Nel 2022, il consumo mondiale di carbone ha raggiunto un nuovo record storico. I dati dell’ultimo rapporto IEA parlano di una percentuale di utilizzo di carbone per la produzione di energia elettrica che dovrebbe rimanere su livelli simili nei prossimi anni. Secondo alcune stime, dal 2022 al 2027, il ricorso a energie rinnovabili aumenterà di 2.400 GW (circa). Nello stesso periodo, però, aumenterà anche l’utilizzo del carbone per produrre energia elettrica. Principali responsabili di tutto questo, le politiche energetiche dei tre maggiori consumatori di carbone al mondo: Cina, Stati Uniti d’America e India. In barba alle promesse verdi degli ultimi anni, estrazione, commercio e utilizzo del carbone per produrre energia elettrica sono elevatissimi. E resteranno tali ancora per molti anni. Le conseguenze di tutto questo sono evidenti: le emissioni di gas serra continuano a far registrare nuovi record ogni anno. È l’ennesima dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che le politiche adottate (o imposte) per limitare i cambiamenti climatici sono assolutamente insufficienti. Nei prossimi mesi, gli esperti del clima e i leader mondiali si incontreranno a Bonn per preparare il terreno per la grande conferenza sul clima COP28 negli Emirati Arabi Uniti che si terrà a dicembre (non senza polemiche). Ma restano molti dubbi sulle possibili volontà di cambiare le cose (aver deciso di realizzare i lavori della COP28 in uno dei paesi maggiori produttori di combustibili fossili dovrebbe essere sufficiente a capire cosa avverrà). Purtroppo, le decisioni prese dai politici hanno un impatto ritardato sull’aumento delle temperature e sul grado e sulla gravità degli impatti che ne conseguono. I tassi di riscaldamento a lungo termine sono attualmente ai massimi a causa dei livelli di emissioni di gas serra più alti mai registrati. E le conseguenze per la popolazione saranno sempre più pesanti. Continuare a utilizzare fonti energetiche come il carbone non farà che peggiorare la situazione.
Introduzione:
Oggi si parla spesso di energia verde, di ricorso al solare fotovoltaico e all’eolico per ridurre le emissioni di CO2, di cambiamento delle scelte per la produzione di energia elettrica, di rivoluzione nella scelta delle fonti energetiche. Questo non è del tutto è vero. Le stime prevedono che, dal 2022 al 2027, il ricorso a energie rinnovabili aumenterà di quasi 2.400 GW, pari a tutta l’energia elettrica prodotta oggi in Cina. Un aumento dell’85% rispetto ai cinque anni precedenti e quasi del 30% di più rispetto a quanto previsto nel rapporto dello scorso anno. A guidare questo cambiamento dovrebbero essere Cina, Unione Europea, Stati Uniti d’America e India. Al tempo stesso, però, proprio in quei paesi, il ricorso al carbone per produrre energia elettrica continuerà ad essere molto maggiore. Solo pochi mesi fa, a dicembre 2022, il consumo mondiale di carbone ha raggiunto un nuovo massimo storico. A confermarlo Coal 2022, il rapporto annuale di mercato dell’IEA: nel 2022, il consumo globale di carbone è aumentato dell’1,2%, superando per la prima volta 8 miliardi di tonnellate. Il precedente record risaliva al 2013. Ma non basta: i dati dell’ultimo rapporto IEA parlano di un consumo mondiale di carbone che dovrebbe rimanere su questi livelli per i prossimi anni (1).
A causare questo aumento le politiche energetiche dei tre maggiori consumatori di carbone al mondo: Cina, Stati Uniti d’America e India. Anche in Europa, però, pesantemente colpita dalla temporanea riduzione dei flussi di gas naturale dalla Russia, il consumo di carbone è aumentato (e per il secondo anno consecutivo). Le previsioni dicono che la domanda europea di carbone tornerà ai livelli del 2020 ma non prima del 2025.
“Il mondo è vicino a un picco nell’uso di combustibili fossili, con il carbone destinato a essere il primo a diminuire, ma non ci siamo ancora”, ha dichiarato Keisuke Sadamori, direttore dei mercati energetici e della sicurezza dell’IEA. “La domanda di carbone è “ostinata” e probabilmente raggiungerà il massimo storico quest’anno [2022], spingendo verso l’alto le emissioni globali. Allo stesso tempo, ci sono molti segnali che la crisi odierna sta accelerando la diffusione delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e delle pompe di calore – e questo modererà la domanda di carbone nei prossimi anni. Le politiche governative saranno fondamentali per garantire un percorso sicuro e sostenibile”.
In barba alle promesse verdi di molti governi, estrazione, commercio e utilizzo del carbone per produrre energia elettrica restano preoccupanti.
Da dove viene tutto questo carbone
Se si consuma così tanto carbone per la produzione di energia elettrica è anche perché se ne estrae molto. Nel 2022, i tre maggiori produttori mondiali di carbone – Cina, India e Indonesia – hanno raggiunto nuovi record. Anche in Vietnam la produzione di carbone è aumentata: di ben 8 Mt fino a raggiungere 51 Mt. Tra i grandi fornitori di carbone, solo l’Indonesia ha fatto registrare una produzione di carbone sostanzialmente immutata. Diversi i motivi: condizioni meteorologiche umide, in particolare nella regione del Kalimantan, problemi infrastrutturali e mancanza di attrezzature minerarie che si sono aggiunte al forte aumento delle royalties. A questo si aggiunge che, nell’ultimo periodo, il governo indonesiano ha deciso di utilizzare più carbone per uso interno. La conseguenza è stata un calo della disponibilità dei piccoli estrattori di estrarre o espandere le estrazioni di carbone. Una minore produzione in parte compensata dai maggiori consumi interni, soprattutto nel settore energetico. Nonostante tutto ciò, alla fine, nel 2021 anche in Indonesia la produzione di carbone è cresciuta dello 0,6%, dopo il crollo del 2020 causato dalla pandemia.
A diminuire considerevolmente è stata la produzione russa. Nel 2022, la produzione di carbone in Russia è scesa del 7,4%. Conseguenza in parte dovuta al divieto dell’UE di acquistare carbone russo dopo aprile 2022 e al divieto di importarlo dopo il 10 agosto dello stesso anno. Un calo compensato in parte dall’aumento della vendita a Cina e India. A seguito della riduzione della domanda dal Giappone e da Taipei, anche le esportazioni verso l’Asia sono diminuite nella prima metà del 2022. Particolarmente colpita la regione di Kuzbass che ha registrato un calo del 9% su base annua da gennaio ad agosto 2022.
Il “caso” CINA
Da oltre un secolo, i paesi sviluppati utilizzano combustibili fossili per alimentare la loro industrializzazione. Uno studio realizzato da Carbon Brief nel 2021 e riguardante il contributo complessivo dei singoli paesi alle emissioni causate da combustibili fossili (ma anche dall’utilizzo del suolo e dalla deforestazione), ha dimostrato che, dal 1850 a oggi, i maggiori consumatori di carbone sono stati gli Stati Uniti d’America. Solo loro sarebbero responsabili del 20% delle emissioni antropiche globali di CO2. Dietro di loro Cina, Russia, Brasile, Indonesia e Germania. L’India occupa il settimo posto (2).
Nel 2015, l’accordo di Parigi siglato dai leader mondiali alla Conferenza delle Parti prevedeva di concedere ai paesi in via di sviluppo più tempo per ridurre il picco delle emissioni di CO2 (3). Oggi, Cina e India sono rispettivamente la seconda (se non la prima) e la sesta economia più grande del mondo. E sono entrambi in espansione dal punto di vista economico. In cambio, però, sono cresciuti esponenzialmente i rispettivi consumi di energia. La loro crescita è stata possibile anche grazie all’utilizzo di enormi quantità di carbone per produrre energia elettrica. “L’Asia domina il mercato globale del carbone, con Cina e India che rappresentano i due terzi della domanda complessiva. Queste due economie, dipendenti dal carbone e con una popolazione combinata di quasi tre miliardi di persone, detengono la chiave per la futura domanda di carbone”, ha dichiarato Keisuke Sadamori, direttore dei mercati energetici e della sicurezza presso l’AIE. “Gli impegni per raggiungere le emissioni nette zero fatti da molti paesi, tra cui Cina e India, dovrebbero avere implicazioni molto forti per il carbone, ma queste non sono ancora visibili nelle nostre previsioni a breve termine, riflettendo il grande divario tra ambizioni e azione”.
Cina e India hanno entrambi fissato obiettivi netti “zero” per le emissioni di CO2. Ad aprile, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che nel paese le emissioni pro capite sono solo la metà delle emissioni pro capite negli Stati Uniti (4), e che la Cina diventerà carbon neutral entro il 2060 (5). L’altra faccia della medaglia è che, oggi, la Cina è il maggior consumatore di carbone al mondo. Per quanto riguarda il carbone (di cui è anche grande produttore, consumatore e importatore a livello mondiale), secondo l’AIE, la Cina comincerà a ridurne l’uso solo a partire dal 2026. A settembre, Xi ha anche annunciato che la Cina non finanzierà più progetti di carbone all’estero (6). Ma questo potrebbe non bastare. Nel 14esimo piano quinquennale, che dovrebbe coprire il periodo fino al 2025, il governo ha ribadito che oltre la metà dell’aumento della domanda di energia dovrebbe essere coperta da grazie al ricorso a fonti rinnovabili. In effetti, dal 2010 al 2021, la produzione di energia da fonti energetiche rinnovabili (principalmente da energia eolica e solare) è cresciuta considerevolmente: con un tasso medio annuo del 19,2%. Ma questo non deve trarre in inganno: lo scorso anno, lo stesso Xi ha dichiarato ufficialmente che il carbone rimarrà un pilastro del mix energetico cinese. Una situazione, ha detto, che “è difficile cambiare a breve termine”. I dati forniti da Greenpeace rivelano che, in Cina, tra gennaio e marzo di quest’anno sono stati approvati almeno 20,45 Gigawatt di energia a carbone, rispetto agli 8,63 GW dello stesso periodo del 2022.
Diversi i motivi di questa scelta. Primo fra tutti la carenza di altre risorse. Nel 2021, la Cina ha subito enormi interruzioni di corrente che hanno portato ad un drammatico cambiamento nelle priorità energetiche del PCC. A settembre, il prezzo dell’elettricità è salito alle stelle quando le fabbriche hanno riaperto per soddisfare la domanda globale mentre il resto del mondo era ancora rallentato dalla pandemia di Covid-19. Il governo ha cercato di calmierare i prezzi e molte centrali elettriche hanno deciso di ridurre la produzione piuttosto che operare in perdita.
Oggi, la Cina dipende dal carbone per oltre la metà del suo consumo energetico. E la retorica del governo si è spostata dalla riduzione del carbone alla priorità della sicurezza energetica: si fa strada il “mito che se costruisci più centrali elettriche, ciò porterà più sicurezza energetica”, ha detto Xie Wenwen,un attivista per il clima e l’energia di Greenpeace. Gli ambientalisti sostengono che, per soddisfare il crescente fabbisogno energetico della Cina, non sarebbe necessario più carbone, ma una rete più flessibile. Il recente rapporto pubblicato dal Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita, conferma che le tecnologie per lo stoccaggio di energia pulita “non sono ancora abbastanza mature per essere implementate su scala considerata essenziale” per i piani della Cina di espandere l’uso di energie rinnovabili (7). Ma c’è un altro problema che il governo di Pechino non è ancora riuscito a risolvere. Oltre il 75% delle risorse di carbone, eolico, solare e idroelettrico della Cina si trovano nella parte occidentale del paese. Per contro, il 70% del consumo di energia avviene nella Cina centrale e orientale: cinque province sulla costa orientale sono responsabili di quasi i due quinti del consumo totale. E trasportare energia non è mai conveniente.
In INDIA intanto…
Più complessa la situazione in India. Dal 2016, l’India è il terzo consumatore di energia al mondo.
Nel 2023, l’India è diventato il paese più popolato del pianeta. La popolazione indiana, calcolata attraverso una serie di fattori (tra cui i dati del censimento e quelli relativi a natalità e mortalità), sarebbe di 1.425.775.850 abitanti, pari a 142,86 crore (unità di misura demografica che indica 10 milioni di abitanti) contro i 142,57 crore della Cina. Secondo le stime delle Nazioni Unite, si tratta del cambiamento più significativo nella demografia globale da quando sono iniziate le registrazioni. È la prima volta dal 1950, ovvero da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a tenere registri sulla popolazione globale, che la Cina viene superata da un altro paese (8) .
Aumento della popolazione e sviluppo economico che devono fare i conti con un sistema elettrico obsoleto, che rischia di collassare tra blackout, disservizi e infrastrutture inadeguate. Pochi giorni prima della COP26 di Parigi, Bhupender Yadav, ministro per l’Ambiente, le foreste e i cambiamenti climatici, affermò che l’obiettivo emissioni zero stabilito da molti Paesi non poteva essere considerato come la soluzione alla crisi del clima (9). Una dichiarazione che ha fatto sì che molti rimanessero sorpresi quando il primo ministro Narendra Modi ha diffuso i dati relativi all’impegno dell’India per il raggiungimento della neutralità carbonica che dovrebbe essere raggiunta nel 2070, dieci anni dopo la Cina e venti dopo gli Stati Uniti e l’Unione europea. Modi ha parlato di quattro obiettivi da perseguire addirittura entro il 2030: raggiungere i 500 Gigawatt (GW) di fonti rinnovabili; utilizzare fonti non fossili per soddisfare il 50% del fabbisogno energetico del Paese; diminuire di un miliardo di tonnellate le emissioni; ridurre del 45% la carbon intensity della propria economia, ovvero le emissioni in vari settori economici, ma senza concentrarsi esclusivamente sulla riduzione delle emissioni di CO2 (10).
Tra le sfide che oggi l’India si trova ad affrontare ci sono produrre più energia e ridurre l’inquinamento atmosferico. Ma, al tempo stesso, garantire l’accesso all’elettricità a 300 milioni di persone che ne sono ancora sprovviste, soprattutto nelle zone rurali. Nuova Delhi contava di arrivare a 175 GW di potenza installata prodotta da fonti rinnovabili entro il 2022, con un incremento medio annuo del 26%. In realtà non è riuscita ad andare oltre i 40 GW (circa). Il governo centrale ora si è concentrato sulla generazione distribuita e sull’utilizzo delle micro-reti e dei sistemi solari domestici o SHS, solar home systems, con cui pensa di elettrificare oltre 18.000 villaggi. A breve, il governo di Narendra Modi dovrebbe anche lanciare un programma di sussidi e incentivi per creare una filiera industriale indiana di fabbricazione di moduli fotovoltaici.
Nel frattempo, però, esattamente come in Cina, anche in India si continueranno ad utilizzare i combustibili fossili. Secondo i dati ufficiali del ministero dell’energia, il 70% del mix elettrico è costituito da carbone, gas e petrolio. Ed è il carbone la fonte predominante con 187 GW di capacità installata, circa il 61% del totale. Questo nonostante considerevoli investimenti: nel 2015, la spesa per grandi impianti verdi ha superato i dieci miliardi di dollari. Ma per raggiungere l’obiettivo di altri 135 GW di potenza entro il 2023, ne servirebbero almeno altri cento miliardi. Intanto, l’India continua a investire anche nel carbone per soddisfare il fabbisogno energetico. Secondo un report di Bloomberg, la domanda di energia elettrica dovrebbe avere un picco di 5.000 Twh tra poco più di trent’anni. Più del quadruplo del valore registrato nel 2015. Per soddisfare questa domanda di energia elettrica, le rinnovabili potrebbero non bastare. Il carbone continuerà ad avere un ruolo rilevante e le emissioni di CO2 continueranno ad aumentare fino a tre miliardi di tonnellate l’anno.
[Fig. 1. La sfida energetica dell’India tra carbone e rinnovabili | QualEnergia.it (11)]
Anche in India, come in Cina, esiste il problema di una eccessiva concentrazione e errata dislocazione degli impianti e della carenza di moderne infrastrutture per il trasporto dell’energia elettrica. In mancanza di linee di trasmissione e di distribuzione efficienti ed efficaci, una parte considerevole dell’energia elettrica prodotta viene sprecata.
Secondo i dati del Global energy monitor, l’India è il secondo paese al mondo, dopo la Cina e subito prima degli Stati Uniti, per numero di centrali a carbone: sono 281 quelle in attività, 28 quelle in costruzione e 23 in fase di progettazione. (12) A inizio ottobre 2021, il Ministero del Carbone ha annunciato di voler raggiungere il target di un miliardo di tonnellate prodotte entro il 2024 (13) per garantire la domanda energetica del Paese a seguito anche del verificarsi di numerosi black out negli ultimi mesi.
Le conseguenze di questo stato di cose sono facilmente immaginabili: nel 2020, nove delle dieci città più inquinate al mondo si trovavano in India. (14) A metà novembre 2020, il governo indiano è stato costretto ad imporre il lockdown nella città di New Delhi e in alcuni degli stati circostanti: si sono fermate le attività edilizie (ad eccezione di quelle riguardanti le infrastrutture e la difesa nazionale), sei centrali a carbone su undici sono state temporaneamente chiuse e lavoratori e studenti sono stati invitati a rimanere a casa. Livelli elevatissimi di inquinamento dell’aria hanno pesanti ripercussioni sulla salute della popolazione. Nel 2019, sono state 1,7 milioni le persone morte prematuramente (15). Notevoli le conseguenze anche sull’economia del paese: secondo le stime della Banca mondiale, nel 2017 il costo della forza lavoro persa a causa delle morti per inquinamento è stato pari allo 0.3-0.9% del totale del PIL nazionale.
Altro aspetto non secondario, la disponibilità del carbone come fonte energetica: l’India è il terzo paese al mondo per produzione di carbone. Ospita sul proprio territorio più del 7% delle riserve mondiali accertate: rilevanti quantità di carbone sono presenti soprattutto nel Bihar e nel Bengala Occidentale. Questo e la vicinanza di ricchi giacimenti di ferro hanno favorito il sorgere di una potente industria siderurgica nella valle del Dāmodar, conosciuta come “Ruhr indiana”. La India Coal Limited, il gigante statale della produzione del carbone, è la principale azienda produttrice di carbone al mondo. Importante anche il ruolo geopolitico e sociale del carbone. Estrazione e trattamento del carbone danno lavoro a 270mila persone, ma si stima che siano milioni gli indiani che lavorano nell’indotto (16). La chiusura delle centrali a carbone che oggi si concentrano negli stati orientali, potrebbe avere pesanti ripercussioni su tutto il territorio. Da un lato è vero che, in India, l’apertura di impianti di energia rinnovabili nelle aree occidentali e meridionali del paese potrebbe offrire opportunità lavorative a migliaia di persone e almeno in parte compensare i posti di lavoro del carbone persi. Dall’altro è altrettanto vero che questo richiederebbe un lavoro di riqualificazione della forza lavoro non indifferente e uno spostamento di centinaia di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie.
Interessante notare che, pur potendo produrre, teoricamente, carbone sufficiente a garantire il 100% del fabbisogno nazionale, la India Coal Limited non riesce a soddisfare la domanda interna. Ciò sarebbe dovuto, in parte, perché è vincolata da politiche imposte dal governo centrale in materia di tutela ambientale. Dall’altra, deriverebbe dalla inefficienza produttiva e da una rete di distribuzione insufficiente. Numerose, ancora oggi, le carenze infrastrutturali della rete elettrica che generano frequenti blackout, creando disagi e danno d’immagine per un paese che, al momento, non può fare a meno di approvvigionamenti esterni per sostenere il proprio sviluppo. A questo scenario si deve aggiungere una rapida crescita economica che determina un considerevole aumento del fabbisogno energetico. Basti pensare che nella fase di recessione attraversata nel 2009 il paese era tra i maggiori consumatori mondiali di petrolio dopo Stati Uniti, Cina e Giappone, registrando una crescita nei consumi del 5,46% rispetto all’anno precedente. Per questo, oggi l’India è costretta a importare carbone per far fronte alla domanda della generazione elettrica (17).
In India, le norme in materia di tutela ambientale hanno comportato un significativo aumento delle importazioni di carbone da alcuni dei maggiori esportatori di carbone, come Australia e Indonesia, geograficamente molto vicini all’India. A fronte di uno sviluppo economico senza precedenti, in India, questo potrebbe causare un aumento considerevole dei costi di produzione. Le importazioni indiane sono aumentate nettamente: da 82 miliardi di dollari nel 2010 a 145 miliardi di dollari nel 2012. Oggi sono la componente principale del deficit che caratterizza i conti pubblici del paese. L’India ha un quinto della popolazione mondiale, ma produce solo un trentesimo dell’energia elettrica per soddisfarne il fabbisogno. Di conseguenza il paese è costretto a importare energia, in forma di petrolio, gas e anche di carbone. Secondo molte stime, le importazioni indiane continueranno ad aumentare da circa il 30% della domanda energetica fino a circa il 50% entro il 2030.
Come si diceva prima, anche la crescita demografica ha un peso non indifferente sulle scelte energetiche dell’India e, di conseguenza, sulle emissioni di CO2. Nell’ultimo periodo la domanda di energia elettrica è cresciuta in maniera più che proporzionale rispetto al numero degli abitanti. Ciò implica che il grado di dipendenza energetica del paese, dal 1980, è costantemente aumentato. Il fatto che il fabbisogno energetico indiano sia soddisfatto in primis dal carbone (circa il 54,52% dei consumi nazionali) rende questa fonte energetica fondamentale per l’economia del paese. Si presume che in futuro assumerà un peso sempre maggiore il petrolio, che attualmente viene utilizzato per circa il 29,46% dei consumi. E poi il gas naturale e le fonti rinnovabili. Ma questo cambiamento richiederà decenni.
Nonostante le belle parole e le promesse a lungo termine, il carbone era e rimane il vero punto di forza della politica energetica dell’India. È la fonte energetica più impiegata ed è lecito aspettarsi che lo sarà ancora per molti anni.
Questo ha effetti notevoli anche sul prezzo di questa fonte energetica a livello globale. La forte domanda dell’India, unitamente a quella cinese, continueranno a mantenere alti i prezzi del carbone. Secondo l’International Energy Association (Iea) oggi una percentuale rilevante dell’energia elettrica viene prodotta da centrali a carbone. La forte dipendenza da questo combustibile fossile ha portato l’India, appoggiata dalla Cina e dall’Australia, a esercitare forti pressioni affinché nel Patto per il clima di Glasgow, in riferimento al carbone, il termine phase out (eliminare) fosse sostituito con phase down (ridurre gradualmente) (18).
Il consumo di carbone in altri paesi
India e Cina non sono gli unici paesi interessati a non scrivere la parola fine sull’estrazione e l’utilizzo del carbone. In Australia, le compagnie minerarie continuano i propri sforzi per aumentare la produzione di carbone espandendo i siti esistenti e (riaprendo) le miniere. Molte miniere producono carbone metallurgico o carbone termico (ad esempio, nella miniera di Carmichael). Altre miniere producono carbone da coke. Le autorità di pianificazione australiane, che negli ultimi anni sono state più severe nei confronti dei nuovi progetti di estrazione di carbone, nell’ultimo periodo, hanno assunto una posizione più morbida. Per questo in Australia, le compagnie minerarie continuano ad aumentarne la produzione.
In Botswana sono stati avviati diversi progetti con una capacità potenziale di almeno 10 Mtpa. Alcuni dovrebbero servire a rifornire di carbone il Sudafrica, la cui produzione interna di carbone per la produzione di energia elettrica è ormai insufficiente. La pipeline di progetti più avanzati del Sud Africa comprende una capacità produttiva potenziale di circa 13 Mtpa. Tra i progetti più avanzati l’operazione Makhado termica e carbone da coke, di proprietà di MC Mining. La costruzione dovrebbe iniziare entro il 2023. A regime, questa miniera dovrebbe produrre fino a 1,1 Mtpa di coke e carbone termico da vendere sia a livello nazionale che internazionale.
Nello Zimbabwe si sta pianificando l’apertura di nuove miniere e nuove centrali elettriche a carbone nel distretto nord-occidentale di Hwange. Progetti che richiederanno investimenti considerevoli. Già in fase di sviluppo anche il Lubu Coking Coal Project, che a regime dovrebbe produrre fino a 5 Mtpa di carbone fossile.
In Mongolia, sono in corso molti progetti per migliorare l’accesso al mercato cinese. La Mongolia ha completato la linea ferroviaria Tavan Tolgoi, un collegamento ferroviario di 233 km con la Cina (fino a Gashuua Sukhait) con una capacità di 30-50 Mtpa, per consentire di incrementare le esportazioni di carbone da coke dalla miniera sostituendo il trasporto attuale che avviene principalmente su gomma. La Mongolia ha completato anche un secondo importante collegamento ferroviario con la Cina: quello da Zuunbayan, al confine tra Khangi e Manda. Tutti investimenti a medio e lungo termine che dimostrano che la domanda di carbone per la produzione di energia elettrica non crollerà nel breve e medio periodo.
Impatto sull’ambiente
Le conseguenze di tutto questo sono facilmente immaginabili. La combustione di carbone, e in generale dei combustibili fossili, genera massicce quantità di agenti inquinanti: CO2, polveri sottili, idrocarburi policiclici volatili, ossidi di zolfo e di azoto, mercurio, arsenico e altro. Per far fronte a questi problemi, alcuni paesi hanno avviato strategie che prevedono la riduzione dell’uso delle fonti fossili in favore dell’aumento del gas naturale, delle rinnovabili o dell’energia nucleare. “Il carbone è la più grande fonte di emissioni globali di carbonio e il livello storicamente elevato di produzione di energia da carbone di quest’anno è un segno preoccupante di quanto il mondo sia lontano dai suoi sforzi per ridurre le emissioni verso lo zero netto”, ha dichiarato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’AIE, in un comunicato stampa (19).
In termini assoluti, i principali responsabili di queste emissioni sono Cina, India, Stati Uniti d’America e UE. In Cina, dove per la produzione di energia elettrica si utilizza un terzo del consumo globale di carbone, si prevede che la produzione di energia a carbone crescerà del 9%. In India, l’aumento percentuale sarà ancora maggiore: crescerà del 12%. Dati che, secondo l’AIE, porteranno la produzione di elettricità da carbone a superare i massimi storici (in entrambi i paesi).
Negli Stati Uniti e nell’UE, la produzione di energia da carbone è destinata ad aumentare di quasi il 20% quest’anno rispetto al 2020, ovvero nel periodo della pandemia, ma la quantità di energia generata dal carbone non raggiungerà i livelli del 2019. Un recente rapporto prevede che a breve il consumo di carbone negli Stati Uniti e nell’UE potrebbe tornare a diminuire a causa della lenta crescita della domanda di elettricità e del lancio delle energie rinnovabili.
Ciò nonostante, secondo le previsioni dell’IEA, la domanda globale di carbone, anche per usi diversi dalla generazione di elettricità (come la produzione di cemento e acciaio), dovrebbe crescere del 6%.
La domanda di energia elettrica
Come si diceva prima, quando si parla di consumi energetici e di emissioni di CO2 è fondamentale tenere non sottovalutare il fatto che ad aumentare non è solo la produzione, che cresce di pari passo con l’industrializzazione e il consumismo. Anche aspetti geopolitici come le dimensioni della popolazione mondiale sono fondamentali. Il numero degli abitanti del pianeta sta aumentando e, con esso, la domanda di energia. Si prevede che, dal 2022 al 2025, la domanda globale di elettricità crescerà in media del 2,8% all’anno, di circa 2.496 TWh in termini assoluti. Se è vero che l’energia rinnovabile dovrebbe coprire la quota maggioritaria della domanda per quasi il 90%, è altrettanto vero che il divario rimanente, circa 83 Twh, dovrebbe essere coperto da energia elettrica prodotta con carbone e gas naturale. La domanda di energia mostra un trend crescente soddisfatto per la stragrande maggioranza da combustibili fossili. E gli attuali consumi di energia primaria mostrano quale sarà l’andamento della crescita della domanda di carbone (20). Evidente la preponderanza delle fonti fossili, in particolare del carbone. In India ad esempio, le fonti di natura termica, come petrolio, gas naturale e carbone, negli ultimi venticinque anni hanno sostenuto la crescita, contribuendo, nel 2013, per circa il 70% del mix energetico alla produzione di energia elettrica.
A influenzare i consumi di carbone per uso energetico anche la disponibilità delle altre fonti energetiche. Rispetto a mezzo secolo fa, la domanda di energia nucleare (da molti considerata l’unica alternativa ai combustibili fossili per ridurre le emissioni di CO2) è aumentata ben poco. Lo stesso dicasi per le fonti rinnovabili: nonostante l’impennata dell’ultimo periodo, non si è andati oltre qualche punto percentuale per ciò che riguarda la domanda globale di energia elettrica coperta da queste fonti. Ad essere cresciuta, e in modo impressionante, è la domanda di combustibili fossili (fatto salvo un piccolo periodo durante la pandemia che ridusse sensibilmente i consumi, ma subito recuperato l’anno successivo, nel 2021).
[Consumo mondiale di energia primaria per fonte]
Oggi, nonostante le belle parole e le promesse dei leader mondiali (come quelle fatte alla COP26 di Parigi), i combustibili fossili erano e sono la fonte di energia più utilizzata. Nel 2021, il consumo di energia da petrolio è stato di 184,2 Exajoule, pari al 31,0% del totale. Al secondo posto c’è il carbone, in crescita dai primi anni 2000 come conseguenza dello sviluppo economico della Cina e di altri paesi emergenti. Nel 2021, il consumo di energia da carbone è stato di 160,1 Exajoule, pari al 26,9% del totale. In altri termini, circa un quarto dell’energia elettrica prodotta nel mondo, è stata ottenuta dalla combustione di questa fonte energetica fossile. In questa classifica, il tanto osannato gas “naturale” (che, è bene ricordarlo, è pur sempre un combustibile fossile) è solo al terzo posto con 145,3 Exajoule, pari al 24,4% del totale. Lontanissime, nonostante le tante promesse e le belle parole dei leader europei e americani, tutte le altre fonti energetiche. Il nucleare, ad esempio, non va oltre il 4,3% del totale. Le fonti energetiche sostenibili, tutte insieme, non soddisfano il 15% del totale della domanda. In particolare l’energia idroelettrica è pari al 6,8%, quella eolica è solo al 2,9%; e il solare non va oltre l’1,6%.
Nonostante le promesse “verdi” degli ultimi decenni, il dominio dei combustibili fossili (489,7 Exajoule, pari all’82,3% dei consumi totali) è ancora indiscusso. Questo significa che il traguardo della de-carbonizzazione del settore energia è ancora lontano e pieno di ostacoli. E raggiungerlo richiederà molto più tempo di quanto alcuni vorrebbero far credere.
In Cina, il consumo di carbone per produzione di energia elettrica è cresciuto nel 2021. Si prevede che questa crescita rimarrà relativamente stagnante, in media dello 0,7% annuo, fino al 2025. Nel periodo 2022-2025, si prevede che la produzione di energia rinnovabile della Cina aumenterà di quasi 1.000 TWh, equivalente alla produzione totale di energia del Giappone di oggi.
Diversa la situazione in India. Qui il consumo di carbone è aumentato rispetto al 2007 a un tasso di crescita annuo del 6%. La Cina e l’India, i maggiori consumatori mondiali di carbone, sono anche i maggiori produttori e anche i primi due importatori di carbone. In risposta all’aumento dei prezzi e alla carenza di approvvigionamento, la Cina e, in misura minore, l’India, hanno cercato di soddisfare la domanda ricorrendo alle risorse interne (con le limitazioni viste prima per ciò che riguarda l’India). Nel marzo 2022, la produzione cinese ha raggiunto un nuovo massimo mensile e si prevede che raggiungerà un nuovo record annuale, con una crescita dell’8% per l’intero anno, riducendo il fabbisogno di importazioni e ricostituendo le scorte. In India il governo ha cercato a lungo di aumentare la produzione e ridurre le importazioni. Nel 2021 la produzione di carbone ha raggiunto per la prima volta gli 800 milioni di tonnellate. Secondo alcune stime, la produzione indiana dovrebbe superare il miliardo di tonnellate entro il 2025. Anche l’Indonesia, terzo produttore mondiale, potrebbe espandere la sua produzione di carbone per raggiungere un nuovo massimo. Tutto questo compensa più che abbondantemente la (parziale) riduzione dei consumi di carbone negli Stati Uniti d’America e in Europa (negli Stati Uniti -18% e nell’Unione Europea -29%): lo scorso anno, la produzione globale di carbone ha superato gli 8 miliardi di tonnellate. Il livello più alto di sempre.
In questo quadro già scoraggiante, l’invasione russa dell’Ucraina del 2022 non ha fatto che peggiorare la situazione alterando le dinamiche dei prezzi e dei modelli di domanda e offerta. Dall’inizio del conflitto, i prezzi dei combustibili fossili sono aumentati notevolmente, con il gas naturale che ha mostrato l’aumento più rilevante. Questo, unitamente alla necessità di garantirsi fonti energetiche diverse dal gas naturale, ha provocato un’impennata della domanda di altre fonti energetiche a prezzi più competitivi. E tra queste, il carbone. Specie in alcuni paesi.
Questa crescita è stata rallentata, ma solo in parte, dall’aumento dei prezzi del carbone e dal ricorso alle energie rinnovabili e dalla maggiore efficienza energetica. Ma non in tutti i paesi. In Cina, responsabile di buona parte del consumo globale di carbone, lo scorso anno siccità e ondate di caldo hanno accelerato i consumi di carbone per soddisfare l’aumento della domanda di energia elettrica per alimentare condizionatori e pompe di calore. Questo aumento ha compensato – e non poco – il calo della domanda di carbone per uso industriale dovuto alla diminuzione della produzione di ferro e acciaio legata alla congiuntura economica.
Nei mesi scorsi, dopo il crollo della diga di Nova Kakhovka, alcuni ambientalisti (tra i quali l’attivista Greta Thunberg, fresca di diploma) hanno parlato dell’”ennesima atrocità che lascia il mondo senza parole”, della “continuazione dell’invasione non giustificata dell’Ucraina”. Un disastro, “un ecocidio, di cui Mosca deve essere ritenuta responsabile”. In realtà, ben prima della guerra con la Russia, in Ucraina l’estrazione di carbon fossile per produrre energia era elevatissima: fino a qualche anno fa se ne producevano 9.5 Mt. In Ucraina, nella regione di Donetsk, non lontano dal confine con la Russia, sorge uno dei più grandi impianti di produzione di coke in Europa, l’Avdiyivka Coke and Chemical Plant. (21) Per comprendere le dimensioni di questo impianto (e il suo impatto sull’ambiente) basti pensare che dava lavoro, direttamente o indirettamente, a oltre quattromila persone. Un’industria, quella dell’estrazione e della lavorazione di carbone, più volte definita vitale per l’industria ucraina. Basti pensare che, a regime, produceva più di 30 tipi di coke diversi, tra cui quello per alimentare il 23% di tutti gli altiforni siderurgici ucraini. Nel 2014, allo scoppio del conflitto in Ucraina orientale, dopo che i separatisti russi avevano preso il controllo di alcune aree vicino al confine russo, l’impianto di Avdiyivka aveva dovuto ridurre la produzione. Nel 2017, a causa della mancanza di carbone ed elettricità, la produzione era scesa a 5.000 tonnellate di coke al giorno. Per questo motivo l’azienda aveva fatto di tutto per trovare nuovi fornitori di carbone, in particolare americani e australiani. In questo modo aveva ripreso a produrre. E a inquinare. Nel 2019, dopo i bombardamenti sull’area, gli impianti sono stati ristrutturati e hanno aumentato la propria produzione a un ritmo che non si vedeva dall’inizio del 2014, prima dell’inizio del conflitto nell’Ucraina orientale contro i separatisti sostenuti dalla Russia. Tutto questo è avvenuto prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel 2022. Lo scorso anno, dopo l’inizio degli scontri, la città che ospita lo stabilimento è stata nuovamente bombardata. Ingenti i danni allo stabilimento che è stato costretto a ridurre la produzione. Dopo l’inizio degli scontri, la produzione di carbone è crollata del 59% scendendo a 3,9 Mt. E le emissioni di sostanze inquinanti. Forse, alcuni ambientalisti, prima di inventare neologismi come “ecocidio”, avrebbero fatto meglio a leggere la storia recente.
[Consumi di Carbone in Ucraina prima e dopo l’invasione russa
(fonte: Ukrcoke, State Custom Service of Ukraine, GMK Center)]
Anche in Europa, dopo l’invasione dell’Ucraina, si è registrata una crescita della domanda di carbone. Vista la sua dipendenza dalle forniture di gas naturale dai gasdotti russi, i paesi dell’Unione Europea sono stati duramente colpiti dalla crisi energetica. La minore produzione di energia idroelettrica e nucleare dovuta alle condizioni meteorologiche, combinata con numerosi problemi tecnici nelle centrali nucleari francesi (spesso obsolete), ha messo a dura prova il sistema elettrico europeo. Questo ha fatto aumentare il ricorso al carbone per la produzione di energia elettrica. Uno stato di cose situazione che, secondo le stime, dovrebbe rimanere costante almeno fino al 2025.
[Consumo di Energia primaria per fonte nell’Unione Europea]
Nell’UE l’energia elettrica prodotta viene generata per la maggior parte per mezzo di combustibili fossili. Sotto il profilo delle fonti per produrre energia elettrica, l’Europa si presenta in modo anomalo. Da un lato fa di tutto per apparire verde. Dall’altro resta fortemente dipendente dalle importazioni di combustibili fossili. L’Ue ha deciso di porre un freno alla produzione di carbone per produrre energia. Ma i sistemi economici continuano ad aver bisogno di questa risorsa. La conseguenza è che già nel 2004, l’Unione europea acquistava oltre i due terzi del carbon fossile di cui aveva bisogno all’estero (68,3%). Dopo la pandemia, alla ripresa economica, gli acquisti dall’estero sono ripresi. Alla fine del 2021 i paesi Ue hanno acquistato 104 milioni di tonnellate di carbone dall’estero. L’Europa sembra lontana dall’abbandonare il carbon fossile. Ha ridotto considerevolmente estrazione e produzione, ma molto meno i consumi: l’utilizzo per fini energetici è rimasto pressoché lo stesso negli ultimi anni. Nel 2016, l’UE utilizzava circa 27mila tonnellate di carbone per consumi energetici. Alla fine del 2020 questo valore era ancora poco più alto di 22mila tonnellate. Un percorso lento che dopo l’aggressione russa dell’Ucraina e le conseguenti tensioni sul mercato energetico è rallentato ancora di più. La Polonia, ad esempio, ha già fatto sapere di non essere intenzionata a rinunciare alla sua fonte tradizionale, anche se in contrasto con le politiche del New Green Deal. La Germania dal canto suo potrebbe decidere di tornare al carbone per liberarsi della dipendenza dal gas russo. E dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, alcuni esperti hanno espresso perplessità circa il piano della Commissione europea che puntava a prelevare 20 miliardi di euro dalla riserva di stabilità del mercato del carbonio dell’UE per finanziare una manovra da 300 miliardi di euro atta a liberare l’Europa dalla dipendenza instaurata, per anni, dalla Russia e dai suoi combustibili fossili. A luglio 2022 il governo danese ha presentato ai ministri dell’Economia e delle finanze dell’UE una proposta, che prevede di attingere al Fondo europeo per l’innovazione, un fondo costituito dalle entrate del mercato del carbonio che dovrebbe aumentare di valore nei prossimi dieci anni. Secondo il documento, l’aumento del prezzo delle quote di carbonio dovrebbe far aumentare il Fondo di oltre 55 miliardi di euro tra il 2021 e il 2030, ovvero quasi 20 miliardi di euro in più del previsto. La proposta danese è di utilizzare questi venti miliardi.
A influire sulla domanda di carbone sono anche i cambiamenti climatici. In Cina, ad esempio, nel 2022, una grande ondata di caldo estivo ha causato una riduzione della produzione di energia idroelettrica (esattamente la stessa cosa sta avvenendo in Italia a causa del calo della portata di alcuni fiumi). Questo ha portato la Cina ad aumentare la produzione di energia da carbone. Ad agosto, in questo paese, la produzione di energia da carbone è aumentata di circa il 15% su base annua, superando i 500 Terawatt/ora (TWh). A livello mensile si tratta di una produzione superiore alla produzione annua totale di energia da carbone di qualsiasi altro paese (fatta eccezione per l’India e per gli Stati Uniti d’America).
Per i paesi maggiori produttori e consumatori di energia elettrica e soprattutto in India e in Cina, il carbone resta la spina dorsale della produzione di energia elettrica. Il gas naturale rappresenta solo una frazione della produzione di energia anche a causa della variabilità dei suoi prezzi.
Le conseguenze
La conseguenza di tutto questo? Le emissioni di gas serra continuano a far registrare nuovi record. A confermarlo lo studio “Indicators of Global Climate Change 2022: annual update of large-scale indicators of the state of the climate system and human influence”, pubblicato su Earth System Science Data. Secondo gli autori, un team internazionale di 50 eminenti scienziati, “il riscaldamento globale causato dall’uomo ha continuato ad aumentare a un tasso senza precedenti dall’ultima importante valutazione del sistema climatico pubblicata due anni fa”. (22)
Ogni anno viene raggiunto un nuovo record di gas serra. Secondo alcuni studi, negli ultimi tre anni, la quantità di anidride carbonica che dovrebbe essere emessa per mantenere superiore al 50% la probabilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, si è dimezzata.
L’ennesima dimostrazione che le azioni per limitare i cambiamenti climatici sono insufficienti. Nei prossimi mesi, gli esperti del clima e i leader mondiali si incontreranno a Bonn per preparare il terreno per la grande conferenza sul clima COP28 negli Emirati Arabi Uniti che si terrà a dicembre (non senza polemiche). “I responsabili politici, i negoziatori climatici e i gruppi della società civile devono avere accesso a prove scientifiche aggiornate e solide su cui basare le decisioni” hanno ribadito i ricercatori.
Sorprendente il ruolo (o le responsabilità) dell’Europa. Secondo l’analisi pubblicata dall’INSEE a luglio dello scorso anno, pur non essendo tra i primi posti tra i consumatori al mondo di carbone per produzione di energia elettrica, gli europei emettono 1,5 volte più gas serra pro capite rispetto alla media mondiale. “Dato che i paesi avanzati hanno de-localizzato la loro produzione, l’impronta di carbonio ci consente di non concentrarci solo su ciò che viene prodotto sul territorio nazionale”, spiega Mathieu Lequien, responsabile della divisione studi macroeconomici dell’INSEE. Secondo gli esperti, un terzo dell’impronta di carbonio dell’UE è dovuto alle sue importazioni. In relazione al numero di abitanti, ciò equivale a 11 tonnellate di CO2 per cittadino europeo, contro le 21 degli Stati Uniti d’America e le 8 tonnellate della Cina.
A giocare un ruolo essenziale è anche il tempo. Le valutazioni scientifiche più autorevoli sullo stato del clima sono quelle fornite dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). (23) Purtroppo queste analisi sono segnate da un notevole ritardo temporale (a volte, di anni). (24) Questo crea un pericoloso gap specie se si pensa che i cambiamenti climatici si manifestano con fenomeni sempre più frequenti. Recentemente, per cercare di trovare una soluzione a questo problema, i ricercatori dell’università di Leeds hanno sviluppato una piattaforma open science – Indicators of Global Climate Change and website – che ha l’obiettivo di aggiornare le informazioni sui principali indicatori climatici con cadenza annuale. Dall’analisi dei dati del progetto coordinato da Piers Forster, direttore del Priestley International Center for Climate di Leeds, emerge che il decennio attuale è critico per i cambiamenti climatici. Gli indicatori aggiornati dimostrano che “Il riscaldamento indotto dall’uomo, in gran parte causato dalla combustione di combustibili fossili, ha raggiunto una media di 1,14° C nell’ultimo decennio (dal 2013 al 2022) al di sopra dei livelli preindustriali. Questo è aumentato da 1,07° C tra il 2010 e il 2019. Ora, il riscaldamento indotto dall’uomo sta aumentando a un ritmo di oltre 0,2° C per decennio”.
Purtroppo, le decisioni prese dai politici hanno un impatto ritardato sull’aumento delle temperature e sul grado e sulla gravità degli impatti che ne conseguono. I tassi di riscaldamento a lungo termine sono attualmente ai massimi a causa dei livelli di emissioni di gas serra più alti mai registrati. “Le emissioni di gas serra erano ai massimi storici, con l’attività antropica che ha provocato l’equivalente di 54 (+/-5,3) giga tonnellate di anidride carbonica rilasciate nell’atmosfera in media ogni anno nell’ultimo decennio (2012-2021)”.
Continuare a utilizzare fonti energetiche come il carbone non farà che peggiorare la situazione.
BIBLIOGRAFIA (1) https://www.iea.org/reports/coal-2022 (2) https://www.carbonbrief.org/analysis-which-countries-are-historically-responsible-for-climate-change (3) https://time.com/5920387/paris-agreement-laurence-tubiana/ (4) https://ourworldindata.org/co2-emissions (5) https://time.com/5930095/china-plant-based-meat/ (6) https://time.com/6100439/china-stop-funding-coal-plants/ (7) https://energyandcleanair.org/wp/wp-content/uploads/2023/04/CREA_ISETS_Opportunities-and-challenges-of-flexibility-technologies-for-achieving-a-net-zero-electricity-future-in-China_Final_April-2023.pdf (8) L'India è pronta a diventare la nazione più popolosa del mondo | Notizie ONU (un.org) (9) https://time.com/6111115/net-zero-cop26-india/ (10) https://pib.gov.in/PressReleseDetail.aspx?PRID=1768712 (11) https://www.qualenergia.it/articoli/20161106-la-complicata-sfida-energetica-india-tra-carbone-e-rinnovabili/ (12) https://globalenergymonitor.org/projects/global-coal-plant-tracker/summary-tables/ (13) https://pib.gov.in/PressReleasePage.aspx?PRID=1760815 (14) https://www.iqair.com/fr/world-most-polluted-cities (15) https://www.worldbank.org/en/country/india/publication/catalyzing-clean-air-in-india (16) https://www.statista.com/statistics/244518/number-of-employees-at-coal-india-limited/ (17) http://www.rivistapolitica.eu/la-politica-energetica-dellindia-e-le-sue-possibili-ripercussioni-geopolitiche/#_ftn18 (18) https://www.politico.com/news/2021/11/13/coalglasgow-climate-deal-521802 (19) https://time.com/collection/100-most-influential-people-2021/6095810/fatih-birol/ (20) http://www.rivistapolitica.eu/la-politica-energetica-dellindia-e-le-sue-possibili-ripercussioni-geopolitiche/#_ftn46 (21) Avdiivka Coke Plant PrAT Profilo Aziendale - Ucraina | Dati finanziari e dirigenti chiave | EMIS (22) ESSD - Indicators of Global Climate Change 2022: annual update of large-scale indicators of the state of the climate system and human influence (copernicus.org) (23) IPCC — Intergovernmental Panel on Climate Change (24) Rapporto di sintesi — IPCC