Alla fine, dopo i veti incrociati prima degli USA e poi di Russia e Cina, il Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni Unite ha approvato (con 14 voti a favore e un astenuto: gli USA) la delibera 2728 che chiede “un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi” e “l’urgente necessità di espandere il flusso” di aiuti a Gaza”. Questo basterà a porre fine ai bombardamenti e all’eccidio di decine di migliaia di bambini? Probabilmente NO. Per diversi motivi. Il primo passo, per capire il valore della decisione adottata dal CdS bisogna leggerla a fondo. Andare alla fonte. Fatto questo è bene leggere cosa prevedono gli atti istitutivi delle NU.
L’obbligo per uno Stato membro delle Nazioni Unite di rispettare una delibera del Consiglio di Sicurezza è previsto dall’art. 25 della Carta istitutiva. Secondo il capitolo VI della Carta tra gli organi principali dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (dove si parla di Sicurezza collettiva), però, il Consiglio di Sicurezza avrebbe solo poteri di natura conciliativa. In altre parole, di fare delle raccomandazioni alle parti di una controversia che potrebbe mettere in pericolo la pace o la sicurezza internazionali (Controversia internazionale). Il capitolo successivo dello stesso documento, però, il capitolo VII ribadisce quanto detto dall’art. 25 e addirittura conferisce al Consiglio di Sicurezza poteri di natura coercitiva. In altre parole, il potere dopo aver accertato la reale esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione (art. 39 della Carta), di adottare misure preventive (art. 40) o misure dirette contro gli Stati trasgressori. Sia di natura economica (art. 41 della Carta) sia comportanti l’uso della forza militare (art. 42 della Carta).
La discussione dovrebbe essere chiusa quindi, almeno sulla “Carta” (in tutti i sensi): Israele “deve” rispettare la decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e cessare i bombardamenti. La realtà è completamente diversa. A dimostrarlo il fatto che anche all’interno del CdS pare non esserci uniformità di vedute su quali potrebbero essere le conseguenze della risoluzione approvata. Il portavoce USA, Matthew Miller, e la delegata al CdS, Linda Thomas-Greenfield, hanno parlato di un testo “non vincolante”. Lo stesso ha fatto il rappresentante della Corea del Sud, sostenendo che la risoluzione non sarebbe vincolante perché non utilizza il verbo “decidere” e perché non è stato citato il Capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite. Un apparente sofismo ma che in questo caso potrebbe avere un peso rilevante. Già in passato, le Nazioni Unite hanno dovuto spiegare cosa significano e cosa comportano le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Da un lato, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha “un potere quasi illimitato in caso di violazioni della pace” e “le sue risoluzioni sono vincolanti per tutti gli Stati membri”. In breve, se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso qualcosa – imporre sanzioni a un Paese o imporre un cessate il fuoco in una zona di conflitto – “l’ordine deve essere eseguito. Nessuno può ignorare la volontà collettiva del P5, che di fatto determina le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU”. Dall’altro, le stesse Nazioni Unite riconoscono che “spesso è difficile arrivare ad una tale volontà collettiva. La questione della sovranità nazionale è sempre stata quella più importante”.
Nello stesso documento si sottolinea l’importanza dei termini utilizzati: il termine “risoluzione” usato e abusato da molti media, in realtà non comparirebbe nel testo della Carta delle Nazioni Unite. Le formulazioni adottate sono altre, come “decisione” o “raccomandazione”. Termini che implicano l’adozione di misure ma non specificano il metodo da utilizzare. Un’affermazione che sembrerebbe essere in contraddizione con quanto affermato nella pagina precedente dello stesso documento. Quanto alla mancata citazione del capitolo VII nel testo approvato nei giorni scorsi, più volte ci si è chiesti se questa è indispensabile per rendere vincolante un documento approvato dal Consiglio di Sicurezza: nel 1971, la Corte Internazionale di Giustizia, il più importante tribunale delle Nazioni Unite, ribadì che ciò che rende vincolanti le risoluzioni è l’articolo 25, (che non fa parte del Capitolo VII). Quindi, citare o meno il Capitolo VII non cambia la natura di una risoluzione: è sempre e comunque vincolante.
Purtroppo, sebbene vincolante, l’effetto del documento appena approvato dal CdS delle Nazioni Unite sarà molto blando. Il Consiglio di Sicurezza […] ha chiesto il cessate il fuoco immediato per il mese del Ramadan. Ma il periodo del Ramadan è quasi concluso: termina il 9 aprile. E Israele potrà riprendere a bombardare civili nella Striscia di Gaza (ammesso che decida di sospendere i bombardamenti) senza il timore che qualcuno possa accusarlo di aver violato quanto deciso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un dettaglio questo che non può essere sfuggito a chi ha redatto la determina e a chi l’ha valutata prima di votarla. Invece pare che l’unico ad essersene accorto sia stato Riyad Mansour, osservatore permanente per lo Stato di Palestina, il quale ha sottolineato che ci sono voluti sei mesi, con più di 100.000 palestinesi uccisi e mutilati, per chiedere un cessate il fuoco. Poi, riferendosi ai palestinesi nella Striscia di Gaza, Mansour ha detto: “Il loro calvario deve finire, e deve finire immediatamente”.
Ma non basta. A giuristi di cotanta fama non sarebbe dovuto sfuggire un altro particolare. Nella risoluzione approvata nei giorni scorsi, si parla di “rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas”. Il Consiglio di Sicurezza ha chiesto “che le parti rispettino gli obblighi loro derivanti dal diritto internazionale nei confronti di tutte le persone detenute”. Ma Hamas non è uno Stato: è un gruppo terrorista. E in quanto tale, non è obbligato a rispettare le leggi di nessuno Stato. Figurarsi le decisioni del CdS delle Nazioni Unite. Come ha ribadito Riyad Mansour, a Gaza, “lo stato di diritto internazionale è stato distrutto dai crimini di Israele. Invece di attuare un ordine obbligatorio della Corte Internazionale di Giustizia, Israele ha raddoppiato le sue azioni”.
La realtà forse, è proprio questa: nonostante le tante, belle parole, la nuova decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non fermerà il genocidio dei palestinesi nella Striscia di Gaza.