Il Sistema Italia sarà in grado di assorbire le ingenti risorse rese disponibili?
La pandemia ha posto l’Unione Europea di fronte a scelte epocali nell’impiego delle risorse comuni, varando una serie di interventi che complessivamente sono paragonabili per l’impatto che potrebbero avere soltanto al Piano Marshall (1947 – 1951).
Nel Luglio 2020 il Consiglio Europeo ha concordato sul bilancio dell’Unione per il periodo 2021 – 2027 (sul quale ora c’è il veto di Polonia e Ungheria, in relazione alle condizionalità legate al rispetto delle regole dello “stato di diritto”; il veto per forza di cose dovrà essere superato nell’interesse di tutti).
Per la prima volta nella storia dell’Unione, il bilancio europeo si articola in due parti: il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), in inglese Multi-annual Financial Framework (MFF), e il Next Generation EU spesso definito dai media “Recovery Fund”.
Il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2021 – 2027 avrà un totale di risorse pari a 1.074,3 miliardi di Euro, e sarà finanziato come sempre con risorse degli Stati membri, per cui durante il Periodo di Programmazione alcuni avranno versato più di quello che riceveranno attraverso le diverse politiche comuni, mentre altri avranno un plus di sostegno finanziario rispetto ai loro contributi, in particolare ciò avviene ed avverrà per i Paesi dell’Est Europa, che sono in ritardo socio-economico rispetto agli altri membri.
La novità sta nello strumento Next Generation EU che totalizzerà 750 miliardi di Euro per fronteggiare gli effetti della pandemia, favorendo la risposta alla crisi e la ripresa delle economie nazionali; per la prima volta nella storia dell’Unione le risorse saranno reperite dalla Commissione Europea prendendo denaro in prestito sui mercati finanziari internazionali (ossia contraendo un debito europeo comune).
I 750 miliardi del Next Generation saranno erogati agli Stati membri per 390 miliardi sotto forma di sovvenzioni e per 360 miliardi sotto forma di prestiti a lungo termine ed a tassi agevolati; l’Italia dovrebbe beneficiare di più di 208 miliardi di Euro su questo ambizioso programma di intervento.
Il Next Generation si articolerà attraverso alcuni meccanismi (in inglese “facility”); il primo è il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (in inglese Recovery and Resilience Facility) che avrà una dotazione complessiva di 672,5 miliardi tra “grants” (sovvenzioni da non restituire) e finanziamenti da rimborsare; le stime per l’Italia sono di 191,3 miliardi, di cui 63,8 miliardi in contributi a fondo perduto e sussidi ed un importo di 127,5 miliardi in prestiti da rimborsare.
Per tutti gli Stati membri il Next Generation prevede anche 77,5 miliardi, distribuiti su una serie di fondi per la ricerca, le politiche di coesione, le garanzie sugli investimenti, lo sviluppo rurale, la transizione verso le energie rinnovabili, ed altri interventi; queste risorse rimarranno fuori dal Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (che dovrà essere predisposto da ciascun Stato membro), le stime di dotazione per l’Italia su questi fondi ammontano a 17,3 miliardi.
Ma attenzione parliamo di sfida epocale perché agli oltre 208 miliardi del Next Generation vanno sommate le risorse del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2021 – 2027, ossia dello strumento ordinario del Bilancio Europeo che ammontano, nei prossimi sette anni per l’Italia, ad ulteriori circa cento miliardi, di cui la fetta più rilevante è sempre finalizzata alle Politiche di Coesione e Resilienza (per un importo di 44,2 miliardi di Euro).
L’assegnazione delle risorse del Next Generation non sarà automatica, ma attraverso un processo che si compone di più fasi; nella prima tra gennaio e aprile 2021, gli Stati membri dovranno presentare un Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR).
La Commissione Europea avrà a disposizione otto settimane per esaminare e proporre al Consiglio ECOFIN l’approvazione del PNRR per ciascuno dei 27 Stati membri; a questo punto ECOFIN dovrà approvare ciascun Piano Nazionale a maggioranza qualificata, una positiva novità in quanto non più all’unanimità come in precedenza, e con una tempistica di quattro settimane dalla presentazione della proposta della Commissione; superata questa prima fase, ci sarà la passibilità di accedere al 10% del totale delle risorse disponibili.
Le erogazioni ulteriori saranno collegate ad una procedura di obiettivi e risultati intermedi, chiamate in inglese “milestones”, che richiederanno una forte interazione tra Commissione e Stati, attraverso l’attività del Comitato Economico-Finanziario composto dai Direttori del Tesoro dei 27 Stati dell’Unione. Le regole attuali prevedono che il 70 per cento del finanziamento venga impegnato entro il 2022, mentre il restante 30 per cento potrà essere rimodulato a seconda dell’andamento del prodotto interno lordo.
Pertanto, in questi anni il Sistema Italia sarà impegnato nella progettazione, gestione e rendicontazione di una somma enorme di Fondi Europei per oltre trecento miliardi di Euro in totale; ma attenzione sarà nello stesso periodo di tempo alle prese con la chiusura dell’attuale Programmazione Europea 2014 – 2020, che per il meccanismo denominato “n+3” (anni) si concluderà soltanto alla fine del 2023, con una fortissima sovrapposizione delle attività che si andrà a realizzare nei prossimi tre anni (2021 – 2022 – 2023).
Un ultimo elemento, come strumento ponte tra i due periodi di programmazione (2014 – 2020 e 2021 – 2027), nonché strumento rapido per una reazione immediata alla pandemia è stato previsto il REACT EU (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe), che si va a sommare alle risorse da utilizzare per la chiusura dell’attuale programmazione (2014 – 2020), portando il totale da spendere e rendicontare a quasi 45 miliardi di Euro.
Questo significa che, al netto delle altre “facility” del Next Generation e della Nuova Programmazione (2021 – 2027), nei prossimi tre anni l’Italia dovrà rendicontare un importo che è due volte e mezzo ciò che è stato rendicontato negli ultimi sette anni (2014 – 2020). La sfida sarà veramente impegnativa per tutti soprattutto nel superare i colli di bottiglia.
Quali sono i principali problemi emersi nel corso degli anni nella gestione dei Fondi Strutturali europei, vediamoli da vicino. L’Italia è tra i Paesi europei con il più basso numero di persone che si occupano di fondi, soprattutto la dotazione all’interno delle Autorità di Gestione e delle Autorità di Audit, con un brutto termine tecnico nei documenti della Commissione si afferma che siamo “sottostaffati”, in pratica abbiamo bisogno di più persone, e soprattutto di più esperti in una materia complessa, ma come ha ben dimostrato la pandemia per i medici (ed anche per i paramedici), gli specialisti non crescono in una notte sotto gli alberi.
Seconda questione: per utilizzare in tempi brevi ingenti risorse è necessario concentrare gli interventi, definendo priorità chiare e realizzabili, ma l’Italia tradizionalmente ha utilizzato le risorse europee frastagliandole in una moltitudine di interventi; negli anni questo modo di procedere ci ha creato non pochi problemi di rispetto dei tempi della programmazione, e ha richiesto un maggior impegno ed un maggior numero di persone nelle attività di rendicontazione.
Meccanismi di intervento ampi e comprensivi (non parcellizzati, meno frastagliati), procedure di assegnazione delle risorse il più possibile automatiche (meno discrezionali ed “ad hoc”) e continuative nel tempo (a sportello aperto), possono aiutare nell’affrontare la sfida epocale che ci troviamo davanti di utilizzare una mole di risorse che possono cambiare il volto dell’Italia che verrà.