. Oltre che di persone la mafia ha fatto strage anche di luoghi, di radici, di memorie per sostituirle con la subcultura dello spreco, dell’inutile, del brutto. Se avesse dignità di esistere, “l’estetica” mafiosa sarebbe anche tutto questo.
Il Piano Regolatore di Palermo è stato a lungo un’icona infamante poiché dal 1962 al 1997 è stato la proiezione dell’assetto voluto dall’Amministrazione Ciancimino, procedendo attraverso varianti parziali dell’assetto urbano spesso guidate da intenti speculativi e da interessi poco trasparenti. Per oltre trent’anni il “sacco di Palermo” ha dato spunto ad un’infinità di produzioni giornalistiche, letteraria e cinematografiche, ispirando da Francesco Rosi a Peppuccio Tornatore l’espressione “le mani sulla città”.
Storie non tanto romanzate di ville liberty spianate nel volgere di una notte, di assessori all’Urbanistica ciechi che decidevano tastando plastici appositamente realizzati per le proprie esigenze, di uno sviluppo caotico di superfetazioni nel centro storico, di sterminate periferie prive di servizi, di collegamenti e soprattutto di ogni presenza dello Stato, presto vicariata da poteri illegali e criminali. “Non luoghi” in cui ancora oggi non solo le leggi ma anche i diritti più elementari e persino il linguaggio parlato sembrano distare centinaia di chilometri dal salotto della città, dalle scintillanti vetrine di via Libertà, dagli austeri palazzi del potere dove si proclamano spesso parole vuote e, ancora sino a ieri, la retorica dell’antimafia di facciata.
Nel 1997 avvenne la svolta. Con la consulenza dell’architetto e urbanista bolognese Pierluigi Cervellati, l’Amministrazione guidata da Leoluca Orlando, in quattro anni di intensissimo ed appassionante lavoro, propose al Consiglio l’adozione del nuovo Piano Regolatore, ponendo fine ad una vergogna durata tre decenni. Nel maggio di quell’anno Palermo cancellava una delle pagine più tristi del proprio passato e investiva sul futuro progettando una città euro mediterranea, pronta a confrontarsi con il mondo, presagendo, in anni non sospetti, i drammatici sviluppi del fenomeno migratorio, divenuto oggi strutturale e chiave di volta dei nuovi assetti geo- politici.
Si trattò di un’avventura straordinaria che caratterizzo l’intera sindacatura, la prima della storia espressa mediante l’elezione diretta del Primo Cittadino. Fu un’irripetibile palestra per gli allora giovanissimi tecnici del Comune che sotto una guida tecnica importante ed un’illuminata visione politica ebbero modo di crescere professionalmente ed umanamente. La fucina di tale piano di vera e propria rifondazione urbana di Palermo fu l’ormai dimenticato “Pallone” di Via del Fante, una tensostruttura in cui ebbe sede l’Ufficio del Piano, ospitando anche una vasta e trasparente partecipazione di cittadini, di associazioni professionali e di categoria e di ogni altra manifestazione di legittimi interessi circa lo sviluppo futuro della Città.
Assi portanti del piano erano la tutela assoluta del Centro Storico, normato da uno specifico piano particolareggiato e vincolato al recupero filologico del netto storico antecedente al 1939, la scelta di ri-orientare verso la costa e il mare una città che sembrava aver dimenticato di essere da sempre “tutto porto”, l’articolazione in otto municipalità immaginate come veri luoghi di decentramento dei servizi e di risposta al forte bisogno di diritti e di legalità espressi dalle periferie, l’irriducibile volontà di ridurre al minimo il consumo di suolo, puntando piuttosto sulla valorizzazione degli edifici esistenti e sulla loro eventuale riconversione a nuovi usi pubblici atti a snellire la concentrazione degli uffici comunali.
Quale parziale risarcimento ambientale il Piano prevedeva anche l’abbattimento delle ville di Pizzo Sella, molte delle quali edificate su licenze edilizie opache, pur se formalmente regolari, risalenti ad antichi patti tra la mafia e l’ambigua finanza speculativa del tempo di Raul Gardini. Pizzo Sella è una delle tante periferie di Palermo, identificata dal piano regolatore cittadino come una zona boschiva protetta a rischio geologico. Recentemente Legambiente l’ha fatta rientrare infatti nella top five italiana dell’abusivismo: da qui il famoso soprannome di “la collina del disonore”.
È nel 1978, infatti, che il Comune di Palermo rilascia le concessioni edilizie per la costruzione di centosettanta immobili alla Sicilcalce Spa. Ville che vengono costruite fuori da ogni norma di legge e in maniera del tutto illegale.
Titolare della società è Rosa Greco, sorella del boss mafioso Michele Greco. Un elemento importante, dato che il primo rapporto dell’Arma dei Carabinieri del 1984 descrive un quadro allarmante non solo dal punto di vista dell’abusivismo edilizio: i reati configurati e poi confermati dalle condanne vanno dall’abuso d’ufficio alla corruzione, coinvolgendo l’allora assessore all’Urbanistica Salvatore Mantione, Andrea Notaro -marito di Rosa Geco- il progettista Cancila e due funzionari del Comune di Palermo, Francesco Feo e Antonino Rizzuto.
Contestualmente si apre un secondo processo ai danni del gruppo Ferruzzi che nel 1983 ha rilevato le ville aggiudicandosi i lavori. Lorenzo Panvolta, manager del gruppo Ferruzzi – allora guidato da Raul Gardini che si suiciderà nel 1993 nel corso dell’indagini Mani Pulite – viene condannato a dieci mesi di reclusione.
Quelle costruzioni fantasma sono ancora lì. Un’intricata giungla burocratica e il sovrapporsi delle azioni legali da parte dei proprietari ricorrenti ne impediscono ancora oggi la demolizione, lasciando l’area come sfregio a perenne ricordo di un tragico passato. Un’escrescenza edilizia dell’economia e della sub cultura mafiosa che deturpa il volto della Conca d’Oro.
Già con il Piano del 1997 in città risorsero palazzi diruti, oggi sede di Uffici Comunali: Palazzo Palagonia, Palazzo Natale, Palazzo Magnisi, Palazzo Tarallo, Palazzo Galletti; si ricucì la cortina del rione San Pietro che per decenni aveva esposto ai palermitani ed ai turisti le macerie dei bombardamenti. Il Cassaro, ancorchè non ancora pedonalizzato, tornò però ad essere un’arteria pulsante della Città: lo riscoprirono gli anziani, se ne innamorarono i giovani dando vita ad un’inedita movida, lasciò stupiti i turisti di tutto il mondo. Il riscatto sembrava avviato e il Nuovo Piano Regolatore fu inviato all’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente per l’approvazione definitiva, come previsto dalla legge. E lì si insabbiò per vedere la luce nel 2002 profondamente stravolto e privato dallo spirito ideale che ne aveva animato la genesi.
La storia della Sicilia era cambiata, il vento del ‘92 aveva smesso di soffiare, i lenzuoli riposti, la speranza svanita: prima, l’elezione diretta di Salvatore Cuffaro a Presidente della Regione e la conseguente sconfitta di Leoluca Orlando, poi nel 2001 il “61 a 0” cioè il pienone di deputati e senatori di Forza Italia in tutti i collegi della Sicilia alle elezioni politiche.
Per la Regione Siciliana il PRG di Palermo era ormai orfano, anzi di più, era figlio di sconfitti ed i pochi che negli ambienti regionali tentarono di preservarne l’impostazione subirono umiliazioni ed epurazioni. Una condizione che potrebbe ripetersi anche in un futuro abbastanza prossimo.
Durante il decennio di Diego Cammarata, si riprese l’antica abitudine delle varianti parziali, deliberate ad hoc dal Consiglio Comunale e, a poco a poco, come un mandala spazzato dal vento, la visione del Piano si disperse e vi si sovrapposero Piani Strategici ampiamente finanziati dall’Unione Europea, mai approdati in Consiglio Comunale, infiniti contenziosi tra Comune e Ente Porto (oggi Autorità portuale) e sporadiche azioni sulla costa est, di fatto rimasta nel degrado più assoluto insieme ai quartieri che la fronteggiano, tra cui Brancaccio. Per non parlare di interventi sulla mobilità rimasti in un limbo cui oggi va fatta risalire l’attuale caotica situazione del traffico privato.
Nel 2012 con il ritorno – inaspettato – di Leoluca Orlando alla guida della Città, il Piano Regolatore è tornato in primo piano con il duplice scopo di riprendere i temi qualificanti del piano del ‘97, due strade maestre “la green way e la blue way” come li definì nel 2015 il Sindaco durante l’intervento di presentazione dello Schema di Massima al Consiglio e soprattutto di tener conto delle profonde trasformazioni che la città sta attraversando in merito alla composizione sociale, alle nuove esigenze di mobilità sostenibile, alla crescente pedonalizzazione del centro storico, al riconoscimento UNESCO del patrimonio arabo normanno, all’ avvio delle prime linee di tram, forse snobbate da chi vive in centro ma che stanno cambiando la vita agli abitanti delle periferie, alla rinascita della Costa Sud ancora non autorizzata alla balneazione nel segno di una leale concorrenza con la spiaggia di Mondello.
Non solo quindi un semplice “dove eravamo rimasti”, ma una rivisitazione delle intuizioni potenti del 1997 alla luce delle nuove sfide che Palermo, “destinata a diventare il centro storico dell’intera area metropolitana” dovrà affrontare.
Nella presente consiliatura 2017-2022, in sostanziale continuità – nel bene e nel male -con la precedente e che ora si avvia verso la conclusione, il Piano si sintetizza nel termine “Rigenerazione”, incorporando un tentativo di resilienza rispetto a mali antichi, nuovi e recenti che affliggono la Città. Stavolta il Piano è blasonato da null’altro che dalle professionalità interne che con sacrificio e dedizione hanno ricucito ciò che era stato strappato, hanno ricordato ciò che era stato dimenticato, hanno messo in sicurezza ciò che, a motivo della scadenza dei vincoli, rischiava di riportare la città ad un passato che tutti vogliamo ricordare, ma solo per non ripeterne gli errori.
La nuova proposta di atto regolatorio del tessuto urbano ha ricevuto nel febbraio scorso, dopo ben quattordici mesi di analisi, il parere favorevole da parte del Genio Civile che ha ritenuto che le modifiche e le integrazioni da apportare si configurano solo come ‘semplice correzione delle carte di zonizzazione ed omogeneizzazione degli elaborati’ e per questa ragione ha dato mandato direttamente all’amministrazione comunale di procedere alla modifica degli elaborati medesimi”. Forse si poteva fare un po’ prima.
Verranno ora la pubblicazione all’Albo Pretorio, le osservazioni da parte dei cittadini, la valutazione di ammissibilità de parte degli uffici e, infine, l’adozione definiva da parte del Consiglio che lo invierà all’ Assessorato Territorio e Ambiente della Regione Siciliana, unico soggetto titolato in forza dell’Autonomia ad emettere il decreto finale che si auspica riservi all’ Atto una diversa attenzione rispetto al precedente.
I passaggi previsti, la revisione in corso della legge urbanistica regionale e i tempi connessi a tutto ciò preludono però ad un pericoloso slittamento dell’esecutività del Piano anche a motivo della fragilità della maggioranza che sostiene il sindaco e gli evidenti motivi elettorali della campagna che già ora si può considerare aperta e che da sempre trova nell’area delle cose costruite o da costruire un pascolo molto fertile per portatori di piccoli e di grandi interessi, auspicabilmente tutti legittimi.
Una ragione in più per interrogarsi sul nuovo Sindaco della Città e per considerare cosa potrebbe accadere se a prevalere fossero forze politiche della conservazione o caratterizzate da una visione tradizionale, e talvolta ostile, al destino multiculturale di Palermo che da secoli si rispecchia nelle sue antiche e contemporanee realizzazioni artistiche ed urbanistiche.
Il Piano 2025 non è un immaginifico libro di sogni irrealizzabili, ma un solido argine costituito da visioni forti, da valori irrinunciabili e da risorse economiche certe dal quale lanciare il ponte che rappresenterà Palermo, non più solo euro-mediterranea ma aperta ai tutti coloro che vi nasceranno o vi giungeranno, come un porto ospitale ed accogliente, com’è nel suo nome, com’è nella sua essenza. Il documento presentato al Genio Civile può essere consultato sul sito ufficiale del Comune di Palermo alla voce “trasparenza”.
Nel decennio della propria vita il nuovo PRG, volutamente interlocutorio e di transizione, dovrà porre le premesse per aprire una nuova fase in cui la storia sappia dialogare con la modernità, in cui la tradizione non sia antagonista dell’innovazione e dove radici forti e profonde sapranno alimentare, come il ficus di Piazza Marina, fronde infinite sotto le quali tutti, ma proprio tutti, potranno trovare dignità, speranza, futuro. Il resto verrà da solo e sarà solo responsabilità dei cittadini di Palermo e della loro capacità di discernere tra il progetto e la protesta, tra la rabbia e la ragionevolezza, tra la paura e il coraggio di determinare consapevolmente il proprio destino.
Nell’anno 15 d.C. così scrisse Marco Vitruvio in esergo al Primo Libro del De Architettura: “Nella scienza dell’architetto confluiscono più discipline e varie cognizioni… nasce dalla pratica e dalla teoria… Gli architetti che si sono sforzati di conseguire l’abilità pratica senza possedere un’educazione teorica, non sono riusciti ad ottenere un riconoscimento all’altezza delle loro fatiche; quelli che, invece, si sono affidati alla sola teoria e ai libri mi sembra che abbiano realizzato non la cosa ma la sua ombra… … E così come sarà versato nelle lettere, esperto nel disegno, erudito nella geometria, allo stesso modo conoscerà la storia, ascolterà attentamente i filosofi, saprà di musica, non ignorerà la medicina, avrà nozioni di giurisprudenza, conoscerà l’astrologia e leggi del cielo. …Poiché questo studio è così vasto, abbellito e arricchito da molteplici e diversi insegnamenti, penso che non possano a pieno diritto professarsi architetti se non quelli che hanno raggiunto la sommità del tempio dell’architettura salendo, fin da giovani, i gradini costituiti da queste discipline, nutrendosi dalla conoscenza di molte scienze e arti… …tutte le discipline sono collegate e comunicano fra loro; il sapere, infatti, si compone di molte conoscenze, come un unico corpo delle sue parti.”
Una missione tripartita, non solo tecnica ma profondamente etica, che prescrive l’ordinazione, la disposizione e la distribuzione di spazi e di volumi edificati però su radici, sentimenti e speranze di chi vive un’epoca ben precisa con il relativo carico di sofferenza e di rimorsi, un travaglio dello spirito e del corpo da cui trasuda la spinta vitale verso la costruzione del futuro. E non a caso nel massimo monumento di Palermo che ne riassume la storia, proprio nella medievale Torre Sud, sotto l’orologio secentesco voluto da Vincenzo Gagini, campeggia un monito che è anche l’urgenza di un nuovo destino: Operibus credite!
Allora, e solo allora, il commosso ricordo delle vittime della mafia potrà diventare anche il giusto risarcimento al loro sacrificio.