Il dato medio della partecipazione dei siciliani al voto referendario del 20 e 21 settembre si è attestato al 35,39%, con variazioni nei nove capoluoghi di provincia che vanno dal 41,56% di Enna al 33,16% di Palermo
Rispetto alla media nazionale, comprensiva del voto degli italiani all’estero, che ha raggiunto il 53,84%, si evidenzia una differenza di quasi venti punti percentuali.
Non entro nel merito delle differenze in termini di voti contrari o favorevoli al quesito posto agli elettori, poiché scopo di questa riflessione è altro e più generale, anche in considerazione del fatto che, vista l’assenza di quorum, la scelta di restare a casa o di “andare al mare” non avrebbe favorito alcuno dei due possibili risultati. Sarebbe bastato un solo voto in più al SI o al NO da parte dei votanti, per determinare l’esito della consultazione.
Nessun intento strategico, dunque, ma la semplice constatazione che in una regione presente nella terna di coda dell’Italia la popolazione è rimasta indifferente davanti a scelte determinanti per il futuro del Parlamento italiano e del Paese di cui è supremo reggitore. Secondo i dati Istat il reddito procapite della Sicilia nel 2020 è stato stimato in 13.600 euro, di pochissimo superiore ai 12.700 della Calabria ed ai 13.500 della Campania, regioni dove però la partecipazione al voto referendario è stata rispettivamente del 45,21% e del 61,01% (dati Eligendo, Ministero dell’Interno).
Pur considerando che in Campania si votava anche per il rinnovo del presidente, del consiglio regionale e in alcuni Comuni mentre in Calabria per il sindaco di alcune città, configurandovi una sorta di election day, il dato siciliano del già citato 35,39% è doppiamente sconfortante.
Esso rivela due elementi molto gravi. Il primo è in generale l’indifferenza circa i grandi temi politico-costituzionali del Paese, il secondo rivela come, quando non si tratti di esprimere un voto che riguardi singoli candidati, futuri eventuali padrini per piccoli o grandi favori, gli elettori siciliani appaiono ampiamente disinteressati.
Eppure, dall’esito del voto di domenica scorsa vi saranno significative ricadute circa la rappresentanza dei parlamentari dell’isola il cui numero passerà da 52 a 32 deputati, quindi venti in meno e da 25 a 16 senatori, nove in meno rispetto il passato. Sarà un bene o un male? Chi scrive ha ovviamente la propria opinione in proposito manifestata altrove e che qui non rileva, ma non sapremo mai cosa e se hanno pensato quei due terzi dei siciliani che non si sono espressi.
Scarsa informazione, analfabetismo funzionale o, piuttosto il convincimento che ciò che conta in Sicilia è il mantenimento di un assistenzialismo statale senza colore? “Franza o Spagna purchè se magna” ? giusto per citare la ben nota espressione attribuita allo scrittore e politico fiorentino Francesco Guicciardini che intorno alla seconda metà del XVI secolo si riferiva agli italiani dell’epoca che, incapaci di pensare a un futuro di speranza e prosperità , preferivano appoggiarsi o meglio si mettevano a disposizione dell’una o dell’altra potenza, pur di salvare un minimo di potere entro le mura del loro limitato orticello. Quest’anno ricorreva l’anniversario della morte avvenuta ad Arcetri nel 1540, ma agli italiani non è mai stato simpatico e nessuno lo ha ricordato.
Nella Sicilia “infelicissima” di cui ho ampiamente scritto in più occasioni su questo periodico, “Risentimento e rancore, i grandi mali che impediscono alla Sicilia di crescere” e “Quando la Storia siamo noi. Cronaca dell’Apocalisse siciliana” vittima di degrado e di emergenza ambientale nelle città, di storiche e gravissime carenze circa infrastrutture e trasporti, terra da cui fuggono a migliaia i giovani e messa alla berlina in tutto il Paese dai video di improvvide influencer che negano il pericolo del contagio da Covid 19, persino la pubblicità di un famoso Amaro, un tempo notissimo brand del territorio ed oggi acquisito da una società leader mondiale del settore, proclama il proprio rifiuto di ogni cautela sanitaria e responsabilità civica, con uno spot sguaiato che sta facendo il giro del mondo.
Un inno al menefreghismo generale di cui stiamo già pagando il prezzo in termini di nuovi contagi e del moltiplicarsi di focolai. I dati ufficiali concernenti l’Isola diffusi dal Bollettino del Ministero della Salute delle ore 17.00 del 23 settembre danno i nuovi casi e la mappa dei focolai: “in Siciliasono 89 i nuovi casi di coronavirus e si registrano tre nuovi decessi. La Regione Siciliana precisa che nove degli 89 nuovi positivi sono ospiti della Missione Speranza e Carita’ di Biagio Conte, a Palermo, mentre un decimo contagiato risulta tra i migranti ospiti dell’hotspot di Lampedusa. Con 64 tra dimessi e guariti, il saldo finale degli attuali contagiati sull’isola è di 2.412, di cui 230 ricoverati in ospedale e 16 in terapia intensiva. Tra ieri e oggi nelle nove province siciliane sono stati processati 6.039 tamponi. A Misilmeri, in provincia di Palermo, dopo gli ultimi sei casi di coronavirus chiuse scuole, sale giochi, sale scommesse palestre, impianti sportivi e scuole di ballo, divieto di accesso ai parchi gioco comunali, interdette le manifestazioni pubbliche di carattere culturale, convegnistico e artistico.”
Dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, Carestia, Pestilenza, Morte e Guerra citati nel mio articolo del 26 luglio scorso “Quando la Storia siamo noi. Cronaca dell’Apocalisse siciliana” solo la guerra finora ci è stata risparmiata anche se, sotto forma di conflitto sociale e di progressivo impoverimento dei ceti più deboli, se ne vedono, nella violenza quotidiana, i segni premonitori.
L’attesa messianica dei 209 miliardi, di cui 127 come prestiti e 82 a fondo perduto, attribuiti dal Recovery Fund all’Italia prevede una cospicua dotazione per il Sud e la Sicilia, ma il Quotidiano del Sud ha fortemente ridimensionato le speranze: “La Ministra delle infrastrutture e dei trasporti Paola De Micheli, qualche giorno fa, ha annunciato che almeno il 40% del fondo sarà destinato al Sud. Cifra che supera addirittura la quota del 34% che spetterebbe al Mezzogiorno secondo una ripartizione effettuata sulla base della popolazione residente.
Secondo la testata giornalistica sopracitata, l’affermazione potrebbe rivelarsi una grossa presa in giro. Infatti, la quota percentuale delle grandi opere possibili nel Mezzogiorno non supera il 19%: dunque molto meno di quanto equamente spetterebbe al Sud. Una percentuale lontana dal sopracitato 40%.”Nonostante ciò “l’assalto alla diligenza è già iniziato” e non c’è Comune siciliano che non abbia tirato fuori dai cassetti vetusti progetti di ogni genere, nella profonda ignoranza di ciò che è già stato stabilito nel NextGenerationEu circa le priorità annunciate dalla Presidente Ursula von der Lyen nel Discorso all’Unione del 16 settembre scorso e fatti propri dalla Presidenza del Consiglio italiana: rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità;istruzione e formazione; equità, inclusione sociale e territoriale; salute. “Vasto programma” avrebbe detto Charles De Gaulle, ma che certamente non potrà comprendere le tante perle contenute nelle centinaia di progetti già presentati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Stando alle ultime notizie de Il Corriere della Sera, ne sarebbero già stati già presentati 557 (Ponte sullo Stretto escluso, almeno finora) di cui 64 dal solo Comune di Palermo per 4,6 miliardi di euro, per un controvalore complessivo di 677 miliardi di euro, ben superiore ai 209 miliardi che il Belpaese riceverà dal Recovery Fund e previsti non prima della primavera prossima. Nonostante lo slancio da “fantasia al potere” di molti amministratori locali, la scrematura sarà dunque dolorosa e necessaria e deluderà molte aspettative e moltissimi appetiti. E questo mentre ancora si tentenna circa l’acquisizione di ulteriori 37 miliardi immediatamente disponibili previsti dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) – avversati dal M5S e dai partiti sovranisti – vincolati in modo rigoroso all’ammodernamento del Sistema Sanitario: presidi ospedalieri, edilizia sanitaria, rafforzamento della sanità territoriale, nuove strumentazioni per la diagnostica, sanità digitale, telemedicina, ricerca”. Forse quei vincoli, molto più blindati rispetto al Recovery Fund, taglierebbero le unghie già protese da parte di qualcuno. I recenti risultati elettorali e il rafforzamento del Partito Democratico che li reclama a gran voce, insieme a LEU ed Italia Viva, potrebbero essere determinanti per far cessare questo indecoroso balletto.
Il Presidente del Consiglio ha dichiarato che la definitiva approvazione di tutti i piani passerà comunque dal Parlamento nella sua attuale composizione numerica e politica. Poichè ci auguriamo che tale pratica avvenga anche nel prossimo futuro, i siciliani scopriranno cosa vorrà dire disporre di 29 parlamentari in meno su questo ed altri versanti delle grandi scelte che riguardano anche loro.
La locuzione latina Faber est suae quisque fortunae, tradotta letteralmente significa “Ciascuno è artefice della propria sorte” è presente nella seconda delle due Epistulae ad Caesarem senem de re pubblica attribuite a Sallustio e datata 46 avanti Cristo.
Anche se la autenticità è molto discussa, credo che il senso sia chiaro ed evidente e valga per gli individui come per le collettività. L’espressione è caratteristica della teoria dell’homo faber, secondo cui l’unico artefice del proprio destino è l’uomo stesso; viene talvolta vista come un iniziale contrapporsi dell’uomo romano all’idea dell’ineluttabilità, per essere responsabile protagonista delle proprie azioni o nella lotta contro il bisogno e la miseria.
La teoria verrà in seguito sviluppata soprattutto durante l’Umanesimo e il Rinascimento, specialmente alla luce della riconsiderazione del rapporto tra virtù e fortuna intesa come destino e dell’uomo in genere. Se, infatti, nel Medioevo l’uomo era considerato succube del destino, nell’Umanesimo e nel Rinascimento esso è visto come intelligente, astuto ed energico, e perciò capace di utilizzare al meglio ciò che la natura gli offre ed essere dunque artefice del proprio destino. Forte sostenitore di questa visione dell’uomo fu il filosofo Giordano Bruno, arso vivo in Campo dei Fiori esattamente quattrocentoventi anni fa. Non vorrei che tra coloro che appiccarono il fuoco vi fosse stato anche qualche siciliano di ieri e di oggi che non declina i verbi al tempo futuro e guarda ad un eterno presente se non addirittura ad un nostalgico passato, sperando che prima o poi qualcuno lo salvi mentre, immobile, prono e indifferente, si affida al Fato. Inshallah!