Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare del “kit di sopravvivenza per 72 ore”. Quello che, secondo le autorità europee, tutti i cittadini dovrebbero avere. Tra le cose che dovrebbe contenere batterie, documenti di identità (conservati in una custodia impermeabile), acqua, una torcia, occhiali da vista, un coltellino svizzero (ma nessuno ha detto che in molti paesi portare un oggetto come questo sempre con sé – ad esempio in luoghi pubblici o altro – potrebbe non essere consentito dalla legge) e accendino ma anche medicine e cibo in scatola. “Ovviamente dei contanti, perché nel bel mezzo di una crisi la tua carta di credito può essere solo un pezzo di plastica”, ha aggiunto la Commissaria per la Gestione delle crisi Hadja Lahbib. Che fine ha fatto la voglia sfrenata di rendere ogni pagamento digitale? Nella borsa dovrebbe trovare posto anche una power bank per il cellulare e una radio portatile. Beni di prima necessità che Bruxelles ha “consigliato” (se fosse stato “obbligatorio”, la Commissione Europea avrebbe dovuto contestualmente spiegare con quali soldi i singoli Stati avrebbero dovuto sostenere la spesa per predisporli e distribuirli alla popolazione) come uno dei punti cardine della strategia dell’UE per la preparazione alle emergenze. La Commissaria lo ha mostrato dicendo che ogni cittadino dovrebbe sempre avere con sé queste dieci cose per essere in grado di resistere 72 ore. Ma di quali emergenze si sta parlando? Quello che i media si sono guardati bene dal dire è che quello presentato è solo una bozza di un progetto a lungo termine. In realtà, le strategie UE verranno sviluppate con linee guida per i Paesi in 63 punti e le indicazioni sui kit per le prime 72 ore di crisi arriveranno nel 2026. Per le strategie finali se ne dovrebbe parlarne non prima del 2027. Un modo troppo lento per essere preparati alle “emergenze” che colpiscono sempre più frequenti anche i paesi europei.
Ma allora per cosa bisogna essere pronti? La proposta di un kit nascerebbe da un documento dal titolo Safer Together Strengthening Europe’s Civilian and Military Preparedness and Readiness Report. L’autore del rapporto è Sauli Niinistö, ex presidente finlandese e ora “consulente speciale della presidente della Commissione Europea”. Questo documento, presentato come base teorica su cui basare la preparazione alle emergenze, avrebbe in realtà uno scopo diverso. Ovvero preparare i cittadini europei ad una guerra. Già nell’introduzione si dice che il “panorama geopolitico e della sicurezza sta cambiando drasticamente”. Per questo, è urgente rafforzare la preparazione dell’UE. “L’UE e i suoi Stati membri si trovano ad affrontare minacce e crisi sempre più multidimensionali, complesse e transfrontaliere. Rafforzare la nostra preparazione: avere un effetto dissuasivo sugli attori delle minacce; minori rischi residui; affrontare il senso di profonda incertezza tra i cittadini; contribuire ai presupposti fondamentali della prosperità economica e della competitività”. Quindi è necessaria un preparazione che “richiederà un approccio più completo e integrato”. Una preparazione nella quale “tutti gli attori militari e civili pertinenti nella risposta alle crisi devono essere pienamente pronti e in grado di rispondere in modo efficace e senza soluzione di continuità, nell’ambito di un più ampio approccio che coinvolga l’intero governo e l’intera società”.

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Nella prefazione del rapporto si parla di “promuovere la cooperazione civile-militare nonché i partenariati pubblico-privati e la leva finanziaria partnership internazionali per rafforzare la nostra preparazione”. Si dice che l’analisi condotta si basa e integra vari filoni di lavoro già in corso, “tra cui la protezione civile, l’industria della difesa, le minacce ibride, le infrastrutture critiche, la sicurezza informatica, la disinformazione, lo spazio, la mobilità militare, la sicurezza marittima” e altre. “Nonostante tutte le guerre, i conflitti e i disastri che hanno avuto luogo nei paesi limitrofi dell’UE e oltre [chiaro il riferimento all’Ucraina], l’UE e i suoi Stati membri sono stati al sicuro da minacce esistenziali immediate dalla fine della Guerra Fredda” si legge nel rapporto, che dopo aver citato la pandemia da Covid (peccato che a livello mondiale non esista ancora un piano condiviso per le pandemie), “l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato che ci vogliono due persone per mantenere la pace, ma solo una per iniziare una guerra. L’invasione della Russia ha anche sottolineato la percezione di lunga data di Putin secondo cui l’Occidente e i popoli occidentali sono deboli. Inoltre, i crescenti danni causati da eventi meteorologici estremi stanno costringendo gli europei a chiedersi non solo come il cambiamento climatico influenzerà le generazioni future, ma anche a cosa dobbiamo prepararci oggi. Più va avanti la lettura più questo documento, presentato come piano per le emergenze, appare un prontuario per prepararsi alla guerra. Anzi, alla guerra con la Russia: “Lenin ordinò ai bolscevichi durante la guerra civile russa di ‘sondare con le baionette: se trovate poltiglia continuate. Se trovate acciaio fermatevi”. Cento anni dopo, gli attori opportunisti di oggi usano lo stesso metodo. Ci prendono di mira cercando debolezze nella nostra protezione, approfittando delle nostre divisioni politiche, di qualsiasi mancanza di coesione sociale e di dannose dipendenze economiche, cercando di trasformare in armi qualsiasi cosa possano contro di noi. Nell’essere ben preparati, un requisito fondamentale è non essere un bersaglio facile”. La sicurezza citata, facendo riferimento ad un sondaggio, in realtà non ha niente a che vedere con la “minaccia alla sovranità di uno Stato membro influisce anche sull’integrità di tutti gli altri nell’Unione” per cui sarebbe necessario essere pronti. Le emergenze non sono quelle legate ai cambiamenti climatici, ma altro: “Se uno Stato membro perde la sua sicurezza, ciò rappresenta un problema anche per gli altri”.
Interi capitoli dei documento sono dedicati alla preparazione alla guerra. Uno dei primi capitoli è intitolato “Preparazione al mantenimento della Pace”. “Per rafforzare la nostra prontezza di difesa e la nostra capacità industriale [di costruire armi e armamenti] dobbiamo tenere conto del fatto che 23 dei 27 Stati membri dell’UE sono alleati della NATO”. “La NATO è il fondamento della difesa collettiva dei suoi membri e il fondamento della sicurezza dell’Europa rispetto alle minacce militari” si legge. Ma se esiste la NATO come mai molti paesi ospitano basi di paesi terzi indipendenti dalla gestione NATO? E ancora. Il documento parla di essere pronti “all’aggressione militare contro uno Stato membro dell’UE e un alleato della NATO”. Per questo, secondo l’autore del rapporto, è necessario “fornire servizi di base e beni essenziali per i civili, garantire la mobilità e la comunicazione dei militari e degli altri attori della crisi, sostenendo al contempo la resilienza dei cittadini e della società”.
Il famoso kit di sopravvivenza sbandierato nei giorni scorsi, non ha quasi niente a che vedere con emergenze ambientali, alluvioni, terremoti, frane, tsunami e chi più ne ha più ne metta. La verità è che l’UE si sta preparando alla guerra. Chiamarla “difesa” è un escamotage ormai diffuso. Ma inutile. Dopo gli USA, anche l’UE pare avere capito che la guerra è un modo per fare soldi. Tanti soldi. E quelli che davvero governano l’UE (pur non essendo stati eletti dai cittadini europei) stanno facendo di tutto per “essere pronti”. Non alle emergenze (per quelle se ne parlerà, forse, nel 2026 o nel 2027). Alla guerra.