Non si può più nascondere la preoccupazione che la narrazione di alcuni fenomeni su alcuni media, o sui social e quindi attraverso il costante fenomeno della disintermediazione, trasforma le persone in numeri. Questo non riguarda solo il fenomeno della migrazione, ma comprende anche il femminicidio, i morti durante la pandemia e qualsiasi altro evento di cronaca. Si avverte la necessità di conoscere i numeri per rendere la notizia eclatante e clamorosa. Tutto poi in maniera diretta o indiretta finisce sui social. E tutto diventa memoria comune.
È iniziato un processo di circolazione dei contenuti che ha generato una drastica diminuzione della capacità di comprendere la realtà come conseguenza della deriva informativa, che non si configura più ormai come processo di rappresentazione della realtà ma piuttosto di produzione della realtà. Invece dovrebbe esserci un limite tra il diritto di cronaca e la violenza gratuita.
In questo modo se arrivano sulle nostre coste 100 migranti ad interessare l’opinione pubblica sono le cifre: 10 sono morti e 5 sono bambini. Conta la statistica a dispetto della considerazione per l’altra persona.
Non entro nel merito delle scelte politiche seguite dal nostro Governo, ma voglio sottolineare il palese egoismo tra gli Stati. L’Europa dovrebbe rappresentare una grande unione tra popoli e non l’unione tra Stati egoisti. Abbiamo puntato tutto sulla globalizzazione, ma sembriamo tutti “inglobati e incastrati” più che facenti parte di un mondo globalizzato.
Quando un essere umano ci chiede aiuto dovremmo cercare di supportarlo. Il grande insegnamento cattolico-cristiano ci suggerisce di sostenere quanti hanno bisogno e Papa Francesco non smette di lanciare appelli a favore dell’altro.
Nella nostra società emergono due elementi: il primo è la crudeltà e il secondo è come questa crudeltà viene narrata. I migranti cercano di raggiungere la nostra terra per diverse ragioni importanti che non vengono raccontate nel giusto modo.
E poi ci sono gli interrogativi sull’accoglienza. In molti sostengono che si tratti solo di business, altri credono che non ci siano le condizioni per accoglierli e altri ancora temono che possano compiere atti di terrorismo.
I dubbi nascono dalle diverse interpretazioni politiche e dalle diverse dichiarazioni dei partiti, purtroppo la propaganda ha sostituito la comunicazione politica e questo deve farci riflettere. Il dato allarmante è la scomparsa dell’essere umano. Tutte queste persone non sembrano esseri umani e lo comprendiamo dai diversi talk show a cui assistiamo.
La falsa e parziale rappresentazione del fenomeno migratorio alimenta la cornice della paura e condiziona chiaramente la società. Gli individui si trovano schiacciati tra il flusso continuo di notizie e un uso senza scrupoli di alcune parole chiave specifiche e politiche che nella ricerca ossessiva del consenso, di fronte a una crisi di credibilità, sfrutta il tema come elemento per esacerbare il contrasto tra le diverse posizioni ideologiche.
Un recente articolo del ricercatore Enzo Risso, pubblicato su Il Domani, evidenzia le forme di fastidio nei confronti dell’immigrazione. L’indagine cawi è stata realizzata su un campione di 800 italiani maggiorenni. A quanto pare “la maggiore insofferenza coinvolge principalmente il ceto medio (65 per cento) rispetto ai ceti popolari (59 per cento), i liberi professionisti e i piccoli imprenditori (al 63 e 77 per cento), rispetto agli operai (54 per cento), agli studenti (52 per cento) e ai disoccupati (49 per cento). Tra i cattolici e non credenti, le maggiori avversioni verso i migranti si riscontrano tra i cattolici non osservanti (75 per cento) e tra i cattolici osservanti (60 per cento), rispetto ai non credenti (51 per cento)”.
Gli italiani intervistati hanno dichiarato di essere preoccupati per il futuro dei propri figli. Infatti, “tra i primi 10 temi è presente la paura di lasciare alle nuove generazioni un paese con troppi immigrati”.
Ma non basta, perché tra i principali problemi del paese emergono “i cambi climatici, l’accrescersi delle diseguaglianze sociali, l’inflazione e la precarizzazione del lavoro, ma in bella evidenza resta sempre anche la questione dei flussi migratori”.
Questa apprensione nei confronti dei migranti dipende anche dai social media che veicolano i messaggi e le informazioni. Il controllo dei flussi informativi, la loro trasformazione e re-immissione nei nodi della Rete, secondo logiche predefinite dagli attori del capitalismo digitale, mostra che vi è un disegno che tende a creare asimmetrie nell’accesso alla conoscenza. Ciò avviene perché gli individui appaiono sempre meno in grado di decodificare i flussi informativi e i messaggi.
Qualunque tipo di comunicazione deve essere di tipo commerciale e deve attivare dei profitti per accontentare gli azionisti. Tutto ruota attorno ai profitti, a discapito di chi non ha possibilità economiche come i migranti.
Il grande sociologo Zygmunt Bauman si chiedeva come mai una popolazione che ha un numero altissimo di mezzi di comunicazione sta diventando sempre più sola ed è sempre più fragile. È in atto una vera e propria “solitudine del cittadino globale”.
Le persone fragili subiscono numerosi attacchi e ci sono forme pericolose di aggressione verbale. Mi riferisco agli hater che puntano ai migranti, ai disabili e alle donne. Ogni individuo diventa un bersaglio da perseguitare sui social. Non sappiamo leggere dentro l’anima delle persone, visto che a scegliere per noi sono gli algoritmi dei social che ci suggeriscono anche come comportarci. Bisognerebbe riconquistare la nostra vita, capire che ogni persona va rispettata e iniziare a pensare con la nostra testa. Allora, aveva ragione Bauman nell’affermare che: “La nostra ignoranza su cosa fare in una situazione che non controlliamo, è il maggior motivo della nostra paura. Ora i nuovi nomadi, gli immigrati, finiscono per essere percepiti invece come le avanguardie di un esercito ostile, truppe al servizio delle forze misteriose appunto, che sta piantano le loro tende in mezzo a noi”. Insomma, cerchiamo sempre un “capro espiatorio”, ma invece bisognerebbe fare la conta delle nostre responsabilità che non sono poche…