Il 28 aprile è la giornata mondiale dedicata alla Memoria dei Lavoratori, un giorno per ricordare i lavoratori che hanno perso la vita o sono rimasti feriti sul lavoro.
La metodologia ESAW definisce “infortunio sul lavoro” un evento nel corso del lavoro che provoca danni fisici o mentali. Gli infortuni mortali sul lavoro sono quelli che portano alla morte della vittima entro un anno dall’infortunio. Gli infortuni sul lavoro non mortali sono quelli che comportano almeno quattro giorni di calendario interi di assenza dal lavoro (talvolta sono chiamati anche “infortuni gravi sul lavoro”). Gli infortuni sul lavoro non mortali possono comportare una perdita considerevole di giorni lavorativi e spesso comportano danni considerevoli per i lavoratori interessati e le loro famiglie. Si pensi, ad esempio, alle persone costrette a vivere con una disabilità permanente, a lasciare il mercato del lavoro o a cambiare lavoro. Impressionanti i numeri.
Negli Stati Uniti d’America, i morti sul lavoro sono stati ufficialmente 4.764 (molti nel settore delle costruzioni – 1.008 morti, ovvero il 21,2% dei decessi totali – seguiti dai trasporti e dai lavori in magazzino, con 805 morti).
Anche nei paesi UE il numero di infortuni mortali sul lavoro è spaventoso: nel 2020, sono stati registrati 3.355 infortuni mortali. Ancora più incredibile (specie viste le misure introdotte negli ultimi anni) il numero degli infortuni NON mortali che hanno comportato almeno quattro giorni di calendario di assenza dal lavoro: addirittura 2,7 milioni!
Nell’UE i casi di incidenti non mortali sono stati mediamente 1.444 ogni 100mila lavoratori. Come sempre, molto diversi i dati da paese a paese nell’”Unione” europea. Si va da meno di 100 incidenti non mortali per 100mila lavoratori in Romania e Bulgaria, a oltre 2.500 per 100mila lavoratori in Danimarca o in Francia. Secondo alcuni, questi dati potrebbero essere influenzati da due fattori. Il primo, ricorrente soprattutto nel caso di infortuni non mortali, è la sotto-segnalazione dovuta a sistemi di scarsamente consolidati o a scarsi incentivi finanziari per le vittime o a obblighi giuridici non vincolanti per i datori di lavoro e altro. A questo si aggiunge la presenza di un elevato numero di “incidenti” sul lavoro dove le vittime sono lavoratori non in regola o extracomunitari non registrati. Tutte cause che fanno pensare ad un fenomeno le cui dimensioni potrebbero essere ancora più preoccupanti.
Anche in Europa, come negli USA, tra i settori dove si sono verificati oltre un quinto di tutti gli infortuni mortali sul lavoro è il settore delle costruzioni. Gli uomini avevano molte più probabilità delle donne di avere un incidente sul lavoro. Almeno due infortuni sul lavoro non mortali su tre (66,5%) nell’UE hanno riguardato uomini.
In Italia, le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail da gennaio a novembre 2022 sono state ben 652.002. In aumento di quasi il 30% (+29,8%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Impressionante anche il numero dei lavoratori che anno perso la vita durante il lavoro nel 2022: 1.006 gli incidenti mortali. Un dato leggermente minore rispetto al 2021, ma influenzato dalla pandemia e dalla chiusura, anche temporanea, di molte attività. Salta all’occhio l’aumento degli infortuni tra le lavoratrici donne: +49,6%, contro il +18,6% registrato tra gli uomini. Lo stesso dicasi per i morti sul lavoro: mentre il numero dei lavoratori morti sul lavoro è diminuito, tra le lavoratrici è rimasto praticamente lo stesso rispetto all’anno precedente. Sorprendenti, in Italia, i numeri degli incidenti nel tragitto casa-lavoro (82.869) e le malattie di origine professionale (55.732).
Da sottolineare anche il numero di minorenni morti sul lavoro. Nonostante l’eliminazione dello sfruttamento minorile sia da molti anni uno degli obiettivi delle Nazioni Unite, dell’UE e dell’OMS, il numero di “incidenti” sul lavoro che riguardano minorenni è spaventoso. In questo caso, spesso non si tratta di “incidenti” ma di sfruttamento minorile. Ancora una volta, sorprendenti i dati relativi ai paesi “sviluppati”. Negli USA come in Europa il lavoro minorile esiste ed è regolamentato. Ma quando si leggono i numeri, si scopre che a perdere la vita mentre lavoravano spesso non sono minori in età consentita ma adolescenti ben più giovani, a volte bambini. Negli Stati Uniti, secondo i dati del Dipartimento del Lavoro, il numero di minori impegnati in lavori ha raggiunto un numero impressionante: erano 2,5 milioni nel 2017 (l’anno più recente per il quale sono disponibili numeri ufficiali!). I Centers for Disease Control and Prevention e il Childhood Agricultural Injury Survey hanno rilevato, ciascuno indipendentemente, circa 524.000 minorenni impegnati in vari lavori nelle fattorie (2014) e circa 375.000 “minorenni in lavori domestici”. Secondo i dati del GAO, due terzi di loro avevano 14 anni o meno!
Impressionante il numero di bambini “uccisi” (morti non sarebbe il termine corretto) sul lavoro negli USA. Secondo il Government Accountability Office sono almeno 452 i bambini morti a causa di infortuni sul lavoro tra il 2003 e il 2016. Di questi, settantatré avevano 12 anni o meno! In settori come l’edilizia, la vendita al dettaglio, i trasporti e persino nella produzione e nel disboscamento. Ma il settore che causa più morti (il 52%) è l’agricoltura.
Anche in Italia, i minorenni vittime di incidenti (a volte letali) sul lavoro sono tantissimi: decine e decine ogni anno. E anche in questo caso la realtà potrebbe essere molto peggiore di quella riportata nei dati ufficiali. Si pensi al numero impressionante di minori stranieri non accompagnati MSNA che scappano dai centri di accoglienza o dai SAI e dei quali non si sa più niente: solo nel 2022, le denunce di scomparsa di minori stranieri sono state oltre 13mila. Di questi, 9.126 NON sono stati ritrovati (dati XXVIII Relazione Commissario Straordinario del Governo Persone Scomparse). Molti di loro diventano vittime di sfruttamento minorile. Ovviamente, per loro non esistono dati ufficiali riguardanti gli incidenti sul lavoro. Come se questi minorenni fossero “invisibili”.
Lo stesso dicasi dei minori vittime di sfruttamento che subiscono infortuni o che perdono la vita sul lavoro nei paesi meno sviluppati. In questi casi, trovare dei dati ufficiali attendibili è quasi impossibile. In alcuni casi impossibile. Anche quando questi minori sono impiegati nella produzione di beni che poi finiscono nei negozi in Europa o negli USA.
Oltre all’OMS, l’unica a cercare di far luce su questo fenomeno è l’ILO, l’organizzazione internazionale del lavoro. Ancora una volta, i numeri sono spaventosi: ogni giorno, nel mondo, 7.500 persone perdono la vita a causa di condizioni di lavoro poco sicure. Di queste, oltre mille per “incidenti”. Circa 6500 per malattie legate al lavoro. A livello globale, tra il 5 e il 7% delle morti sarebbero dovute al lavoro! Non è un caso se, a questo tema l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile ha dedicato due dei 17 obiettivi: l’obiettivo di sviluppo sostenibile 3 (SDGs 3), ovvero garantire una vita sana e promuovere il benessere per tutti a tutte le età, e l’obiettivo 8 (SDGs 8), promuovere una crescita economica inclusiva e sostenibile, occupazione e lavoro dignitoso per tutti.
Ma questi obiettivi, come molti altri, non saranno raggiunti entro il 2030. E la poca attenzione riservata a questi argomenti anche in occasione della giornata mondiale dedicata alla Memoria dei lavoratori uccisi, disabili o feriti sul lavoro ne è la prova.