In Cina, la televisione di stato ha deciso di finanziare con fondi pubblici (provenienti dal Dipartimento centrale di propaganda del Partito comunista cinese PCC) e mandare in onda un documentario dal titolo Time in the Northwest che racconta la vita di Xi Zhongxun, padre dell’attuale leader cinese e anche lui figura chiave del partito ai tempi del presidente Mao Zedong. Una forma di propaganda, nemmeno tanto celata, diluita in oltre trenta puntate! Si tratta dell’ultima di una serie di produzioni per glorificare la storia del partito di governo, il PCC, e in questo caso, anche la storia familiare personale di Xi Jinping. Come in altri casi, Time in the Northwest sottolinea la capacità dell’anziano Xi, proveniente da una famiglia di contadini della provincia rurale dello Shaanxi, di diventare leader della rivoluzione del PCC. Secondo alcuni giornali locali, la serie sarebbe “un capolavoro epico che presenta una visione panoramica della magnifica storia della rivoluzione del nord-ovest” che mette in evidenza “la straordinaria esperienza” di Xi.
Il vecchio Xi viene presentato come un rivoluzionario leale e determinato, quasi un eroe (lo sceneggiato si concentra sul periodo della guerra civile cinese, sullo scontro tra i comunisti e i nazionalisti cinesi dopo la caduta della dinastia Qing). Una volta divenuto capo del dipartimento di pubblicità del partito e vice-premier della Cina, il padre dell’attuale leader cinese viene definito uno dei soggetti che hanno contribuito a costruire le basi chiave del PCC nello Shaanxi e nel Gansu. Inutile dire che si tratta di un programma di propaganda: chiaro il riferimento al fatto che le abilità del padre sono state ereditate da suo figlio, Xi Jinping, in più occasioni presentato un “principino” del partito nonostante le puntate finiscano prima della sua nascita. Naturalmente, come in passato e, di recente in altri casi anche più vicini all’Italia, alcuni aspetti vengono “dimenticati”. La nuova serie in onda sulla TV di Stato cinese si conclude nel 1952, vale a dire prima che Zhongxun venisse “epurato” per aver sostenuto un romanzo che era visto come un tentativo segreto di riscrivere la storia del partito. Negli anni ’60 e ’70, Xi trascorse 16 anni in questa condizione, un’esperienza che si pensa abbia profondamente influenzato il giovane Xi e il suo rapporto con il partito. Una traccia che sembra aver colpito pesantemente l’attuale presidente (da tempo non dedica più grande spazio a ricorrenze importanti per celebrare Mao).
Oggi, Xi Jinping è forse il leader più potente della Cina dai tempi del padre della rivoluzione. Da quando è salito al potere, nel 2012, la questione del controllo della storia del partito è diventato un chiodo fisso. In uno dei suoi primi discorsi, Xi ha detto che il crollo dell’Unione Sovietica è stato causato da un “nichilismo storico” e deve essere un “racconto ammonitore”. Un monito che lo ha portato a fare di tutto per difendere la politica dei Cinque Principi di Coesistenza Pacifica, citati per la prima volta negli Accordi sino-indiani dell’aprile 1954 e successivamente diventati parte integrante della sua linea di politica estera. Cinque Principi (vale a dire: rispetto reciproco per la sovranità e l’integrità territoriale, non aggressione reciproca, non interferenza reciproca negli affari interni dell’altro, uguaglianza e reciproco vantaggio, e coesistenza pacifica) ai quali si ispirerebbe anche la Dichiarazione sui Principi di Diritto Internazionale adottata alla 25esima Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1970 e la Dichiarazione sull’Instaurazione del Nuovo Ordine Economico Internazionale adottata durante la Sesta Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1974.
Se da allora le basi della politica estera sono rimaste le stesse, lo stesso non può dirsi per la politica interna. La “nuova era” di Xi Jinping è iniziata nel 2018, durante la XIII Assemblea Nazionale del Popolo Cinese ANP: è allora che è stato avviato il processo che ha portato a grandi modifiche al testo costituzionale. Modifiche che hanno incluso l’inserimento del “pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” (Xi Jinping xin shidai Zhongguo tese shehuizhuyi sixiang), già inserito nello Statuto del partito in occasione del XIX Congresso riunito nell’ottobre del 2017, oltre all’eliminazione del limite dei due mandati per le cariche del presidente e del vicepresidente (che era previsto dall’articolo 79, comma 3 della Costituzione). Una modifica che ha fatto di Xi Jinping un presidente “a tempo indefinito” (la scadenza naturale del suo mandato era il 2023). Sin dalla sua ascesa ai massimi vertici prima del partito e poi dello Stato, Xi Jinping ha fatto di tutto per concentrare potere nelle sue mani, anche grazie ad una campagna anticorruzione contro le “tigri e le mosche” (laohu yu cangying), i “grandi e i piccoli” funzionari corrotti. una politica che ha richiamato alla memoria le purghe di epoca maoista.
L’accumulazione di cariche e titoli ha portato Xi ad essere ribattezzato come il “presidente di tutto” che aveva già avuto un riconoscimento formale in occasione del plenum del partito dell’ottobre del 2016, che lo aveva dichiarato “core leader” (hexin lingdaoren). Questo ha comportato la necessità, per il nuovo “sovrano”, di “giustificare” la propria posizione e permanenza al potere definendola essenziale per garantire la realizzazione del “sogno cinese” (zhongguo meng), che prevede la realizzazione di due obiettivi: la creazione di una “società moderatamente prospera” (xiaokang shehui) entro il 2021, in occasione del centesimo anniversario della fondazione del partito; e la trasformazione della Cina in un “paese socialista ricco e forte” (fuqiang de shehuizhuyi guojia) entro il 2049, per il centenario della nascita della RPC. Il primo obiettivo Xi lo avrebbe già raggiunto: nel 2021, in piena pandemia, si è vantato di essere riuscito ad eliminare la povertà estrema in Cina (in realtà questo risultato è solo frutto di un trucco: ha abbassato la sogli ufficiale di povertà estrema, quindi le persone che prima erano in povertà estrema da n giorno all’altro sono state classificate come povere, ma non in povertà estrema).
Il secondo obiettivo non è così facile da raggiungere: molte le polemiche, anche all’interno dei confini nazionali. Per alcuni sarebbe una pericolosa involuzione autoritaria del potere, con l’abbandono della logica della leadership collettiva introdotta da Deng Xiaoping nel corso degli anni Ottanta che, dopo gli eccessi dell’epoca maoista, aveva contribuito ad istituzionalizzare il meccanismo di successione al potere. Successione al potere che ora si sta cercando di giustificare. Quale strumento migliore, quindi, se non sbandierare il proprio diritto “ereditario” osannando le gesta del proprio padre. Non è un caso se, Time in the Northwest, il prolisso sceneggiato che inneggia al padre dell’attuale presidente evita i lati più oscuri della vita dell’anziano Xi e lo presenta come un eroe senza macchia. Un aspetto che accomuna il nuovo metodo di propaganda cinese ad altri adottati di recente in altri paesi. Ogni volta i protagonisti sono presentati come degli eroi, come soggetti provenienti da un ceto medio inferiore (o comunque più basso). Eppure nonostante ciò, grazie alla loro abilità, questi soggetti sono riusciti a raggiungere traguardi eccezionali. Fino ad essere considerati quasi dei semidei: il luogo dove Xi Jinping ha trascorso i primi anni di vita è diventato una nuova meta di pellegrinaggio per moltissimi cinesi!
Un modo pacchiano per giustificare la posizione che occupano alcuni leader monocratici e tutt’altro che democratici (figurarsi comunisti). Un modo per dimostrare che c’è un motivo se sono al potere dopo tutto questo tempo. E che non se ne andranno. Anche a costo di cambiare continuamente la Zhōnghuá Rénmín Gònghéguó Xiànfǎ, la Costituzione del Popolo cinese: negli ultimi settant’anni è cambiata radicalmente quattro volte (1954, 1975, 1978 e 1982) ma ha ricevuto modifiche parziali altre cinque volte: nel 1988, 1993, 1999, 2004 e, l’ultima nel 2018 durante il governo del figlio del vecchio Xi.