Il modo di fare giornalismo ha subito molte mutazioni nel corso del tempo. Alcune connesse ai mezzi attraverso cui si veicola l’informazione, altre derivanti dal cambiamento della società, dal modo in cui si forma l’opinione pubblica.
L’espressione “if true” (se è vero), analogo del nostro condizionale, diventa una precauzione sufficiente per autorizzare la pubblicazione di ogni sorta di informazione. Walter Lippmann, giornalista e politologo, ha studiato il condizionamento operato dai mass media sui pregiudizi mentali. Infatti, secondo il suo punto di vista, la funzione della notizia è di segnalare un fatto, la funzione della verità è di portare alla luce i fatti nascosti, di metterli in relazione tra loro e di dare un quadro della realtà che consenta agli uomini di agire. Un’indiscrezione non è un fatto, che la verità può emergere come non emergere da un’indiscrezione, ma deve essere corroborata da fatti. Il punto cruciale della questione non è infatti quale evoluzione ha avuto il flusso delle notizie in funzione della nascita di nuovi media, ma se e come il ruolo del giornalismo ha superato i limiti che già Lippmann segnalava all’inizio del ventesimo secolo o se quei limiti persistono a discapito dell’opportunità offerta dell’incremento delle opzioni informative. Il sociologo Manuel Castell sostiene che i media sono lo spazio dove si costruisce il potere, risulterà evidente che nella società in rete i media, sempre più commerciali, cercheranno di conquistare un pubblico e utilizzeranno anche le notizie per costruire la propria audience. La questione su cosa si intenda oggi per giornalismo nell’era della società in rete, dove tutti siamo nodi e comunichiamo, e dove il concetto di autocomunicazione di massa è divenuto realtà sociale diffusa, resta il punto nodale.
Al giornalista è attribuito il ruolo di mediatore, e questa connotazione tipica non avrebbe dovuto cambiare nel tempo. Nel corretto esercizio di questa funzione si esplica il fattore credibilità. Purtroppo, il giornalismo italiano sembra rientrare nella categoria degli esclusi dalla società in rete e aver perso la propria capacità di mediare tra individui e fatti, per la propria incapacità a ricercare i fatti e a rappresentarli. L’avvento di Internet e lo sviluppo di nuove piattaforme tecnologiche, dal satellitare, al digitale, ai dispositivi mobili di comunicazione, uniti alla nascita dei social network e social media ha cambiato per sempre il nostro modo di accedere alle informazioni. La carta stampata è senz’altro il media che ha sofferto di più. E seppure la televisione ancora sembra tenere rispetto ad altri media, la tendenza è comunque discendente rispetto alle nuove piattaforme. Oggi, la diffusione dei modelli dell’Intelligenza Artificiale ci portano a pensare che alcune figure professionali verranno sostituite. Gli esperti sono convinti che l’Intelligenza Artificiale non sostituirà il giornalista, ma potrebbe diventare uno strumento interessante per puntare ad una vera e propria rivoluzione.
Qualche giorno fa, il portale giornalistitalia.it ha riportato le dichiarazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria, Alberto Barachini che, al centro “Esperienza Europa David Sassoli” di Roma in occasione della presentazione del libro “I (social) media che vorrei”, edito da Franco Angeli e curato dal professor Ruben Razzante, ha dichiarato: “Credo che sia opportuno ragionare su cosa sia oggi l’Intelligenza Artificiale e su cosa possa rappresentare nel futuro dell’editoria e dell’informazione. Sappiamo ancora troppo poco di quelle che potranno essere in futuro le dinamiche nell’ambito dell’informazione e dobbiamo, per questo, essere vigili. Sicuramente l’Intelligenza Artificiale ha un grande futuro di sviluppo in ambito medico, biomedico e ingegneristico. Dobbiamo porci il problema di come si possa utilizzare nel campo dell’informazione. Io sono convinto che il finanziamento pubblico all’informazione serva ad aumentare le possibilità di sopravvivenza del settore nel futuro. Credo anche che ogni innovazione possa avere usi virtuosi e usi non virtuosi”.
Il sottosegretario del Governo Meloni ha evidenziato che “l’obiettivo è quello di rendere l’utilizzo eventuale dell’Intelligenza Artificiale non sostitutivo del lavoro giornalistico, ma una opportunità per le realtà editoriali di migliorare la ricerca archivistica, di facilitare la produzione di news. Ovviamente resta e deve restare base del lavoro giornalistico la capacità umana di cercare e selezionare le notizie, di raccontare e filtrarle, gestendole con l’esperienza che solo la professionalità del giornalista garantisce. A settembre apriremo un confronto con le organizzazioni sindacali che ne hanno fatto richiesta sull’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nel settore dell’informazione e sulle conseguenze che l’IA può avere rispetto al diritto d’autore e al copyright. Su queste tematiche siamo direttamente coinvolti nel processo di confronto in ambito europeo sia sull’evoluzione della protezione del diritto d’autore, sia sull’uso dell’Intelligenza artificiale. Tutte queste tematiche saranno oggetto di prossime campagne di comunicazione curate dal dipartimento per l’Informazione e l’Editoria e tra queste la prima sarà quella rivolta a spiegare ai cittadini italiani le nuove norme contro la pirateria e per la protezione dei diritti audiovisivi. Nella convinzione che l’educazione e la formazione digitale siano cruciali per aumentare la necessaria consapevolezza sull’uso delle nuove tecnologie avvieremo anche collaborazioni con istituti specializzati e con le stesse piattaforme”. (agenzia nova)
A questo punto è necessario indagare su quale dovrebbe essere il ruolo del giornalista nella società 3.0, con lo sguardo rivolto in particolare alla situazione italiana. Il giornalista diventa egli stesso un osservatore del mondo web, del Metaverso, dell’Intelligenza Artificiale e deve essere un cronista interattivo e globale. Cosi come ha scritto Marco Pratellesi, giornalista e scrittore, il profilo professionale di un giornalista si deve saper distinguere in intelligenza, velocità, cultura, profondità. La credibilità, l’attendibilità, la qualità, la deontologia sono valori che fanno la vera differenza. Esiste una sola via, quella di prendere atto del cambiamento di contesto, fare lo sforzo di comprendere il cambiamento, avere velocità, cultura e profondità. Il giornalismo deve reinventarsi perché la capacità di far circolare informazioni, vere ma anche false, dei social media ha creato una circolazione parallela, anche in Italia delle notizie e anche di commenti che dalla rete arrivano alle radio, le tv e i giornali quotidiani o periodici.
È necessario unire le energie per dare un nuovo slancio alla professione, fornendo strumenti di comprensione dei nuovi universi virtuali del loro contesto e delle loro dinamiche. Le nuove tecnologie possono donarci grandi risultati, ma serve una corretta e costante formazione per raggiungere importanti obiettivi.