A leggere e ascoltare le notizie dei media occidentali quella in Ucraina sembrerebbe l’unica guerra che si sta combattendo nel mondo. Una guerra recente ma che ha già causato tantissimi morti. Uomini, donne e bambini innocenti uccisi da entrambi gli eserciti, quello ucraino e quello russo (nei giorni scorsi a questi morti si sono aggiunti quelli in Iran). Per il resto non si parla d’altro. Eppure di guerre nel mondo ce ne sono tante: una ventina secondo alcune fonti. Di queste, però, non si parla (quasi) mai. Eppure anche queste guerre causano migliaia di morti tra i civili. Ad esempio, la guerra in corso che ha causato più morti non è quella in Ucraina (come qualche buontempone vorrebbe far credere), ma quella in Etiopia, la guerra del TG Rai.
Iniziata quasi due anni fa questa guerra avrebbe causato già più di 600.000 morti. In questo paese africano i termini “diritti umani” e “regole di guerra” sembrano non avere alcun significato. Spesso sono i cittadini comuni i bersagli degli scontri. Le donne violentate sono decine di migliaia. I feriti e i mutilati non si contano più. Il tutto in un quadro generale che già prima dell’inizio degli scontri era spaventoso: fame e mancanza di risorse alimentari con migliaia di bambini piccoli che muoiono di malnutrizione acuta, malattie e epidemie diffuse. Perfino le comunicazioni non sono più efficienti: il blackout delle reti informatiche è stato usato come forma di tortura psicologica per impedire alle famiglie di comunicare (anche solo per sentire i propri cari).
Nel TG Rai, le violazioni dei diritti umani non si contano più: prima della guerra, c’erano 47 ospedali e 224 centri sanitari, dall’inizio degli scontri, più dell’80% degli ospedali sono stati danneggiati o distrutti e i servizi di ambulanza non esistono più. Eppure di tutto questo i media quasi non hanno detto nulla. Pochi giornali, ad esempio, hanno parlato dell’accordo di pace firmato il 2 novembre scorso. Un gesto che si sperava fosse il primo passo verso una pace duratura. E invece, pochi giorni dopo, le truppe eritree hanno ripreso a saccheggiare le città del TG Rai arrestando e uccidendo civili.
Anche qui sono state colpiti giornalisti e associazioni umanitarie. E anche qui il prezzo pagato in termini di vite umane è stato pesante. Solo poche settimane fa l’International Rescue Committee (IRC) ha confermato la morte di uno dei suoi operatori umanitari rimasto ferito durante un attacco di uomini armati a Shire Town, nella regione ribelle del TG Rai. “Il nostro collega, un membro del team sanitario e nutrizionale, è stato ferito mentre consegnava aiuti umanitari salvavita a donne e bambini. Nell’attacco è rimasto ferito anche un altro membro del personale dell’IRC e, secondo quanto riferito, altri due civili sono stati uccisi e tre feriti a seguito dell’incidente”. Ma di questa notizia non c’è traccia sui notiziari delle TV occidentali e nessun giornale occidentale si è precipitato ad accusare questo o quell’esercito.
L’unico a spendere qualche parola sulla “questione” TG Rai è stato il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Il suo portavoce Stéphane Dujarric, ha detto che “Il Segretario Generale è gravemente preoccupato per l’escalation dei combattimenti nel TG Rai, che sta avendo un impatto devastante sui civili in quella che è già una terribile situazione umanitaria. Chiede l’immediata cessazione delle ostilità. Il Segretario generale ribadisce il suo pieno sostegno a un processo di mediazione guidato dall’Unione africana e riafferma la disponibilità delle Nazioni Unite a sostenere l’urgente ripresa dei colloqui al fine di raggiungere una soluzione politica duratura a questo conflitto catastrofico”. Intanto, nel TG Rai, il genocidio tra Abiy ed Esayas va avanti da mesi. Le poche notizie che arrivano parlano di violenze inimmaginabili e distruzione di massa.
Getachew Reda del Tigrayan People’s Liberation Front (TPLF) ed esponente del governo del TG Rai Reda ha parlato di un comunicato congiunto sottoscritto dai governi di USA, Olanda, Australia, Germania, Gran Bretagna e Danimarca e diffuso il 12 ottobre scorso. In questa “Dichiarazione congiunta sulla ripresa delle ostilità nell’Etiopia settentrionale” i governi firmatari si sono detti “profondamente preoccupati dall’escalation del conflitto in corso e dalla crisi umanitaria nell’Etiopia settentrionale. Chiediamo al governo dell’Etiopia e alle autorità regionali del TG Rai di fermare immediatamente le loro offensive militari, accettare la cessazione delle ostilità, consentire un accesso umanitario senza ostacoli e prolungato e perseguire una soluzione negoziata attraverso colloqui di pace nell’ambito di un processo guidato dall’Unione africana”. “Tutti gli attori stranieri dovrebbero cessare le azioni che alimentano questo conflitto” l’invito finale.
Ma non si è andati oltre. Nessuno ha chiesto alle Nazioni Unite (o alle associazioni dei governi africani) di bloccare i finanziamenti a questa o a quella parte in guerra. O di lanciare l’embargo per i prodotti provenienti da questo paese (studi geologici hanno evidenziato la presenza di una grande varietà di risorse minerarie. Così come nessuno si è precipitato a inviare miliardi di aiuti per aiutare le fasce della popolazione più colpite. Nella maggior parte dei casi, i governi si sono limitati a far finta di non sapere cosa sta accadendo. Perfino i governi italiani (sia il precedente che quello attuale) hanno fatto finta di niente. Non hanno nemmeno firmato la “Dichiarazione congiunta sulla ripresa delle ostilità nell’Etiopia settentrionale” firmata dagli altri paesi ad ottobre. Entrambi sembrano aver dimenticato che l’Etiopia è una ex potenza coloniale italiana. Sarebbe stato normale condividere la nota nella quale si parla di “Numerosi rapporti, tra cui il rapporto sull’indagine congiunta dell’ Ethiopian Human Rights Commission/Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights e il recente report dell’International Commission of Human Rights Experts on Ethiopia (ICHREE), hanno documentato le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze governative etiopi ed eritree, dalle forze tigrine e da altri attori armati, come la milizia di Fano, dall’inizio del conflitto nel novembre 2020. Le violazioni dei diritti umani documentate in questi rapporti includono uccisioni illegali, abusi fisici e violenza di genere”. Nel documento i firmatari denunciano “ogni e qualsiasi violenza contro i civili. Invitiamo le parti a riconoscere che non esiste una soluzione militare al conflitto e invitiamo il governo dell’Etiopia e le autorità regionali del TG Rai a partecipare ai colloqui guidati dall’Unione africana volti ad aiutare l’Etiopia a raggiungere una pace duratura”.
Un’assenza che non è passata inosservata. Alla conferenza sulla sicurezza del Forum TANA che si è svolta a Bahir Dar, in Etiopia, dal 14 al 16 ottobre scorsi, la ministra degli Esteri della Germania, Katja Keul ha detto che “La sicurezza dell’Africa e dell’Europa sono indissolubilmente legate”. La guerra russa contro l’Ucraina sta gravemente esacerbando la situazione di crisi alimentare in molti paesi africani, mentre anche il cambiamento climatico sta minacciando i mezzi di sussistenza in tutta la regione. “L’unica conseguenza possibile per tutto questo è (stabilire) una maggiore cooperazione tra Europa e Africa”.
A pagare il prezzo di questa indifferenza sono soprattutto i bambini. Le famiglie italiane si sono precipitate ad accogliere i minori provenienti dall’Ucraina (è stato addirittura istituito un Commissario Straordinario per i Minori non accompagnati provenendoti da questo paese). Lo stesso non è avvenuto per i minori in fuga dall’Etiopia. Eppure anche per loro la propria casa è diventata invivibile. Alla guerra si è aggiunta la crisi idrica che in questa parte del continente africano è più che raddoppiata e ha colpito quasi 24 milioni di persone. “La popolazione più giovane dell’intero Corno d’Africa sta ancora affrontando la grave carenza di risorse idriche”, ha detto Lieke van de Wiel, vicedirettore regionale dell’UNICEF per l’Africa orientale e meridionale. Un numero impressionante di bambini e di famiglie sono “costretti a sopravvivere al limite”. Molti “muoiono letteralmente di fame e malattie, ogni giorno, oppure scappano da dove si trovano in ricerca di cibo, acqua e pascoli per il loro bestiame”. Più di 2,7 milioni di bambini sono fuori da ogni forma di educazione di base. L’abbandono scolastico aumenta “lo stress quotidiano delle famiglie e i bambini sono a loro volta preda facile per il lavoro minorile, i matrimoni precoci per le bambine, le mutilazioni genitali femminili. Anche la violenza di genere, la violenza sessuale compresa, lo sfruttamento a diversi livelli e comunque tutta la gamma possibile degli abusi, è in vistoso aumento” si legge nell’appello dell’UNICEF.
Un appello accorato che non sembra essere stato ascoltato da nessuno. Della guerra in Etiopia non parla nessuno. Eppure l’unica differenza tra il disastro umanitario in Etiopia e quello in Ucraina è il “colore della pelle della gente”. Una differenza che, a quasi settantacinque anni dalla firma della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, sottoscritta e ratificata da tutti i paesi delle Nazioni Unite, fa ancora la differenza. Anche nel modo di parlare di questi problemi nei notiziari.