Ajay Banga sarà il nuovo presidente della Banca Mondiale, l’istituto di credito internazionale con sede a Washington che, tra le altre cose, si occupa di gestire i prestiti di denaro ai Paesi e pianificare il saldo del debito. Dopo la sua candidatura (senza nessun concorrente) a febbraio e la sua conferma a marzo, dovrebbe entrare in servizio a giugno prossimo. A prima vista dovrebbe trattarsi di un cambiamento storico: dalla sua costituzione, i presidenti della Banca Mondiale sono stati sempre americani. Uniche eccezioni l’australiano James Wolfensohn (che prima di assume l’incarico prese la cittadinanza americana) e Jim Yong Kim (nato in Corea del Sud ma naturalizzato americano sin da giovane). Più di recente, la bulgara Kristalina Georgieva, ex vicepresidente della Commissione Europea. Ma rimase in carica solo due mesi, da febbraio ad aprile 2019. Per il resto, a capo della Banca Mondiale c’è sempre stata una persona indicata dalla Casa Bianca. Sempre. Nonostante la Banca Mondiale sia una istituzione sovranazionale, gli USA hanno sempre fatto valere il proprio status di soci di maggioranza del World Bank Group. Hanno sempre esercitato forti pressioni sulla sua gestione e sulle nomine a cominciare dai livelli più alti. A volte anche a costo di errori pacchiani: come nel caso di David Malpass, voluto a tutti i costi da Donald Trump ma costretto a dimettersi prima della scadenza del proprio mandato, ufficialmente per via della sua inadeguatezza a far fronte alle crisi del mondo. Già sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti per gli affari internazionali durane l’amministrazione Trump e da sempre critico nei confronti delle istituzioni multilaterali, Malpass rilasciò dichiarazioni poco adeguate al ruolo che ricopriva al vertice della Banca Mondiale. Proprio in un momento in cui ci si aspettava dagli Stati Uniti un considerevole aumento dei fondi da concedere come prestiti a paesi in via di sviluppo.
Anche per Banga le pressioni USA si sono fatte sentire: in un comunicato la Casa Bianca ha detto di averlo “nominato”. Ajay Banga è stato presentato dagli USA come “leader globale nella tecnologia, nei dati, nei servizi finanziari e nell’innovazione per l’inclusione”. È vicepresidente del colosso General Atlantic, una società di investimenti con sede a New York. Per anni è stato amministratore delegato di Mastercard, che domina i circuiti di pagamento (insieme a Visa). Notevole la sua presenza anche in Italia: è presidente di Exor la holding della famiglia Elkann (Banga è presidente ma amministratore delegato rimane John Elkann).
Ad alcuni, però, la decisione degli USA di “nominare” Banga non è piaciuta. In una lettera aperta pubblicata su Eurodad, 53 organizzazioni non governative hanno fortemente criticato questa scelta. Eurodad è una rete di 60 organizzazioni della società civile (OSC) provenienti da 28 paesi europei che si occupano di questioni legate al debito, di promozione dello sviluppo e di riduzione della povertà. Da molti anni la Banca Mondiale cerca di promuovere la sua cooperazione con le ONG a cominciare dalla definizione degli obiettivi: il ruolo del comitato ONG – Banca mondiale, dovrebbe definire strumenti concreti per consentire alla Banca e alle ONG di lavorare insieme in sinergia. Ciò rende il parere delle ONG tutt’altro che secondario.
Nella loro nota pubblicata su Eurodad, le organizzazioni non governative contrarie alla nomina di Banga a capo della Banca Mondiale hanno presentato un “contro-curriculum” nel quale il futuro leader della Banca Mondiale viene definito “veterano di Wall Street” solo in virtù del proprio ruolo di leader di società responsabili di finanziare progetti che coinvolgono i combustibili fossili. Nella lettera, inoltre, si afferma che “senza comprovata esperienza di sviluppo, Banga non ha la credibilità per guidare la Banca mondiale nel suo obiettivo dichiarato di promuovere lo sviluppo sostenibile e sradicare la povertà, o nell’affrontare i diritti economici e sociali delle comunità più vulnerabili, per non parlare del cambiamento climatico”. Secondo le ONG, “il profilo di questo candidato non potrebbe essere più lontano da ciò di cui il mondo ha bisogno nell’attuale contesto di crisi e di emergenze”.
L’atteggiamento critico di Eurodad nei confronti della Banca Mondiale non è una novità. Alla fine dello scorso anno Eurodad aveva pubblicato una lettera aperta nella quale accusava IFI, Banca Mondiale e FMI di continuare a “non proteggere i servizi pubblici, nonostante la loro retorica sostenga il contrario”. In particolare il gruppo di ONG chiedeva un “nuovo approccio e una rottura con gli errori del passato attraverso l’approccio ai servizi pubblici basato sui diritti, il che significa che devono sostenere senza ambiguità servizi forti, forniti pubblicamente, finanziati pubblicamente, sensibili alla dimensione di genere e controllati democraticamente che forniscano accesso universale e copertura universale”.
Ora la nuova lettera potrebbe avere effetti molto più gravi: le ONG potrebbero aver risvegliato dal letargo paesi (tra i quali Russia e Cina) che da tempo accusano gli USA di esercitare una controllo eccessivo su alcune organizzazioni internazionali (anni fa, durante la presidenza Trump, gli USA si dimisero da una delle organizzazioni delle NU come risposta alla decisione di non nominare presidente il loro candidato (peraltro tecnicamente ineleggibile).
Secondo le ONG, per poter svolgere il proprio ruolo, la Banca Mondiale dovrebbe ricorrere a “un’elezione democratica, meritocratica e trasparente, ponendo fine all’egemonia americana”. “Il mondo ha bisogno di un presidente della Banca Mondiale che dia la priorità al finanziamento pubblico per gli investimenti pubblici e i servizi pubblici, e che sostenga la diversificazione economica. Che abbia insomma la giusta esperienza e un background che gli permetta di capire come muoversi e cos’è meglio per i paesi in difficoltà. Una persona che, magari, sia nata proprio in certi contesti”. Non un presidente “made in USA”.