In queste ultime settimane è tornato a far discutere del “Vamping”. Non si tratta di un nuovo allarme, perché in passato si è tanto parlato, dibattuto e scritto di questo fenomeno. Oggi i casi sono aumentati a dismisura a causa della pandemia che ha cambiato e per certi versi sconvolto le nostre vite.
Il Vamping viene ricollegato al comportamento degli adolescenti che, come vampiri rimangono svegli durante la notte, guardando il cellulare e navigando in rete.
Un articolo de “Il Messaggero”, scritto da Barbara Carbone, e anche diversi portali online riportano i dati di un sondaggio davvero significativo.
L’aumento del numero di casi di Vamping è stato evidenziato dall’ Omceo Venezia con la Fondazione Ars Medica, che hanno reso noti i dati di uno studio realizzato su 367 studenti di una scuola superiore di Conegliano. I risultati sono stati illustrati in un convegno del 24 settembre all’Ospedale dell’Angelo: “Più di un ragazzo su tre, il 35,7%, chatta, naviga sui social, guarda online video o serie Tv dopo la mezzanotte e lo fa per noia, solitudine, tristezza ma anche per semplice mancanza di stanchezza, spesso senza che la famiglia lo sappia e con conseguenze che potrebbero poi pesare sullo sviluppo psico-fisico“.
La situazione è uguale in ogni parte d’Italia. Questa tendenza tra gli adolescenti è stata favorita dal lockdown e dalla didattica a distanza.
Gli specialisti dei servizi Serd della Ulss 3 Serenissima e della Ulss 4 Veneto Orientale hanno dichiarato che: “Sarà necessario attrezzarsi sul territorio con modalità di trattamento e spazi adeguati, vista anche l’età dei soggetti coinvolti”, sostenendo che per combattere contro il Vamping serve “richiamo delle famiglie alla loro responsabilità educativa“.
I pediatri di famiglia sono si sono resi conto dei cambiamenti dei preadolescenti e degli adolescenti nell’ultimo anno e mezzo.
Il problema non è la tecnologia così come suggeriscono sul sito dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, gli specialisti dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Le famiglie dovrebbero educare i figli ad un uso corretto delle nuove piattaforme social e del mondo virtuale.
Oliviero Bruni, che si occupa dei disturbi del sonno dei bambini e direttore della Neuropsichiatria infantile all’ospedale Sant’Andrea di Roma, ha sottolineato quali sono gli elementi su cui i genitori devono porre attenzione: “Irritabilità, disattenzione, calo del rendimento scolastico ma anche bullismo, sono alcune delle conseguenze del rimanere connessi anche di notte“.
Federico Tonioni, direttore del Centro Pediatrico interdipartimentale per la Psicopatologia da web alla Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, si è schierato dalla parte dei giovani sottolineando che la iperconnessione è un diritto degli adolescenti e la società non riesce a tenere il ritmo dei cambiamenti in atto.
Tonioni ritiene che il malessere dei teenager sia ricollegabile alla rabbia che si trasforma in bassa autostima. Inoltre, ha invitato i genitori a dare delle regole che non diventino imposizioni per arrivare ad “una trattativa” per venirsi incontro. “Sono sicuro che se un genitore riuscisse a giocare veramente con il figlio non ci sarebbe tablet che tenga – ha detto Tonioni – Attenzione giocare non vuol dire sorvegliare ma divertirsi insieme“.
Ho analizzato questi problemi nel mio ultimo libro “Figli delle App” e i dati della mia ricerca hanno messo in evidenza quanto abbia inciso il lockdown nella vita dei nostri ragazzi. Instagram e TikTok sono i due social network in assoluto abitati da bambini, pre-adolescenti e adolescenti. In particolare TikTok è prevalente fino a 14 e Instagram dopo i 14. Poi la messaggeria veloce, dove spopola WhatsApp e Telegram. Ci sono anche piattaforme che gli adulti non conoscono e che nascondono numerosi pericoli.
La pandemia ha mostrato gli effetti negativi di queste tendenze che sono state avvalorate dagli studi condivisi da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Vicari, qualche mese fa, ha dichiarato, al portale Huffingtonpost, che stiamo assistendo a due fenomeni: “Abbiamo gli adolescenti che per autoaffermarsi diventano aggressivi, fanno male agli altri, fanno male ai genitori, si tagliano, diventano intrattabili. Il fatto è che la pandemia sta facendo aumentare lo stress e lo stress facilita la comparsa di una serie di disturbi, principalmente disturbi d’ansia, disturbi del sonno e depressione“. Purtroppo, sono aumentati i casi di cutting, di autolesionismo e quel che peggio i casi di suicidio.
Quindi, ciò che emerge è quel percorso fatto di solitudine che porta i giovani a chiudersi in sé stessi e a non comunicare i loro disagi. Vivono la loro vita in rete ma, giorno dopo giorno, si allontanano dal mondo reale.
Si è sviluppata una “nicchia a proprio uso esclusivo dell’individuo”, costruita come esercizio di libertà, che induce a pensare di poter dar vita ad un “mondo perfetto” di relazioni o pseudo tali, costruite tutte, però, sul principio di confirmation bias, che è diventato ormai prassi nel nostro agire social, che è sempre più centrale anche nel nostro agire sociale. Scelgo chi la pensa come me e chi approva il mio pensiero. Ecco, il desiderio continuo di ottenere consenso e approvazione dagli utenti della rete.
Insomma, stiamo attraversando un momento storico nel quale, la solitudine, che ha brillantemente fotografato Zygmunt Bauman, esplode in tutta la sua criticità con un impatto profondo proprio sulle nuove generazioni che saranno espressione della nuova cittadinanza digitale.
Noi adulti abbiamo il dovere di far qualcosa per i giovani che saranno gli adulti del domani. Dobbiamo allearci per dare un nuovo impulso al nostro sistema culturale. Solo la cultura e gli strumenti d’interpretazione della realtà possono sostenere gli individui e la società nel suo complesso.
Allora, puntiamo alla formazione delle famiglie e invertiamo il corso degli eventi, riproponendo quei valori che non esistono quasi più come ad esempio vivere l’amicizia al di fuori di uno schermo o il sentirsi parte di una comunità.
Ci vuole l’impegno di tutti e ci vuole la consapevolezza che non basta solo far fronte alle nuove esigenze educative, ma bisogna “curare” le emergenze e sanarle. Lasciar soli i ragazzi, e sottovalutare i rischi, significa non comprendere le gravi criticità che sono emerse e che possono trasformarsi in situazioni irreversibili.