Da un paio d’anni, da quando la Russia avrebbe invaso l’Ucraina, si parla di un possibile ingresso di questo paese nella NATO. Ma l’idea di aggiungere l’Ucraina tra i paesi del Patto Atlantico risale a molti decenni fa.
Dal 1949 ad oggi, i paesi membri della NATO sono quasi triplicati, da 12 sono 32. Sono stati dieci i “cicli di allargamento”. L’ultimo paese ad aderire è stato la Svezia (il 7 marzo 2024). Anche la Finlandia ha presentato richiesta di adesione. Un allargamento verso est che confermerebbe il ripensamento degli accordi che, negli anni ‘80, avevano portato alla fine della Guerra Fredda (e anche di quelli che misero fine alla seconda Guerra Fredda, iniziata negli anni ‘80 e che avrebbe segnato la fine del cosiddetto Rilassamento). In realtà, le procedure per entrare a far parte della NATO sono piuttosto complesse. I paesi che vogliono aderire all’Alleanza Atlantica devono presentare formale richiesta. Fatto ciò, viene avviato un “dialogo intensificato” con la NATO per valutare le loro aspirazioni e le riforme necessarie per consentire l’accesso al Patto Atlantico. Se tutto questo processo ha esito positivo, i paesi candidati vengono invitati a partecipare al MAP, il Piano d’azione per l’adesione. Si tratta di un programma di consulenza, assistenza e supporto basato sulle esigenze individuali dei singoli paesi che desiderano aderire. I paesi incoming devono dimostrare di essere in grado di promuovere i principi del Trattato di Washington del 1949 e di poter contribuire alla sicurezza dell’area euro-atlantica (ad esempio fornendo anche un supporto militare, che non deve derivare dalle armi regalate da altri paesi). Inoltre, devono soddisfare determinati criteri politici, economici e militari (come quelli esposti in uno studio del 1995 sull’allargamento della NATO). Ma non basta. La partecipazione al MAP non significa che la richiesta di adesione verrà automaticamente accolta. Per diversi motivi. Il principale è che il passaggio finale per l’adesione di un paese prevede il consenso unanime di tutti i paesi già membri (questo è uno dei motivi per cui la procedura di ingresso nella NATO della Turchia, pur avendo avviato da anni il MAP, è ancora ferma).
Tornando all’Ucraina, le procedure dell’Ucraina per aderire alla NATO sono iniziate diversi decenni fa. Nel 1994, l’Ucraina ha anche aderito al Partenariato per la Pace della NATO. Nel 2002, le procedure di adesione di questo paese alla NATO hanno subito un’accelerazione. Ciò nonostante sono stati necessari ben tre anni per l’ammissione nel programma di dialogo intensificato. Nel 2010, si è verificato un imprevisto: il Parlamento ucraino ha votato a favore dell’abbandono del progetto di adesione alla NATO e ha riaffermato il desiderio di conservare lo status neutrale dell’Ucraina (pur continuando la cooperazione con la NATO). Anche dopo la rivoluzione ucraina del febbraio 2014, durante la quale venne rimosso il premier Yanukovich, gli ucraini rimasero dell’idea che era meglio rimanere un paese neutrale. Ad agosto dello stesso anno, però, ci fu un nuovo cambio di programma: dopo l’occupazione (e successiva annessione) della Crimea da parte della Russia, a dicembre del 2014, il parlamento ucraino votò di nuovo la “questione NATO”, fu necessario aspettare il 2018 perché venisse approvata una nuova decisione di aderire alla NATO. Intanto, al vertice di Bruxelles del giugno 2021, i membri della NATO parlarono di nuovo della questione “Ucraina” (ancora una volta da sottolineare che tutto questo è avvenuto prima del febbraio 2022 data di inizio dell’attacco russo). Lo fecero partendo dalla possibile adesione dell’Ucraina al Patto Atlantico avanzata al vertice di Bucarest nel 2008. Lo stesso anno, il ministero degli Esteri russo chiese che la domanda di adesione dell’Ucraina venisse rigettata. In quell’occasione, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, dichiarò che si trattava di una decisione che spettava all’Ucraina e ai paesi membri della NATO e non alla Russia: “La Russia non ha il diritto di stabilire una sfera di influenza per cercare di controllare i propri vicini”. Lo fece senza tenere conto degli accordi stipulati al termine della Guerra Fredda.
Nel 2009, si tornò a discutere della questione del Partenariato orientale dell’Unione europea. Obiettivo di questo accordo era il consolidamento dei rapporti diplomatici e commerciali con i sei paesi dell’ex Unione Sovietica (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina). Un accordo che, però, non venne firmato da Viktor Yanukovyč, presidente ucraino filorusso. C’è chi dice che la decisione di rimandare l’ingresso dell’Ucraina in questo partenariato era un mero tentativo di ottenere maggiori aiuti economici dai governi europei. Il punto è che, nonostante le immense risorse primarie, l’Ucraina era – ed è – in condizioni economiche preoccupanti: più volte è stato sull’orlo del default. Alla richiesta del governo ucraino di ricevere più aiuti per aderire al patto [chi pensava che questa prassi sia iniziata con il nuovo presidente si sbaglia di grosso], il governo tedesco rispose che l’Ucraina cercava di “mischiare le carte in tavola per non ammettere di essere il responsabile della situazione” in cui versava il paese. Al Summit di Vilnius, la cancelliera tedesca Angela Merkel mostrò disponibilità al dialogo ma il suo governo spinse per un cambio al vertice del governo ucraino, favorendo l’elezione di un nuovo capo di Stato, filo-europeo e con una chiara agenda europea. Il punto è che l’Ucraina, sebbene povera e indebitata, costituisce non solo un enorme bacino demografico da cui attingere la della forza lavoro di cui ha enorme bisogno la Russia, ma anche un attore primario per controllare i flussi migratori della regione eurasiatica. A questo si aggiungono le enormi risorse di cui dispone il paese. Ricchezze naturali che fanno gola a molti. Ma non basta. L’Ucraina è importantissima anche dal punto di vista strategico: non solo per la posizione a ridosso della Russia ma anche perché è attraversata da gasdotti che portano combustibile dalla Russia in Europa. Per contro, come dimostrato in occasione dell’ultimo referendum per l’adesione della Crime alla Russia, vi è una forte condivisione di valori culturali e religiosi con Mosca. Ma le scelte di Putin sull’Ucraina non derivano solo dall’adesione della Crimea alla Russia. Sono l’espressione di una situazione di instabilità che va avanti da decenni. Una situazione che vede l’Ucraina al centro degli interessi dei paesi europei e della NATO ma anche della Russia e dei paesi alleati (a cominciare dalla Bielorussia). Interessi geopolitici che comprendono la voglia (o la necessità) di creare una striscia di territorio “cuscinetto” tra Russia, Unione europea e Cina. È per questo che, da un lato, la Russia non vuole consentire all’Ucraina di finire sotto il controllo dei paesi NATO e dell’UE e, dall’altro, l’Unione europea (e gli USA) non vogliono lasciare che l’Ucraina si avvicini troppo alla Russia, sia economicamente che politicamente. Anche la Polonia preme affinché si compiano primi passi per un’adesione completa dell’Ucraina al club dei 28, in modo da non essere l’ultimo avamposto verso Est.
Quanto alla NATO, il Piano d’Azione per l’adesione dell’Ucraina risale al 2002. E se in vent’anni non è diventato realtà, le cause non sono da cercare solo nei ripetuti cambi al vertice del governo ucraino. Derivano soprattutto dalla impossibilità (o incapacità) dell’Ucraina di realizzare i cambiamenti per rendere esecutivo il MAP. A cominciare dalle questioni di politica interna che dovrebbero essere “basate sul rafforzamento della democrazia e dello Stato di diritto, sul rispetto dei diritti umani [ad esempio, l’Ucraina è l’unico paese europeo che ancora consente la maternità surrogata a pagamento, n.d.r.], sul principio della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura, su elezioni democratiche in conformità con le norme dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, OSCE [il mandato dell’attuale presidente è scaduto da molti mesi, ma finora si è rifiutato di indire nuove elezioni, n.d.r.], sul pluralismo politico, sulla libertà di parola e di stampa”. Secondo i dati riportati sul sito ufficiale della NATO, “In considerazione dell’orientamento della politica estera dell’Ucraina verso l’integrazione europea ed euro-atlantica, compreso l’obiettivo dichiarato a lungo termine dell’adesione alla NATO, l’Ucraina continuerà a sviluppare una legislazione basata sui principi universali della democrazia e del diritto internazionale”. O almeno avrebbe dovuto farlo.
Per la NATO, “importante nella riforma del sistema giuridico è la partecipazione alle convenzioni del Consiglio d’Europa, che stabiliscono standard comuni per i paesi europei”. Tra gli obiettivi “combattere la corruzione, il riciclaggio di denaro e le attività economiche illecite attraverso misure economiche, giuridiche…”. Ma negli ultimi vent’anni, l’Ucraina non lo ha fatto, come si evince da una nota inviata al governo ucraino poche settimane prima dell’ “invasione” della Crimea da parte della Russia. Tra gli obiettivi da raggiungere per consentire l’ingresso dell’Ucraina nella NATO anche “rispettare pienamente gli obblighi internazionali in materia di controllo degli armamenti” e “la piena attuazione di tutte le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Tutto questo, come abbiamo visto, non è una novità. E ha poco a che fare con gli scontri tra Russia e Ucraina del 2022 (in realtà, sono solo gli ultimi di una lunga serie).
“L’Ucraina continuerà a lottare per una crescita economica sostenibile e un aumento sostanziale del tenore di vita generale”, si legge nel sito della NATO. La verità è che alla fine del 2020, il livello di povertà in Ucraina era già altissimo, oltre il 50%. A denunciare questa situazione (ben prima che iniziassero gli scontri, a febbraio 2022) il consiglio di conciliazione sociale. Per la vicepresidente della Verkhovna Rada, Elena Kondratyuk, che faceva riferimento a una ricerca di organizzazioni internazionali, riportata dal quotidiano Korrespondent. “Secondo le ricerche di molte organizzazioni internazionali, il livello di povertà in Ucraina è salito al 50%, ci sono circa 19 milioni di ucraini al di sotto della soglia di povertà. Pertanto, la Verkhovna Rada deve affidare al governo il compito di approvare con urgenza una strategia e una serie di misure. per combattere la povertà in Ucraina fino al 2030”, la quale aveva aggiunto che, in conformità con gli obiettivi delle Nazioni Unite, l’Ucraina si è impegnata a ridurre il livello di povertà di quattro volte entro il 2030, eliminando il livello di povertà estrema. Ovviamente, non è avvenuto, né prima né tanto meno dopo l’inizio dei combattimenti. E nelle accorate richieste del premier Zelensky non si parla di aiuti per la popolazione più povera ma solo di aiuti militari (anche nell’ultimo progetto per la “vittoria finale”, sbandierato su tutti i media Guerra in Ucraina, il ‘Piano della vittoria’ di Kiev: ecco cosa prevede“. Nel 2019, il rapporto annuale di Bloomberg affermava che l’Ucraina era nella classifica delle prime 10 economie “più misere” del mondo, sulla base della disoccupazione e dell’inflazione.
Di tutto questo, quando si parla della gestione dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO o nell’UE non si parla mai. Eppure nell’ultimo periodo la situazione è peggiorata (anche per altri motivi, legati alla stabilità dei confini). Decenni di tentativi che non sono bastati a trasformare l’Ucraina in un paese in grado di rispettare le regole per diventare un membro della NATO. A meno, ovviamente, che qualcuno non decida di cambiare queste regole..