Quanto è avvenuto in Emilia Romagna nelle scorse settimane ha riaperto la discussione sugli eventi climatici estremi e sulla preparazione a simili catastrofi. Eventi che non dovrebbero essere considerati occasionali e straordinari visto che, come conferma una ricerca dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, “In Italia, dal 2010 ad oggi [maggio 2023] si sono verificati 1.674 eventi estremi, uno ogni tre giorni”. In queste condizioni, parlare di emergenze appare inappropriato.
Tre i problemi mai risolti. Il primo riguarda gli investimenti per mettere in sicurezza le zone a rischio: da molti anni sono ben delineate e individuate da diversi studi, in Italia come in altri paesi. Il secondo, le misure di prevenzione: ad esempio, in Italia, da anni, si parla di una legge contro il consumo di suolo. Ma non è mai diventata realtà. “In questi anni, per le opere di prevenzione sono stati spesi oltre 10 miliardi di euro in modo inefficace. Il più delle volte sono state realizzate opere già superate che hanno risposto solo alla logica dell’intervento difensivo, “puntuale”, che ha provato a risolvere il problema locale senza considerare ciò che poteva accadere a monte o a valle dell’intervento” ha dichiarato il presidente di Legambiente Stefano Ciafani. A confermare le sue affermazioni i dati della banca data del Rendis: “In Emilia-Romagna, risono stati messi in cantiere 529 progetti e opere dal 1999 al 2022 (il 4,7% delle opere totali a livello nazionale) di cui 368 risultano concluse. L’importo totale dei soldi destinati alla prevenzione sono stati 561 milioni ed i lavori ultimati hanno cubato il 45% dell’importo (258 milioni su 561). In Emilia-Romagna 2,7 milioni di persone sono esposte a rischio alluvione (il 62% della popolazione regionale) e circa 87mila persone a rischio frana. Il 57% del territorio è classificato a rischio alluvione media e alta”. Parlare ora di eventi imprevisti è anacronistico.
Il terzo è la capacità di reagire prontamente a questi eventi.
In Italia, come nel resto del mondo, spesso mancano le misure per prevenire e far fronte ad eventi estremi. Eventi che, come si diceva, non sono una novità: si manifestano da decenni. E, ogni volta, i governi anche quelli dei paesi sviluppati (sulla carta) spesso rivelano di non essere pronti a fronteggiarli. A confermarlo è il rapporto “Status of Mortality and Economic Losses due to Weather, Climate and Water Extremes (1970-2021)” pubblicato dalla World meteorological organization (WMO). Il nuovo rapporto non è che l’aggiornamento del precedente Atlas of Mortality and Economic Losses from Weather, Climate and Water Extremes, che analizzava il periodo dal 1970 al 2019, utilizzando i dati del Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED) dell’Emergency Events Database (EM-DAT).
“Tra il 1970 e il 2021, eventi estremi legati a condizioni meteorologiche, climatiche e idriche hanno causato 11.778 disastri segnalati, con poco più di 2 milioni di morti e 4,3 trilioni di dollari di perdite economiche”, si legge nel rapporto. Anzi, in questi anni, la situazione è peggiorata: “Le perdite economiche sono aumentate vertiginosamente”. Anche se “nell’ultimo mezzo secolo il miglioramento degli allarmi precoci e la gestione coordinata dei disastri hanno ridotto drasticamente il bilancio delle vittime umane”. I 22.608 decessi registrati tra il 2020 e il 2021, indicano che, rispetto alla media annuale del decennio precedente, la mortalità è diminuita.
Oltre il 90% dei decessi segnalati in tutto il mondo si sono verificati nei Paesi in via di sviluppo. Tra il 1970 e il 2021, i disastri attribuiti a condizioni meteorologiche, climatiche e idriche estreme che si sono verificati in Africa sono stati 1.839. Avrebbero causato 733.585 morti (per il 95% causati dalla siccità) e 43 miliardi di dollari di danni. Ancora peggiore la situazione in Asia. Qui i 3.612 disastri attribuiti a condizioni meteorologiche, climatiche e idriche estreme avrebbero causato 984.263 morti e 1,4 trilioni di dollari di danni. A volte anche se i danni economici maggiori si verificano nei paesi sviluppati, le conseguenze sociale più gravi si registrano nei paesi meno sviluppati. “Le comunità più vulnerabili purtroppo sopportano il peso maggiore dei rischi meteorologici, climatici e legati all’acqua”, ha dichiarato il segretario generale della Wmo, Petteri Taalas.
Al contrario le perdite economiche sono aumentate (la maggior parte di questi danni sarebbero stati causati dalle tempeste). Sorprendente il fatto che i danni economici più ingenti hanno riguardato soprattutto i paesi ricchi: oltre il 60% delle perdite economiche dovute a disastri meteorologici, climatici o legati all’acqua hanno riguardato paesi sviluppati. Negli USA le perdite ammonterebbero a 1,7 trilioni di dollari, il 39% dei danni economici mondiali dell’ultimo mezzo secolo. In Europa si sarebbero verificati 1.784 disastri che avrebbero causato 166.492 morti (l’8% dei decessi causati da disastri in tutto il mondo) e 562 miliardi di dollari di perdite economiche.
Taalas ha richiamato l’attenzione su una questione spinosa: quella degli allarmi precoci: “In passato, sia il Myanmar che il Bangladesh hanno subito decine e persino centinaia di migliaia di vittime. Grazie agli allarmi precoci e alla gestione dei disastri, questi tassi di mortalità catastrofici sono ora per fortuna storia passata. Gli allarmi precoci salvano vite”.
Inevitabile chiedersi come mai molti paesi sviluppati non abbiano ancora adottato sistemi di allerta precoce efficaci. I sistemi di allerta preventiva sono quei sistemi che monitorano l’avvicinarsi di eventi estremi (tsunami, uragani, ondate di caldo, incendi e altro) e avvisano la popolazione per tempo, permettendo alla popolazione di mettersi in salvo. L’esperienza dimostra che questi sistemi sono efficaci e che il costo a volte elevato è ammortizzato dalla riduzione dei danni. Secondo alcuni studi il ritorno in termini di danni evitati sarebbe addirittura dieci volte l’investimento iniziale.
É per questo che le Nazioni Unite si sono poste un obiettivo ambizioso. Entro il 2027, ogni singola persona sulla Terra dovrà essere raggiungibile e tutelata da sistemi di allerta preventiva. Purtroppo ancora oggi questo traguardo appare molto lontano: solo metà degli stati li ha adottati. Ad essere in ritardo sono soprattutto i piccoli stati insulari in via di sviluppo, le economie meno sviluppate e, in generale, i paesi africani. Ma non mancano esempi di scarsa efficienza anche nei paesi sviluppati.