Come ogni anno, il mese di dicembre è un momento per fare dei bilanci. A cominciare da quello statale, anche perché è in discussione l’approvazione della manovra finanziaria per l’anno successivo. Una misura sempre oggetto di scontri e polemiche tra maggioranza e opposizione. Quanto spendere? E soprattutto: su cosa spendere e quali misure invece tagliare?
Nell’ultimo periodo, tra i temi più controversi c’è stato quello della spesa per la sanità pubblica. Dopo la pandemia che ha costretto i governi a stanziamenti (ma anche a sprechi incommensurabili: si pensi ai milioni di dosi di vaccino non utilizzate), si è tornato a parlare di fondi disponibili e di mancanza di personale. Eppure, la spesa sanitaria degli ultimi anni è aumentata considerevolmente: è passata dai 114 miliardi del 2018 ai 122 miliardi nel 2020. Poi, nel 2021, è aumentata ancora fino a quasi 128 (127.348). Finito il periodo della pandemia la spesa, stranamente, non è diminuita: nel 2022 è stata 131.710 e le stime per il 2023 e per il 2024 si aggirano intorno ali 130 miliardi di euro e 129 miliardi rispettivamente.
A fronte di somme così elevate, però, si registra una enorme carenza di personale qualificato. Sia medico che paramedico. Già nel 2020, la Corte dei Conti aveva certificato che nel nostro Paese mancano circa 65.000 infermieri. “Il nuovo livello del fabbisogno sanitario nazionale, che rappresenta il finanziamento complessivo della sanità pubblica e di quella accreditata in Italia – si legge nel rapporto della CdC -, è stato da ultimo fissato dalla legge di Bilancio 2022 (L. n. 234/2021) in 124.061 milioni di euro per il 2022, 126.061 milioni per il 2023 e 128.061 milioni per l’anno 2024”. L’aumento sarebbe dovuto “proprio ai costi del personale e alla definitiva cessazione dei costi legati alla struttura commissariale per l’emergenza”. “Il Governo ha aumentato la dotazione di due miliardi di euro per cercare di dare risposte al mondo della sanità ed è stato detto che era insufficiente rispetto ai parametri – ha dichiarato la premier Meloni -. Ma bisogna fare attenzione perché i parametri degli anni precedenti erano di una realtà estremamente emergenziale. Non so quanto si possa ritenere che quello fatto durante il Covid sia il parametro anche per il futuro”.
A mancare non è solo il personale paramedico, ma soprattutto i medici. E soprattutto i medici di base. Dai dati rilevati pare che, nonostante il calo della popolazione, non si sia tenuto conto del naturale ricambio generazionale. In altre parole, molte volte i medici di base che vanno in pensione non verrebbero sostituiti da nuovi medici. Già oggi, sono circa due milioni i cittadini italiani che non hanno più un medico di famiglia. E per il futuro le previsioni sono tutt’altro che rosee: si stima che entro un paio d’anni potrebbero essere addirittura cinque milioni gli italiani senza medico di base. A confermare queste stime, uno studio della Fondazione Gimbe, secondo il quale, nel 2025, ci saranno 3.452 medici di base in meno rispetto al 2021. Ancora peggiori le stime della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri: a breve, potrebbero mancare oltre 10mila medici di base. Critica la situazione in alcune città. A Roma mancano quasi 800 medici. E nel resto del Lazio mancano 350 medici di base.
Diverse le ragioni di questo fenomeno. Stipendi poco attraenti rispetto a un carico di lavoro sempre maggiore (aumentato considerevolmente durante la pandemia ma mai tornato alla “normalità”). Il numero massimo di assistiti di un medico di famiglia “massimalista” è di 1.500 pazienti. Ma, secondo Agenas, presto potrebbe aumentare fino a 1.800. Secondo i dati, già oggi quasi un medico di famiglia su due (il 42%) ha più di 1.500 assistiti. Il 36,7% ne segue tra mille e 1.500. Questo significa una mole di lavoro enorme. A questo si aggiunge che la popolazione italiana sta invecchiando: questo significherebbe un carico di lavoro maggiore per i medici di base. Il tutto con un trattamento poco attrattivo: dodici mensilità e tante difficoltà per gestire studi e personale.
A questo si aggiunge un altro problema: il “numero chiuso” adottato da molte Facoltà di Medicina. Da anni è oggetto di polemiche non solo per essere troppo severo e selettivo, ma in alcuni casi anche per critiche sulla legittimità. Da qualche anno si parla di sopprimerlo. Ma finora non è stato fatto nulla.
Anche i pediatri stanno diminuendo: da 7.408 sono scesi a 7.022 (386 in meno). Un problema evidenziato anche nel Rapporto civico sulla Salute 2023 di Cittadinanzattiva. E la situazione potrebbe peggiorare ancora a breve: la maggior parte dei medici in servizio, infatti, ha oltre 25 anni di anzianità di servizio.
A tutto questo si aggiunge anche un altro fenomeno: molti medici e paramedici preferiscono andare a lavorare all’estero. Magari nei Paesi arabi dove gli stipendi sono molto elevati. Nell’ultimo periodo, almeno 150 infermieri e oltre 300 medici (tra generici e specialisti) avrebbero iniziato a programmare il proprio trasferimento verso Paesi del Golfo. Qui il fabbisogno di “cura” è crescente e le figure professionali preparate sono ben pagate. Alcune stime prevedono che in Arabia Saudita (vista la crescita esponenziale della popolazione e l’aumento dell’età media), entro il 2030, serviranno 44.000 medici e 88.000 infermieri. Non è un caso se in Arabia Saudita circa il 10% del PIL è destinato alla Sanità.
Al contrario in Europa, la percentuale media è di circa l’8,0% del PIL nel 2020. I Paesi dove questo rapporto è più alto sono Repubblica Ceca, Austria e Francia. Nel 2020, Repubblica Ceca e Austria (entrambe 9,2%) e Francia (9,0%) hanno registrato i rapporti più elevati tra la spesa pubblica dedicata alla salute e il PIL tra gli Stati membri dell’UE. L’Italia è sotto la media europea.
In Italia, come emerge dal Documento Programmatico di Bilancio (Draft Budgetary Plan) presentato dal Consiglio dei Ministri e inviato a Bruxelles, per gli anni 2024 e 2025, nonostante l’incremento del finanziamento del fabbisogno sanitario (di 3 miliardi per l’anno 2024, di 4 miliardi per l’anno 2025 e di 4,2 miliardi per il 2026), la spesa sanitaria non riguarderà più del 6,4% del PIL. “Per quanto concerne il pubblico impiego – si legge nel documento -, vengono stanziate le risorse per i rinnovi contrattuali del personale delle amministrazioni statali, con particolare attenzione ai lavoratori del settore sanitario, per i quali è inoltre previsto un incremento della tariffa oraria potenziata per il triennio 2024-2026”.
Resta da vedere se questo basterà a fermare la fuga di “camici bianchi” verso altri paesi. E soprattutto a garantire che tutti i cittadini italiani possano avere un medico che si prenda cura della propria salute.