La prima cosa che ha fatto il governo Biden dopo la risposta dell’Iran ai bombardamenti di Israele è stata preannunciare nuove sanzioni. Non a Israele. All’Iran, colpevole non si sa di cosa se non di aver risposto ad un attacco da parte di una potenza straniera. Tralasciando ogni considerazione sull’utilità di questi attacchi (sia quello dell’Iran che la contro risposta di Israele sono stati “telefonati” ovvero prevedibili e comunque diretti verso bersagli secondari come se entrambi non volessero fare davvero male a nessuno), sono due le considerazioni da fare. La prima è che, secondo molti analisti, si è trattato di uno stratagemma voluto da qualcuno per distrarre l’attenzione da quello che avviene nella Striscia di Gaza (ormai non più giustificabile sostenendo che è una risposta all’attacco terroristico del 7 ottobre 2023). Qui, incuranti delle decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, proseguono senza sosta i bombardamenti di Israele sui civili. E finora nessuno ha avuto il coraggio di adottare misure più drastiche, peraltro previste dal Capitolo VII della Carta istitutiva delle Nazioni Unite [che suggeriamo a tutti di leggere, almeno una volta nella vita, per comprendere molto di ciò che sta avvenendo nel mondo, di ciò che si potrebbe fare e di ciò che, invece, non si fa: Codice internazionale dei diritti umani (A cura di Paolo De Stefani) (unipr.it)].
Ma l’aspetto più interessante è che, ogni volta, i Paesi occidentali si precipitano a sbandierare “sanzioni” economiche. Sia gli USA che i Paesi dell’Ue avevano già in atto un’ampia gamma di misure nei confronti dell’Iran (per violazioni dei diritti umani, attività di proliferazione nucleare e sostegno militare alla Russia). Nei giorni scorsi, è stato preannunciato un nuovo “inasprimento” di queste misure: se ne è parlato tra Bruxelles e Capri dove si sono tenuti gli incontri dei ministri degli Esteri del G7.
Qualche settimana fa, era stato annunciato un nuovo pacchetto di sanzioni economiche (il 13esimo) anche nei confronti della Russia. Ora il punto è: queste sanzioni servono davvero a qualcosa? Stando ai numeri assolutamente NO. A confermarlo sono gli ultimi aggiornamenti (aprile 2024) del Fondo Monetario Internazionale. Secondo le previsioni del FMI, nonostante tutte queste sanzioni, nel 2024, la Russia crescerà più di tutte le economie avanzate del mondo. Anche più degli USA. Per il 2024, il Fondo Monetario Internazionale prevede per la Russia una crescita del 3,2%, a fronte di un 2,7% per gli Stati Uniti d’America. Molto più duro il confronto con le economie dei Paesi europei: la previsione di crescita della Germania è vicina allo zero (0,2%); poco più alta quella della Francia (0,7%) e dell’Italia (0,7%). Più bassa, invece, quella del Regno Unito (0,5%) che non sembra aver ancora capito se la Brexit è stato un affare oppure no. Confronto ancora peggiore con l’Iran le cui previsioni di crescita parlano del 3,3%. Islamic Republic of Iran and the IMF .
I dati del FMI sono una porta in faccia per quanti pensavano che sarebbe bastato limitare la vendita o l’acquisto di alcuni prodotti dalla Russia o dall’Iran. Non solo Mosca ha compensato abbondantemente questo danno rivolgendosi ad altri mercati (tra l’altro il gruppo dei BRICS XL cresce sempre di più ogni giorno che passa e al proprio interno gli scambi commerciali volano), ma a subire un danno reale sono stati proprio i Paesi europei. Per alcuni prodotti, come il gas naturale, sono stati costretti a correre ai ripari e accettare prezzi di vendita enormi (si pensi alla differenza tra prezzo del gas naturale che arrivava tramite GAZPROM e il GNL che arriva dagli USA o da altri Paesi) che hanno comportato un danno enorme a tutta l’economia.
Grandi economisti e leader mondiali e soprattutto europei avrebbero dovuto prevedere ciò che sarebbe accaduto. A cominciare da Draghi che, tra poco, potrebbe tornare a rivestire il ruolo di Presidente della Commissione europea. Proprio lui, nel 2022, in un discorso all’Assemblea Generale dell’ONU affermò che “le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, sulla sua economia”. Non fu da meno l’attuale Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen che, quello stesso anno, in un’intervista al quotidiano tedesco Bild, dichiarò che “il fallimento nazionale della Russia è solo questione di tempo” e che “le sanzioni ogni settimana entrano più a fondo nell’economia russa […]”. Non si sa da dove avesse attinto queste previsioni. Quello che è certo è che le politiche adottate (per non dire imposte) ai Paesi UE, negli ultimi anni, hanno prodotto molti più danni di quelli prodotti alla Russia dalle sanzioni. Anzi, il divario tra la Russia e molti Paesi occidentali “sviluppati” potrebbe aumentare anche il prossimo anno. Secondo le previsioni del FMI, nel 2025, il Pil di Mosca aumenterà dell’1,8%, +0,7 punti in più percentuali rispetto a quanto pronosticato in precedenza. Al contrario “l’economia globale rimane straordinariamente resiliente, con una crescita costante e un rallentamento dell’inflazione quasi con la stessa rapidità con cui è aumentata”, secondo l’istituto finanziario.
La verità è che molti Paesi sui media molti Paesi sbandierano sanzioni e embarghi e fanno la voce grossa contro la Russia e altri Paesi, ma poi nella realtà non sono stati capaci di adottare misure concrete. A Mosca e ad altri Paesi è bastato adottare alcuni stratagemmi del tutto legali. A febbraio la BBC ha rivelato che, in barba alle sanzioni internazionali, milioni di barili di carburante ricavato dal petrolio russo venivano ancora importati nel Regno Unito. Il greggio russo viene comprato da Paesi come India e Cina, che lo rivendono raffinato nel Regno Unito e in altri Paesi occidentali. Un modo di fare che sarebbe assolutamente legale (in linea teorica): le regole internazionali stabiliscono che il greggio è classificato ai fini del commercio come proveniente dal Paese di raffinazione. In realtà questa causa non solo un danno economico (a guadagnare della lavorazione sono altri Paesi del gruppo BRICS) ma, soprattutto, rende del tutto inutili le sanzioni sbandierate ai quattro venti. Anzi, a conti fatti alla Russia conviene: “aumenta la domanda di greggio russo e consente vendite più elevate in termini di volume e di aumento del prezzo, il che aumenta i fondi inviati al forziere di guerra del Cremlino”, ha affermato Isaac Levi, capo del Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (CREA).
In Russia le elezioni si sono già tenute. E Putin, in barba alle stime e alle previsioni, ha ottenuto un successo nel quale forse nemmeno lui sperava. In molti Paesi occidentali, invece, si andrà a votare tra pochi mesi. Negli USA, al Parlamento Europeo e anche la carica di Presidente della CE è in gioco. Sarebbe interessante vedere cosa accadrebbe se gli elettori capissero che alcune scelte fatte nel recente passato dai loro leader non solo non sono servite a nulla, ma hanno prodotto un danno economico non indifferente.