Il Coronavirus. Non si sente parlare d’altro. In ogni singola trasmissione che mettiamo non c’è modo di scamparla: si parlerà solo di Coronavirus. Ha una velocità di trasmissione tale che ne sono tutti terrorizzati. Mette paura perché non si conosce, si conosce la causa, forse, ma non si conosce perché nel 2020 si possa temere di morire per le complicazioni di un raffreddore.
Fa paura che non ci sia un vaccino in un’epoca in cui ci si vaccina per tutto. E allora parte la psicosi perché la storia ci ha insegnato che ci sono state delle epidemie che sono durate per secoli e che si espandevano con la stessa velocità. E si torna al Medioevo e alla peste, alla Morte Nera, di cui hanno scritto poeti e romanzieri, che è stata dipinta da pittori in tutta Europa, in tutte le epoche, rappresentando la paura, il dolore, la morte.
Ma il Coronavirus non è la peste, per fortuna e per quanto la velocità di propagazione sia uguale, poiché basta uno starnuto di una persona infetta per terrorizzare un intero continente, osservando delle norme igieniche che in Italia sono piuttosto comuni, il pericolo si ridimensiona da sé.
La peste no. La peste era presente nella Bibbia e poi è tornata più incattivita in Europa nel Medioevo e non si è fermata fino all’epoca barocca. È chiaro che l’accezione che veniva data alla diffusione della malattia era spesso di origine punitiva, una specie di penitenza per le proprie colpe, poiché era conosciuta come epidemia a trasmissione sessuale. Ma la peste è nota da almeno 3000 anni. In Cina infatti sono state registrate epidemie fin dal 224 a.C. Più tardi nel 430 a.C. un’epidemia di peste sconvolse e decimò la popolazione di Atene.
Nel Medioevo la malattia si è trasformata in un’enorme pandemia, che ha decimato le popolazioni di intere città, iniziando nelle steppe dell’Asia centrale, propagandosi in Cina e in India, per poi arrivare in Europa dal 1347 con effetti devastanti., colpendo prima Costantinopoli, subito dopo Messina dove si ebbe la prima manifestazione della peste nera in Europa, che nell’estate del 1348 dilagò in Italia e in Francia, e da li toccò tutte le coste meridionali dell’Inghilterra, e il resto d’Europa, dove rimase per oltre tre anni. La violenza dell’epidemia lasciò sgomenti gli osservatori contemporanei per la quantità di vittime umane.
Un po’ come col Coronavirus, i governi, pur ignorando le ragioni scientifiche del contagio incoraggiavano l’adozione di misure d’igiene personale particolarmente accurate, ponendo restrizioni ai movimenti di persone e merci, seppellendo immediatamente le vittime in fosse comuni cosparse di calce preparate intelligentemente fuori dalle mura e la incenerendo gli indumenti. Inoltre le persone sospettate di essere contaminate venivano isolate nei lazzaretti in quarantena.
C’erano già allora degli episodi di emarginazione verso vagabondi e mendicanti i quali venivano incolpati di contaminare la popolazione residente; in altre gli “untori” erano individuati negli ebrei, il quali erano spesso vittime della furia popolare. La peste quindi era un fenomeno sociale che divenne poi lo spunto per molti artisti per raccontare il dolore, ma anche la perdita di senno e la follia che ne consegue sempre quando il controllo perde la sua battaglia contro la paura. In diversi quadri venne rappresentata la furia e l’irruenza con la quale si abbatté questa tremenda epidemia. Una delle opere più rappresentative è sicuramente il “Trionfo della morte” di Pieter Bruegel. (1525/30-1569).
L’opera ha come tratti degli elementi altamente iconografici come quello della danza macabra, quello della resurrezione dei morti, raffigurato come lo scheletro che esce dalla fossa e del cavaliere dell’Apocalisse rappresentato dallo scheletro con la falce. La peste in Europa rimase endemica per tre secoli, per poi scomparire gradualmente. In Italia fu presente prima nel nord e poi invase anche il Regno di Napoli questo sviluppa un realismo creativo in cui si vuole rappresentare la malattia, il dolore e la morte, dividendolo dalla sacralità di Dio e dei Santi, compiti, solenni, mentre risalta il caos la devastazione, l’impotenza e la rassegnazione nel mondo degli uomini, come nel Bozzetto per gli affreschi sulla peste di Mattia Preti.
La tragedia della peste negli occhi dei pittori classicisti assume toni solenni e composti proprio a rappresentarne la presenza imperitura, di cui non si riusciva a vedere la fine. La peste di Ashdod di Nicolas Poussin il dramma viene rappresentato con colori nitidi, la composizione è equilibrata e i corpi, impeccabilmente eleganti, creano un’immagine della peste astratta e letteraria, i cui richiami sono, infatti, alle antiche pesti bibliche o di Tucidide e Lucrezio. Tale atteggiamento è chiaramente il tentativo di spiegare un evento sconvolgente, cercando di dare ordine al caos senza senso. Un po’ come quel caos che si sta creando adesso verso l’Italia da parte dell’Europa e del mondo.