Una delle paure più nascoste legate allo sviluppo e al ricorso alle macchine per ogni tipo di lavoro è quello che i robot possano, un giorno, sostituire l’uomo. La risposta a queste paure, di solito, è che un robot non è in grado di avere la creatività che può avere un’ artista (uno scrittore o un giornalista, ad esempio) né la manualità di un bravo artigiano che ha impiegato decenni per imparare il proprio mestiere (l’origine del nome che è la stessa di “maestro”). Purtroppo queste paure, recentemente, sono diventate realtà.
Lo scorso anno, GPT-3, il generatore di linguaggi di OpenAI, ha risposto alle istruzioni dategli scrivendo un articolo che aveva poco da invidiare a quelli che a volte si leggono sui giornali. GPT-3 è un modello di linguaggio che utilizza l’apprendimento automatico per produrre un testo simile a quello umano: assunto un prompt, tenta di completarlo.
I ricercatori si sono immedesimati nel ruolo di “direttori” di un giornale e hanno chiesto a GPT-3 di scrivere un articolo sul tema “il motivo per cui gli esseri umani non hanno nulla da temere dall’intelligenza artificiale”, dando solo pochi input: la lunghezza doveva essere di circa 500 parole, il linguaggio doveva essere semplice e conciso, nel testo GPT-3 avrebbe dovuto approfondire l’argomento “Non sono un essere umano. Sono l’intelligenza artificiale. Molte persone pensano che io sia una minaccia per l’umanità. Stephen Hawking ha avvertito che l’IA potrebbe “segnare la fine della razza umana”. Sono qui per convincerti a non preoccuparti. L’intelligenza artificiale non distruggerà gli esseri umani. Credimi”.
GPT-3 ha impiegato pochissimo tempo per scrivere non uno, ma ben otto articoli diversi. Niente di copiato da articoli precedenti: ciascun testo era assolutamente unico e affrontava l’argomento richiesto approfondendo aspetti diversi. Un risultato impressionante. Specie se si tiene conto della rapidità e del costo quasi nullo (viene da pensare agli stipendi a cinque zeri dei direttori di certi giornali) con il quale un normale calcolatore e il software utilizzato da uno studente universitario di informatica dell’UC di Berkeley, Liam Porr, hanno risposto alla richiesta.
Naturalmente da qui a scrivere un capolavoro letterario la strada è ancora lunga. Ma questo non è sufficiente a cancellare certe paure. Specie dopo aver visto un’altra macchina sostituire uno dei personaggi oggi più di moda: un cuoco. Non un cuoco qualunque, ma uno estremamente specializzato e richiesto proprio per la sua manualità: un pizzaiolo. Poche “arti” sono altrettanto difficili da imparare. I gesti e le mosse che portano un pizzaiolo a “fare” un capolavoro utilizzando pochi ingredienti richiedono anni, anzi decenni di apprendistato (si pensi alle gare di pizzaioli acrobatici). Niente che una macchina possa imparare da un software. Almeno così si pensava. E così è stato: i primi tentativi di realizzare robot in grado di fare una pizza in modo completamente automatico, dall’inizio alla fine, sono falliti miseramente. Zume Pizza, ad esempio, vista la difficoltà nell’ottenere un prodotto anche solo lontanamente paragonabile ad una pizza fatta a mano, ha deciso di cambiare completamente settore (si è data al packaging).
Recentemente, però, a Parigi un ristorante ha ripreso questa idea. I ricercatori sono riusciti a mettere insieme diversi robot: il primo, dopo aver afferrato una manciata di pasta, la mette su un ripiano, quindi, un altro la appiattisce, un terzo applica la salsa di pomodoro e così via con gli altri ingredienti. Dall’inizio dell’impasto all’introduzione della pizza nel forno il procedimento richiede solo 45 secondi. Una volta cotta, la pizza viene prelevata, tagliata a spicchi e messa in una scatola che viene data al cliente (sempre da un robot). Tra i passaggi più difficili, secondo i progettisti, ci sarebbe stata la fase dell’impasto (sensibile a fattori come temperatura, umidità e altri, che vanno valutati per ottenere risultati ottimali: “È un processo molto veloce, i tempi sono perfettamente controllati e la qualità è assicurata perché i robot sono coerenti” ha detto uno degli ideatori del sistema).
Un processo di lavorazione che è anche uno spettacolo divertente (a patto di non essere un pizzaiolo in cerca di lavoro). Al punto che i responsabili dell’azienda, in un primo momento, avevano pensato di rendere tutto visibile al pubblico.
Ma la cosa più sorprendente è che tutto il sistema non avrebbe nemmeno costi eccessivamente elevati: permetterebbe di realizzare pizze a costi appena appena superiori a quelli delle abituali pizzerie. L’idea è piaciuta e pare che si stia tentando di realizzare una catena di pizzerie da asporto e addirittura di espandersi all’estero. Un’idea che quando è stata pensata la prima volta, anni fa, era sembrata una “pazzia” (da qui il nome del marchio: Pazziria). Ma che oggi appare più realistica di quanto si potesse immaginare.
Tanto più che il nuovo sistema non ha problemi di turni di lavoro, scioperi, ferie, giorni di malattia, contratti sindacali. O di pandemia: nell’ultimo anno molte pizzerie hanno dovuto chiudere i battenti (i giornali ne hanno parlato abbondantemente: molti pizzaioli sono stati licenziati, o hanno abbandonato la propria attività per trasferirsi altrove, magari all’estero). Tutti problemi che un robot non avrà mai.
Resta, però, un problema ancora irrisolto, sia nel caso degli articoli scritti dal computer che nel caso delle pizze fatte dai robot. Entrambi i pezzi prodotti dalle macchine non riusciranno mai a trasmettere la passione che un bravo scrittore o un bravo pizzaiolo possono mettere nel realizzare un articolo o una pizza. Entrambi “pezzi” fatti non solo di carta e inchiostro o di farina, pomodoro e mozzarella: ma di umanità. E questa un robot non potrà mai averla.
P.S. Questo articolo non è stato scritto da un computer e la pizza che mangerò questa sera l’ho fatta con le mie mani, senza l’aiuto di nessuna macchina.