La certezza è che nei giovani, colpiti da Covid, sono presenti ansia e depressione e molti studi lo confermano. Le fragilità dei ragazzi dovute ad una iper rappresentazione di sé che porta il sistema relazionale a diventare sempre più debole, il tutto acuito dalla pandemia che ci ha travolti
Il Long Covid ormai è parte della vita dei nostri giovani. Il problema non riguarda danni fisici, ma i postumi da coronavirus per bambini e adolescenti si collocano nella sfera psicologica. Fabio Midulla, pneumologo, professore Ordinario di Pediatria, responsabile del pronto soccorso pediatrico del Policlinico Umberto I di Roma e promotore di un progetto di visite e follow-up per minori che hanno contratto l’infezione da SARS-Cov-2, ha spiegato Huffingtonpost, alla giornalista Ilaria Betti, quanto sta accadendo. E su questo occorre riflettere.
“Da febbraio a oggi abbiamo visitato circa 150 pazienti da 0 ai 18 anni che nei mesi scorsi hanno avuto il Covid. Più della metà sono adolescenti (dai 14 anni in su) e di questi almeno il 20% si porta dietro problemi di tipo psicologico come ansia, depressione, paura di quello che è successo o potrà succedere”.
Midulla, presidente della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili, ha creato un osservatorio esclusivo su quelle che sono le conseguenze del coronavirus nei più piccoli. Il fine ultimo di questo progetto è quello di comprendere, tramite l’osservazione diretta, se il Long Covid sia presente o meno anche nei bambini. Il lavoro del Professor Midulla ha avuto un grande successo ed importanti riscontri.
“Al Policlinico siamo passati da due a cinque pazienti al giorno per cercare di smaltire le liste d’attesa e abbiamo prenotazioni fino a novembre – specifica il Professore – ne siamo felici ed è indice che la nostra idea risponde a un’esigenza delle famiglie, ossia quella di avere un contatto con gli specialisti per essere rassicurati sulle conseguenze a distanza del Covid”. A quanto pare le conseguenze a lungo termine sono legate all’ambito psicologico.
“Non è da sottovalutare – dice -. Solitamente questi disagi si manifestano tre o quattro mesi dopo aver contratto la malattia. Ci sono bambini che lamentano un mal di testa che non passa, altri dicono di avere dolori addominali, una tosse persistente, o fastidi articolari. Sono tutti sintomi spia di una somatizzazione. Poi, a mano a mano che l’età dei pazienti aumenta, riscontriamo problemi di ansia, depressione, fino ad arrivare all’autolesionismo. Per avere un’idea del fenomeno, basti pensare che gli accessi al pronto soccorso del nostro ospedale per tentativi di suicidio due anni fa sono stati 19, quest’anno ne abbiamo già 50. Sono triplicati”.
Gli scienziati stanno studiando gli effetti del Long Covid sugli adulti. Proprio per questo il Long Covid nei bambini deve essere approfondito e servono dati scientifici. La certezza è che nei giovani, colpiti da Covid, sono presenti ansia e depressione e molti studi lo confermano. “Ci sono molti dati in letteratura – commenta Midulla – che dimostrano come il periodo del lockdown abbia slatentizzato problemi di tipo psichiatrico e psicologico”. Il progetto dell’Umberto I è davvero importante perché analizza gli effetti a lungo termine, ma soprattutto mira a fare una diagnosi precoce ovvero a “conoscere per prevenire– dice Midulla, precisando che – quando troviamo dei ragazzi che hanno bisogno di essere visti in maniera più approfondita o di essere presi in carico dal punto di vista psicologico, lo facciamo col nostro servizio di Neurologia in collaborazione con la Neuropsichiatria infantile. Ciò che conta è intervenire tempestivamente, perché un problema psicologico non è più trascurabile di una lesione fisica”.
In diverse occasioni mi sono occupato del dramma dei bambini e degli adolescenti, analizzando i risultati di diverse ricerche. Nel 2019 i ragazzi che dichiaravano di provare spesso un sentimento di solitudine erano il 33%, già nel 2020 erano saliti al 48% (secondo i dati di Terres desHommes, feb 2020). Un sentimento che ha continuato a crescere tanto e lo dimostra la Survey che io stesso ho condotto: La mia vita ai tempi del Covid (aprile – maggio 2020) che ha coinvolto in totale 1.858 ragazze e ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori che hanno risposto ad un questionario online composto da diciassette domande, oltre il 60% ha dichiarato di avere provato paura e di sentirsi solo.
Un fenomeno di carattere globale, confermato dallo studio condotto da Unicef che, attraverso i dati della Oxford COVID-19 Government Response Tracker, ha evidenziato come un bambino o un giovane su 7 – 332 milioni in tutto il mondo – ha vissuto per almeno 9 mesi, dall’inizio della pandemia, con misure che prevedevano l’obbligo di restare a casa. Un isolamento che ha avuto un impatto sul benessere mentale dei bambini e dei giovani. Come se non bastasse ci sono i dati condivisi da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, secondo i quali i tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30%. In questi mesi ho studiato a lungo le fragilità dei ragazzi, ho parlato tanto con loro, in incontri on line con le scuole. Si tratta di fragilità dovute ad una iper-rappresentazione di sé che porta il sistema relazionale a diventare sempre più debole, il tutto acuito dalla pandemia che ci ha travolti.
Noi adulti abbiamo il compito di ascoltare i nostri ragazzi e di non sottovalutare nessuna delle loro richieste d’aiuto. Il grande Albert Einstein, sosteneva che: “Non c’è a questo mondo grande scoperta o progresso che tenga, fintanto che ci sarà anche un solo bambino triste”. Allora stiamo attenti alle parole dei nostri figli e ai loro comportamenti perché a volte ci chiedono di essere aiutati, a modo loro, ma noi presi dalla nostra frenetica vita non ce ne accorgiamo.